Cerca

Pagine

Visualizzazione post con etichetta UEM. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta UEM. Mostra tutti i post

giovedì 28 maggio 2020

Due parole due sul Recovery Fund e sulla sua pericolosità

Due parole sul Recovery Fund (anche detto, nel linguaggio aulico della Commissione, Next Generation EU, quadro generale entro cui si situa una costellazione di misure in cui la "parte del leone" è demandata alla Recovery and Resilience Facility, circa 560 miliardi di prestiti e contributi a fondo perduto, così perduto che devono essere rigorosamente rendicontati e comunque in cambio delle solite riforme secondo il consueto sistema del Semestre europeo).
Non voglio entrare né nei "numeri" né nelle tecnicalità della proposta della Commissione. Per comprendere quanto sia conveniente basta ascoltare Borghi, o leggere gli articoli di Liturri o almeno i tweet di Zanni, che ne hanno parlato prima e meglio di come potrei fare io. Una considerazione, tuttavia, la vorrei comunque aggiungere.
Il Recovery and Resilience Facility (RRF) si differenzia dalla proposta Borghi & Bagnai (emissioni di titoli di Stato nazionali acquistati dalla BCE) o da quella Tabellini & Giavazzi (emissione di Eurobond, eventualmente perpetui, acquistati dalla BCE) perché comporta un finanziamento sul mercato e, dunque, una restituzione dei fondi agli investitori ancorché con scadenze molto lunghe. Pertano impone, logicamente, un'espansione del bilancio della UE sia tramite entrate proprie ulteriori (leggi: nuove tasse europee) sia tramite incremento dei trasferimento dagli Stati membri (che, a loro volta, imporranno nuove tasse nazionali per coprire la spesa).
(Classifica dei Paesi beneficiari del RRF)
Cosa significa questo? Significa imboccare la strada per una sempre maggiore armonizzazione di uno dei pochissimi settori ancora a competenza nazionale, cioè quello fiscale; significa, in altri termini, una ulteriore cessione di sovranità in un campo cruciale tanto quanto il governo della moneta (con cui è insolubilmente legato: ask Karlsruhe, ultima tappa di una linea interpretativa del diritto ben analizzata, per esempio, da Chessa). Et pour cause, visto che da un lato il meccanismo potrebbe comportare un parziale trasferimento di fondi da un Paese membro ad altri.
Ora, questa ulteriore cessione di sovranità si tradurrà in una ancor più pressante compressione dello spazio (anche giuridico) per politiche nazionali non si dice keynesiane, ma quantomeno anticicliche, con effetti probabilmente più profondi e certamente più duraturi di quelli che si avrebbero avuti con una adesione al MES, senza (presumibilmente) alcun vantaggio neppure dal punto di vista di una riduzione dei casi di dumping fiscale presenti nella UE (le sconce trattative sui rebates mi paiono un indizio assai chiaro, in effetti).
Timeo Danaos et dona ferentes. Speriamo che le poche voci libere di questo Paese non facciano la fine di Laocoonte. Speriamo che l'Italia non faccia, definitivamente, la fine di Troia.

mercoledì 11 ottobre 2017

Il non-paper di Schäuble che (forse) aprirà gli occhi alle anime belle di un'altra UE

(Commenti tra parentesi in corsivo: testo originale o aggiunte mie).
(Un non-paper sarebbe un testo non ufficiale da far circolare informalmente. Che sia pubblicato è abbastanza fuori luogo).
(Il testo originale è qui).


In parallelo al mantenimento dell'unità dell'UE 27, è indispensabile migliorare la governance a breve, medio e lungo termine dell'UEM, seguendo i seguenti tre principi fondamentali: (1) dobbiamo tenere uniti responsabilità fiscale e controllo, onde evitare il rischio morale (moral hazard); (2) abbiamo bisogno di strumenti migliori per promuovere l'attuazione delle riforme strutturali; (3) abbiamo bisogno di "funzioni di stabilizzazione" credibili per affrontare shock globali o interni.

(1) Responsabilità fiscale e controllo fiscale devono stare per forza uniti, a qualunque costo (whatever it takes). Dal lato istituzionale, ci sono due modi possibili per garantire questa simmetria: o trasferiamo spazi di sovranità nazionale e controllo delle regole fiscali a livello europeo (il c.d. "Ministro delle finanze dell'Euro"), unitamente ad una maggiore legittimità democratica (cosa che richiederebbe, certamente, modifiche dei Trattati UE, perché fosse credibile). Oppure troviamo un accordo su una soluzione intergovernativa. Finché vi è scarsa disponibilità a cambiamenti dei Trattati, dobbiamo seguire un approccio pragmatico, in due passi distinti: prima una soluzione intergovernativa, che sarà poi successivamente recepita nel diritto comunitario.
Il meccanismo europeo di stabilità (ESM) è il mezzo giusto per una soluzione intergovernativa. L'ESM ha dimostrato la sua validità sin da quando è stato istituito nel 2012. Esso incarna il principio di fornire solidarietà in cambio di sane finanze pubbliche. L'ESM ha un sistema di gestione delle crisi ben sviluppato con una serie di strumenti e una significativa capacità finanziaria a sua disposizione. Strumenti e denaro sono pronti per la funzione fondamentale dell'ESM, vale a dire fornire un sostegno finanziario temporaneo sotto stretta condizionalità (per le riforme).
L'ESM, per diventare un Fondo Monetario Europeo, deve dedicare più risorse ad una migliore prevenzione delle crisi: il fondo, tuttavia, non ha ancora un mandato per la prevenzione delle crisi o per ridurne i rischi in una fase precoce. È quindi importante espandere il radar dell'ESM e dare ad esso un ruolo più forte in termini di monitoraggio dei rischi-Paese. L'obiettivo è individuare, in collaborazione con altre Istituzioni, i rischi per la stabilità per e negli Stati membri dell'Area Euro in modo più efficace e in una fase antecedente rispetto a quanto non sia successo in passato, nonché monitorare tali rischi affinché possano essere ridotti dagli stessi Paesi interessati. Le consultazioni di cui all'articolo IV del FMI potrebbero servire da modello per questo nuovo ruolo.
Tale ruolo per l'ESM dovrebbe includere anche il monitoraggio sull'osservanza degli obblighi degli Stati membri ai sensi del c.d. Fiscal Compact adottato nel 2012. L'ESM potrebbe essere gradualmente dotato di un ruolo più forte e neutrale per quanto riguarda il monitoraggio del "Patto di stabilità e crescita". Dare all'ESM anche compiti di monitoraggio completo in merito al rispetto del Fiscal Compact e delle norme fiscali europee renderebbe necessaria una modifica sia del Fiscal Compact, sia del trattato istitutivo dell'ESM.
Questo secondo mandato, del tutto nuovo, dell'ESM dovrebbe includere un prevedibile meccanismo di ristrutturazione del debito per garantire una equa ripartizione degli oneri tra l'ESM ed i creditori privati. La ratio è: in futuro, gli investitori privati ​​beneficerebbero di migliori informazioni in merito al rischio-Paese, che sarebbero fornite proprio dall'ESM. Logicamente, gli investitori privati dovrebbero dunque contribuire anche qualora, a differenza delle aspettative, un Paese si venga a trovare in difficoltà e richieda nuovamente l'assistenza dell'ESM.
Oltre alle nuove funzioni relative all'analisi (della situazione macroeconomica), l'ESM dovrebbe pertanto assumersi anche la responsabilità per il futuro processo di ristrutturazione del debito e il suo coordinamento. L'obiettivo importante è quello di fornire al settore privato i principi chiari e prevedibili in anticipo, per evitare soluzioni ad hoc.
I seguenti elementi dovrebbero essere inseriti nel Trattato ESM: a) la posticipazione automatica delle scadenze dei Titoli di Stato nel caso in cui sia stato concesso un programma ESM; b) l'obbligo di effettuare una ristrutturazione completa del debito se ciò è necessario per garantire la sostenibilità del debito; c) al fine di prevenire resistenze, una modifica delle "azioni collettive" già introdotte, verso il principio della "single limb aggregation" (cioè un sistema per cui basta solo voto per la ristrutturazione dell'intero debito, senza necessità di ulteriori votazioni sulle singole serie di obbligazioni).
Per quanto riguarda l'Unione bancaria, è necessaria un'ulteriore significativa riduzione del rischio, anche in merito al trattamento regolamentare dei Titoli di Stato. Le proposte correnti per la riduzione dei rischi devono essere rese più stringenti. Soltanto su questa base l'ESM potrebbe svolgere un ruolo di back-stop finanziando procedure di risoluzione bancarie. Se, alla fine della discussione in corso, decidiamo di dare all'ESM un mandato colto allo svolgimento di una funzione di back-stop sotto forma di linea di credito per il SRF (single resolution fund), sarà necessaria anche in questo caso una modifica al Trattato ESM. Ciò perché il Trattato ESM, nella sua forma attuale, prevede solo l'assistenza a sostegno degli Stati membri, non anche a sostegno di altre istituzioni, come il SRF.
J.-C. Juncker ha invero proposto di utilizzare in alternativa il bilancio dell'UE per la costituzione di un back-stop. In questo contesto vi è una vasta gamma di domande aperte. Se un tale back-stop venisse creato all'intero dell'ESM, dovrebbe essere accantonato a tale scopo un importo di circa 55 miliardi di Euro (= livello obiettivo del SRF). In questo quadro, tuttavia, sembra ragionevole effettuare, parallelamente alla creazione di questo nuovo strumento, una revisione critica del sistema di "ricapitalizzazione diretta delle banche", uno strumento già esistente ma meno pratico e molto più rischioso (60 miliardi di Euro sono accantonati nell'ESM, a tale fine). Considerando la questione in modo globale, dobbiamo essere aperti per eliminare lo strumento di ricapitalizzazione diretta delle banche.
Scenari e piani più ambiziosi per l'ESM e le sue capacità finanziarie, sia per quanto riguarda l'eventuale ruolo di back-stop aggiuntivo rispetto al controverso Schema Europeo di Assicurazione dei Depositi (cioè l'EDIS), sia in merito all'attribuzione di una nuova capacità fiscale da utilizzare come meccanismo per trasferimenti all'interno dell'Eurozona, rischierebbero di imporre all'ESM uno sforzo superiore alle sue capacità, oltre ad andare contro il suo scopo fondamentale di salvataggio (bail-out) dei Paesi in gravi difficoltà.

(2) Per quanto riguarda l'attuazione delle riforme strutturali, dobbiamo aumentare la responsabilità dei Paesi interessati. Le riforme strutturali sono necessarie per modernizzare le economie, affinché queste si aggancino al resto dell'Eurozona e agli sviluppi globali. Mutualizzare i problemi esistenti o futuri, invece di affrontarli di petto, finirebbe solo per creare una Unione Monetaria (UEM) indebolita nel suo complesso.
Le riforme strutturali potrebbero essere costose a breve termine. Dovremmo quindi esaminare modi per incentivare le riforme. Abbiamo bisogno di ulteriore capacità fiscale intergovernativa? Non necessariamente. Il bilancio dell'UE è in fase di revisione e comunque i Membri dovrebbero contribuire in futuro a compensare le minori entrate determinate dalla Brexit. Di conseguenza, c'è una certa leva per impostare nuove e solide priorità rispetto al budget futuro, affinché possa anche sostenere l'Area dell'Euro.
La Commissione ha presentato interessanti proposte per migliorare il bilancio dell'UE. A questo proposito dovremmo esaminare se i contributi futuri degli Stati membri dell'UEM al bilancio dell'Unione Europea possano essere meglio collegati alle riforme strutturali nell'Area dell'Euro, sulla base delle "Raccomandazioni specifiche per il Paese" (CSR, country specific recommendation) della Commissione. Questo approccio - basato su un bilancio dell'Unione Europea e sulle CSR - dovrebbe, rispetto ad ogni altro tipo di approccio intergovernativo, garantire un importante ruolo alla Commissione e consentire una politica integrata dell'Unione europea, collegando il coordinamento delle politiche (Semestre Europeo e CSR) con le politiche di coesione (fondi strutturali) ed il bilancio dell'UE. Seguendo il discorso di J.-C. Juncker, questo approccio potrebbe preparare un "nucleo stabile" attorno cui costruire un bilancio della Zona dell'Euro. Una volta stabilito questo nucleo, il bilancio dovrebbe evolvere ulteriormente , sulla base di solidi finanziamento e ricavi propri.

(3) Per quanto riguarda la funzione di stabilizzazione (del ciclo economico), dobbiamo utilizzare meglio gli stabilizzatori automatici nazionali per assorbire gli shock. La flessibilità delle regole fiscali interne esiste esattamente per consentire a questi "stabilizzatori" di lavorare. Prerequisito per questo è ovviamente che gli Stati membri creino il necessario spazio fiscale per le manovre, rispettando i loro obiettivi di bilancio. L'idea degli obiettivi di bilancio a medio termine (MTO, medium term budgetary objectives) è proprio quella di costruire dei buffer per l'assorbimento degli shock.
Il FMI ha ragione di concludere - nella consultazione sul proprio art. IV - che le regole fiscali europee sono divenute purtroppo troppo complesse e poco prevedibili. È per questo che dobbiamo sviluppare ulteriormente queste regole, facendo in modo che la "regola del debito" si ponga almeno sullo stesso piano della "regola del deficit". Finché il debito nazionale si pone in un percorso di riduzione, i disavanzi nazionali potrebbero essere trattati in modo flessibile.
Una funzione di stabilizzazione macroeconomica, ad es. attraverso una nuova capacità fiscale o un'assicurazione contro la disoccupazione, non è economicamente necessaria per un'Unione monetaria stabile. La spesa pubblica contro-ciclica è sempre in ritardo rispetto alle necessità e un'assicurazione contro la disoccupazione in tutta l'Area dell'Euro dovrebbe affrontare livelli di reddito molto diversi nelle varie regioni. I nostri Stati con un sistema di welfare molto sviluppato fanno una grande differenza rispetto alla situazione degli Stati Uniti: lavorano infatti come stabilizzatori automatici significativi, sempre che il singolo Stato membro interessato abbia opportuni margini di bilancio (MTO).
Oltre a ciò, dobbiamo guardare più approfonditamente al Mercato Unico dell'UE 27. Un Mercato Unico più flessibile sarebbe in grado di assorbire meglio gli shock, in particolare quelli che colpiscono singoli Stati membri (cosiddetti shock asimmetrici). Le banche - in una vera unione bancaria e del mercato dei capitali - possono mantenere i loro livelli di impieghi anche se uno Stato membro è in crisi, poiché le banche possono lavorare in modo migliore a livello transfrontaliero e sono sorvegliate a livello comunitario. E una migliore mobilità dei lavoratori (migration) all'interno dell'UE 27 potrebbe offrire possibilità molto più concrete per mantenere la disoccupazione - soprattutto giovanile - sotto controllo in caso di crisi.
La diminuzione della convergenza fra i Paesi è spesso dovuta ai fattori strutturali nazionali e non può essere superata attraverso una maggiore capacità fiscale. Una nuova funzione di stabilizzazione mediante una "capacità fiscale dell'Euro" (si tratta dei c.d. Eurobond) permetterebbe solo di "comprare tempo" e porterebbe a ripetere gli errori nazionali del passato. Sarebbe molto più efficiente sostenere le riforme per aumentare la resilienza attraverso un efficace coordinamento delle politiche e in futuro attraverso un bilancio UE ben ridisegnato (vedi sopra).
La mutualizzazione del debito creerebbe incentivi sbagliati, solleverebbe fondamentali questioni legali e, quindi, metterebbe in pericolo la stabilità dell'intera Area dell'Euro. Qualunque sia il nome futuro: per delle "obbligazioni europee" o "titoli di debito sovrano europei" (alcuni li chiamerebbero  "nuovi Eurobond") non esiste alcuna domanda sul mercato. Dobbiamo essere in grado di creare stabilità reale attraverso riforme, non attraverso ingegneria finanziaria complessa e costosa.

mercoledì 12 aprile 2017

Il malfunzionamento del bail-in visto dai liberisti

Lo scorso marzo l'ICMB ha pubblicato un accurato report su funzionamento e criticità dei processi di bail-in in USA e nell'Eurozona. Alcuni spunti della ricerca sono tanto più interessanti ove si consideri da un lato l'ortodossia liberista dell'Istituzione che ha prodotto il documento, dall'altro l'ampio seguito che tali Istituzione ha tra i decisori politici (tra i suoi sponsor si trovano non soltanto le banche centrali dei Paesi maggiormente sviluppati, compresa la Banca d'Italia, ma anche le più importanti banche d'affari svizzere e dell'UEM).
Il documento si divide in tre parti: la prima mette a confronto le due principali normative che prevedono la risoluzione degli intermediari finanziari mediante bail-in, cioè - per quanto riguarda gli USA - il Dodd-Frank Act (“DFA”, v. qui) e - per quanto riguarda l'UEM - la Direttiva BRRD; la seconda prende in considerazioni le principali crisi bancarie, anche sistemiche, degli ultimi anni, al fine di evidenziarne le diverse modalità di soluzione; l'ultima, riepiloga le principali "questioni aperte" nelle due normative, rispetto alle quali porta alcuni suggerimenti.

Indipendentemente dalla minuzia della ricerca, cosa si ricava - in linea generale - dalla lettura del documento?

In primo luogo, che disposizioni giuridiche molto simili, determinate con ogni probabilità da teorie economiche analoghe, hanno effetti profondamente diversi a seconda del contesto politico del Paese o dei Paesi in cui si applicano.
A Leuropa, o meglio - come giustamente notano anche gli autori del paper - in quella parte di Leuropa che ha adottato l'Euro ed ha sottoscritto gli accordi noti come banking union, la decisione in ordine alla eventuale apertura di una "procedura di risoluzione" è del "Single Resolution Board" (SRB), cioè una Agenzia dell'UE, del tutto indipendente (e, pertanto, come al solito del tutto irresponsabile nei confronti dei corpi elettorali dei singoli Paesi), la quale - unitamente alle Autorità nazionali di risoluzione (cioè le varie Banche centrali, anch'esse indipendenti, che è come dire legibus solutae, ci mancherebbe altro) - formano il "Single Resolution Mechanism" (SRM).
Negli Stati Uniti, al contrario, la medesima decisione è affidata - e gestita - in primo luogo dalla Federal Deposit Insurance Corporation, cioè da una Agenzia (anche in questo caso indipendente: d'altronde siamo sempre e comunque negli Stati Uniti), di livello federale, la cui funzione primaria (sin dal Glass-Steagall Act, che la costituì) è quella di fornire una assicurazione sui depositi delle banche fino a 250.000 dollari per depositante.
La capite la differenza sostanziale? Negli USA il processo di risoluzione è guidato proprio da quello "schema assicurativo" - uguale per tutti i cittadini di gli Stati - che, al contrario, in Europa - anzi: a Leuropa - non si è neppure voluto costituire, e che anzi rappresenta proprio il principale anello mancante della banking union (si tratta dell'EDIS, Europea Deposit Insurance Scheme).
A questo, aggiungete che "non esiste un Tesoro nell'Unione Bancaria o nell'Eurozona, cosa che comporta risorse pubbliche per la risoluzione molto più limitate" e che nell'UEM "ci sono diverse leggi fallimentari tutte differenti, cosa che rende difficile un unico processo di risoluzione" (per di più, il SRM non è neppure una Istituzione ma una Agenzia intergovernativa derivante fra una Commissione e il Consiglio, mentre in USA la costituzione attribuisce al congresso la sovranità monetaria).
Il risultato pratico è ovvio.
Regole nazionali differenti, la mancanza di un'assicurazione europea sui depositi, la ridotta disponibilità di fondi per interventi statali (non a caso, mentre negli USA l'intervento pubblico può giungere fino a coprire il 90% del valore degli attivi del gruppo oggetto di risoluzione, nell'UEM il Single Resolution Fund interviene soltanto dopo che almeno l'8% delle passività dell'Istituto sono state oggetto di bail-in) hanno creato - diversamente dagli Stati Uniti - una insicurezza diffusa che ha comportato e tuttora comporta fughe ingenti di capitali da Istituti ritenuti, a torto o a ragione, in difficoltà. Con l'unico risultato di rendere questa difficoltà ancora più ardua da superare.
[Non parlo di bank run perché su Twitter, l'altro giorno, i soliti liberisti con le natiche in conto terzi mi hanno spiegato che si tratta, in realtà, di riallocazione efficiente dei capitali. Sempre secondo questi scienziati della finanza, grazie alla perdita di oltre 20 miliardi in un anno, Mps dovrebbe riuscire a efficientarsi (?) e a sviluppare modelli di business innovativi (?)].
Non solo: mentre negli USA - che sono uno Stato, non una pseudo-confederazione di Stati semisovrani - il mercato finanziario è tendenzialmente omogeneo, al contrario i Paesi leuropei hanno peculiarità e tradizioni tali per cui one size unfits all. Un paragrafo intero del report ICMB è dedicato alla peculiare situazione italiana: "l'Italia nel 2016 si trova in una situazione per certi versi comparabile con quella della Spagna nel 2012, salve alcune importanti differenze. In primo luogo, non possiede due pilastri finanziari con la forza di BBVA e Santander. Secondariamente, in Italia la fonte principale di NPL si riscontra nel credito alle Piccole e Medie Imprese - garantito con ipoteche su immobili - e non nei mutui a privati o a imprese di costruzione. Infine, l'altra importante e peculiare caratteristica della crisi bancaria italiana è l'esposizione dei risparmiatori [nel testo: retail investors, N.d.R.] alle obbligazioni bancarie subordinate".
Gli Autori condannano il misselling di titoli che possono essere oggetto di bail-in a risparmiatori italiani, salvo poi concludere non per il divieto tout-court di vendita di tali strumenti a soggetti non professionali, bensì semplicemente per l'obbligo di detenzione degli stessi "attraversi fondi comuni diversificati". Giusto. Così non solo continuo ad averci i subordinati, ma li detengono senza saperlo e per restare nell'ignoranza pago laute commissioni al mio gestore.

Seconda considerazione: mentre negli USA le scelte delle Autorità pubbliche - anche in ordine all'utilizzo di fondi pubblici - hanno in ultima analisi, come unica bussola, la minimizzazione degli effetti della risoluzione in particolare a livello sistemico, in UE le regole dell'Unione Bancaria si intersecano con le competenze della Direzione Generale per la Concorrenza all'interno della Commissione Europea.
Il paper sottolinea come "il sistema legale relativo agli Aiuti di Stato rappresenti una parte importante delle politiche sulla concorrenza. L'utilizzo di risorse pubbliche nei Paesi membri dell'UE è consentita soltanto se contribuisce agli obiettivi di comune interesse ed alla crescita economica" (quanto siano davvero di comune interesse gli obiettivi fissati dalla Commissione Europea è spiegato assai bene qui, N.d.R.). La norma di riferimento è l'art. 107 del TFUE: "salvo deroghe contemplate dai Trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza". Ai commi 2 e 3 si trovano le eccezioni. Quelle legittime in ogni caso ("gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall'origine dei prodotti; gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali; gli aiuti concessi all'economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania...") e quelle legittime previo giudizio della Commissione ("gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione...; gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro; gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche...;  gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio...".
Questa situazione crea un potenziale conflitto difficilmente componibile, come sta dimostrando il caso Montepaschi (che, come è noto, si qualifica quale "ricapitalizzazione precauzionale" ed è pertanto sottoposta non al bail-in vero e proprio, quanto piuttosto al principio del burden sharing di cui alla Comunicazione DG COMP del 30 luglio 2013, oggetto anche della nota sentenza della CGCE). Infatti: da un lato, "quando l'uso di strumenti di risoluzione comporta l'erogazione di Aiuti di Stato, gli interventi pubblici devono essere determinati nel rispetto con le norme rilevanti in materia di Aiuti"; dall'altro, la stessa Direttiva BRRD - in ordine alla legittimità di un intervento pubblico - richiama la presenza del "grave turbamento all'economia" e fissa altresì alcuni paletti, molto stretti, anche rispetto alle modalità di tale intervento (in sostanza, garanzia statale sulle nuove emissioni obbligazionarie o acquisto di strumenti di capitale proprio a prezzi di mercato: quello che prevede il D.L. 237 del 2016).
Si ricrea nuovamente un problema di fiducia (e, in seconda battuta, addirittura di sovranità). Alla mancanza di una assicurazione europea che garantisca i depositanti, con i bei risultati cui ho accennato sopra (e di cui sono piene le cronache), si aggiunge l'assenza di un sistema di back-stop pubblico che non sia il ricorso all'ESM nelle sue varie forme. Ma si sa: l'ESM impone condizionalità. E le condizionalità le stabilisce la Troika (quella vera, non quella qui accanto).
La cosa è resa ancora più grave dal fatto che la disciplina sul bail-in si applica - senza neppure norme transitorie - a partire dal 2016, mentre l'implementazione definitiva dei requisiti MREL (Minimum Requirement for own funds and Eligible Liabilities: requisito introdotto dall'art. 45 della BRRD, si tratta del coefficiente dato da fondi propri e passività ammissibili fratto passività e fondi propri, includendo pertanto al numeratore, oltre al capitale regolamentare anche altre passività con particolari caratteristiche) e TLAC (analogo coefficiente di vigilanza, valido solo per gli Istituti di rilevanza sistemica e livello globale, che press'a poco corrisponde al MREL, salvo prevedere la subordinazione degli strumenti eleggibili: v. articolo qui) non avverrà prima di fine 2018. Ad oggi, vi sono differenze sostanziali, tra le varie legislazioni dei diversi Stati membri, non soltanto in relazione alle leggi fallimentari ed alle modalità di riscossione delle garanzie, ma anche nella trasposizione dei requisiti TLAC e MREL previsti a livello europeo (ad esempio, la legislazione francese ha creato una nuova categoria di titoli senior ma "non-preferred"- cioè subordinati - in opposizione ai titoli senior "e" preferred).
Evidentemente, il risparmiatore si sentirebbe molto più tranquillo (soprattutto all'atto di acquistare obbligazioni senior della Banca) laddove il proprio Istituto di credito potesse esporre un TLAC tale da garantire il rispetto della soglia dell'8% prevista dalla BRRD. Il che, comunque, non risolve il connesso problema in ordine alla capacità del mercato di assorbire gli strumenti che le banche dovranno emettere per rispettare i requisiti di cui sopra.

Infine, un'ultima considerazione, la più importante, e cioè la assoluta discrezionalità, sfociante nell'arbitrio, in merito alle modalità di applicazione delle disposizioni del DFA e della BRRD. Arbitrio che, nel caso statunitense, è in qualche modo necessitato dalla volontà dell'organo politico di poter decidere sull'esistenza di fattori di rischio o di opportunità tali da imporre una deviazione dalle regole prefissate, mentre nel caso leuropeo (dove un organo politico democraticamente responsabile manca, così come manca qualsiasi forma di solidarietà - leggi: trasferimenti - fra Paesi membri) finisce per tradursi nel noto adagio secondo cui le leggi per gli amici si interpretano e per i nemici invece si applicano.
Secondo il documento, "deve essere chiaro che il primo a muoversi è l'SSM, sulla base delle sue risultanze contabili. Considerazioni di opportunità politica dovrebbero essere lasciate al Consiglio e alla Commissione". Cioè a due organi non eletti.
Le evidenze empiriche riportate nella seconda parte del documento sono, in questo senso, disarmanti. Si tratta di poche paginette che consiglio a tutti di leggere; riporto comunque, per comodità, la tabella riassuntiva finale, nella quale gli estensori calcolano il rapporto fra le risorse pubbliche impiegati nelle diverse ricapitalizzazioni di banche e il totale di tali ricapitalizzazioni (tale rapporto è definito con l'acronimo "PSI").


A volte i casi della vita sono veramente strani: le maggiori risorse pubbliche (in proporzione) sono state utilizzate per salvare una banca franco-belga, mentre in un solo caso tutta la ricapitalizzazione è gravata sulle spalle dei privati (e il caso riguardava una banca cipriota). D'altronde, gli estensori del paper notano più volte, come se fosse una cosa normale, che la procedura di bail-in seguita a Cipro andrebbe studiata al fine di sapere come non gestire una situazione analoga, ma che la questione non ha in pratica avuto importanza dal momento che la maggior parte dei correntisti erano di nazionalità russa. Rimando ad altri l'arduo compito di rintracciare il nesso di causalità tra le affermazioni.

Le soluzioni prospettate, peraltro, sono assai peggiori del male. Il mantra è sempre il solito: se una cosa non funziona, è perché ne serve di più (mito dell'insufficienza).

Siccome gli interventi, tardivi e parziali, nei confronti delle banche europee creano instabilità finanziaria e volatilità, servono più interventi e di maggiore portata (con conseguenti perdite gravanti sui risparmiatori), perché maggiore volatilità a breve significa minore volatilità nel lungo termine (tutti sappiamo, in effetti, che non vi sarà volatilità, nel Regno dei Cieli). "I Regolatori dovrebbero applicare le regole, senza prestare orecchio alle Cassandre secondo cui qualsiasi evento è sistemico... In quest'ottica, il principio di fondo dovrebbe essere 'mai sprecare una crisi'. Il ritardato intervento nel caso del Monte dei Paschi di Siena è, a nostro parere, uno dei casi in questione".
Siccome per quasi quaranta pagine gli autori si sono lamentati della scarsa trasparenza nella applicazione delle procedure, della voluta vaghezza delle norme (il concetto di "rischio sistemico" non è mai definito nei testi leuropei), dell'arbitrio con cui spesso queste sono applicare, si chiede una maggiore indipendenza dell'SSM (basata sulla nomina di membri stabili, cioè di tecnici, di saggi), così da rendere ancora più grave il problema, che è evidentemente un problema di mancanza di rappresentatività democratica.
Siccome gli Autori hanno appena scritto sessanta pagine su cosa non funziona in questa farraginosa regolamentazione leuropea, concludono giustamente dicendo che ci vuole un'unificazione a livello di UE anche in materia fallimentare, e delle banche e delle imprese. Non solo: se il sistema è malfunzionante è perché l'UEM non si configura ancora come un unico sistema giurisdizionale (mito della radicalità).
Manco a dirlo, la liquidità straordinaria (ELA) per le banche in risoluzione dovrebbe essere erogata come minimo dalla BCE e non dalle Banche Centrali nazionali, ma meglio sarebbe addirittura un intervento del Single Resolution Fund (SRF).
Il finale è in linea con le proposte precedenti.
Gli Autori testualmente propongono di "subordinare una ricapitalizzazione precauzionale a condizioni maggiormente stringenti, tra cui una serie di elementi quantitativi e qualitativi, al fine di evitare un uso discrezionale dei fondi pubblici prima dell'apertura di una procedura di risoluzione" (addirittura, propongono di inserire, negli stress test, uno scenario intermedio tra lo scenario base e quello avverso, imponendo il bail-in e non la ricapitalizzazione preventiva anche in caso di fallimento soltanto degli ultimi due) e di "limitare le eccezioni al principio del bail-in a categorie chiaramente definite di debito".

Quello che ci hanno riservato passato e presente lo abbiamo visto. Forse queste proposte ci svelano anche cosa ci riserverà il futuro.

martedì 26 luglio 2016

Montepaschi #2 (un po' d'ordine sul bail-in)

Insomma, alla fine pare che la soluzione prescelta per dare ancora un po' di ossigeno al malato terminale Montepaschi (con ogni probabilità unico bocciato agli esami truccati degli stress test) sia quella "di mercato", ammesso che - nel pasticciaccio brutto che sta diventando la gestione del sistema finanziario italiano - questo termine abbia ancora un qualche senso.
Nella pratica Atlante, una volta rimpinguato di nuovi capitali (500 milioni dalle Casse di previdenza, 1 miliardino da SGA e CDP, qualche altro soldarello ancora da Unicredit e Intesa, tanto son messe bene), dovrebbe acquisire 9 miliardi e 600 milioni di sofferenze nette della banca, a un prezzo non di molto sotto di quello di mercato, "creando" così un ammanco di capitale per Mps stimabile tra i 2 e i 3 miliardi di Euro. Ne abbiamo diffusamente parlato in calce a questo post.
La BCE, dicono, ha chiesto uno sforzo ben maggiore, diciamo pure doppio. Nel frattempo, il governo preme su UBI perché faccia da cavaliere bianco e si mangi tutto il boccone, rimanendone prevedibilmente strozzato. A volare sulle carogne sta già l'avvoltoio (sotto forma di garante dell'eventuale aumento, nonché - udite udite - di emittente del prestito ponte da 6 miliardi tondi tondi che servirà a Atlante in attesa della cartolarizzazione GACS): JP Morgan.
Non è detto che poi tutto finisca in qualcosa di più opaco, una soluzione mista che preveda lo spezzatino di parte della rete Mps (UBI che si prende Antonveneta, Banco Popolare che si prende il brand della Banca dell'Agricoltura: vedi qui) e un aumento ridotto.
Non è secondario, peraltro, sottolineare ancora una volta che questa sedicente "operazione di mercato", se sarà portata a termine, andrà a spese dei pensionati che versano nelle casse previdenziali diverse dall'INPS (leggi: professionisti). Che poi queste Casse siano controllate dal Ministero dell'Economia, che è anche socio di Montepaschi, è un dettaglio insignificante.
O, in altri termini...
Né meglio è la proposta di Boccia, che tornato di recente da Marte si straccia le vesti per la situazione delle banche italiane e propone di risolverla dissanguando Cassa Depositi e Prestiti, cioè - senza troppo girarci intorno - il risparmio postale.
Già questo basterebbe a comprendere con chi si ha a che fare. Tuttavia in questo post vorrei approfondire un'altra questione.
E cioè: se l'art. 32 della Direttiva BRRD, cioè della Direttiva che ha istituito il bail-in, permette (laddove la banca necessiti "di un sostegno finanziario pubblico straordinario... al fine di evitare o rimediare a una grave perturbazione dell’economia di uno Stato membro e preservare la stabilità finanziaria") che lo Stato provveda ad "una garanzia dello Stato a sostegno degli strumenti di liquidità forniti da banche centrali... [o] sulle passività di nuova emissione", oppure a "un'iniezione di fondi propri o all'acquisto di strumenti di capitale a prezzi e condizioni che non conferiscano un vantaggio all'ente...", perché il governo italiano ha deciso non solo di non sottoscrivere un eventuale aumento di capitale di Montepaschi ma, pare, neppure di garantirlo?
Eppure Rodomonte da Rignano aveva ben preso questa strada! A Siena - freschi freschi della carriera appena corsa - già si esultava, anche se sottovoce per non disturbare il manovratore...
La spiegazione sta nel successivo comma del medesimo articolo 32.
"...Le garanzie o misure equivalenti ivi contemplate sono limitate agli enti solventi e sono subordinate all'approvazione finale nell'ambito della disciplina degli aiuti di Stato dell’Unione. Dette misure hanno carattere cautelativo e temporaneo e sono proporzionate per rimediare alle conseguenze della grave perturbazione e non vengono utilizzate per compensare le perdite che l’ente ha accusato o rischia di accusare nel prossimo futuro".
Le garanzie sono subordinate all'approvazione finale nell'ambito della disciplina degli aiuti di Stato.
Qui sta tutto il rebus.
- Eh, ma la Germania...!
- Sì, però la Commissione...!
Tutto vero.
In parte.
Cioè falso.
La Commissione, già in tempi non sospetti, ha specificato in quali casi è possibile procedere ad un aiuto di Stato nei confronti di una Banca.
Lo ha fatto in modo formale, con propria Comunicazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 30 luglio 2013.
Di recente, questa Comunicazione ha fatto molto parlare di sé, perché è stata oggetto di una Sentenza della Corte di Giustizia UE (CGUE) dello scorso 19 luglio, relativa alla sua validità ed alla sua corretta interpretazione (si tratta della causa C-526/14, che trovate qui).
Ovviamente, i giornali ci si sono buttati a pesce, dando della pronuncia le interpretazioni più stravaganti. Riporto qualche tweet tra i più deliranti.


In realtà, la sentenza - trattando della corretta interpretazione di una Comunicazione del 2013 - difficilmente avrebbe potuto pronunciarsi sul sistema del bail-in, introdotto del 2014, a meno di non riconoscere ai giudici capacità divinatorie che, francamente, non credo abbiano. Forse si voleva dire che la Corte, con la propria pronuncia, ha riconosciuto la legittimità dei diversi sistemi legali che impongono ad azionisti e creditori delle banche di partecipare al risanamento delle stesse e che un particolare tipo di questi sistemi è proprio quello di cui alla Direttiva BRRD.
Però capisco che si tratta di un periodo di tre righe con due proposizioni unite in modo paratattico, un po' troppo per il giornalismo nostrano.
Ora, la Comunicazione del 2013 è molto chiara nello stabilire il principio per cui aiuti di Stato possono "essere concessi soltanto a condizioni tali da comportare un’adeguata condivisione degli oneri da parte degli investitori esistenti" (punto 40). Tale adeguata condivisione "comporterà di norma, una volta che le perdite saranno state in primo luogo assorbite dal capitale, contributi da parte di detentori di capitale ibrido e di debito subordinato... nella massima misura possibile..:", non essendo invece necessario il contributo dei "detentori di titoli di debito di primo rango" (punti 41 e 42). In altri termini: "gli aiuti di Stato non devono essere concessi prima che capitale proprio, capitale ibrido e debito subordinato siano stati impiegati appieno per compensare eventuali perdite" (punto 44).
Certo, il successivo punto 45 aggiunge che "è possibile derogare a quanto richiesto ai punti 43 e 44 se l’attuazione di tali misure metterebbe in pericolo la stabilità finanziaria o determinerebbe risultati sproporzionati", qualora "l’importo degli aiuti da concedere sia limitato rispetto agli attivi della banca ponderati per il rischio e la carenza di capitale sia stata notevolmente ridotta, in particolare mediante misure di raccolta di capitale..." sul mercato, ma mi pare chiaro che la Commissione ha recisamente escluso questa evenienza.
Sulla questione, peraltro, ha scritto un post di grande pregnanza Luciano Barra Caracciolo.
Ricapitoliamo fino a qui.

La BCE ha intimato a Montepaschi di cedere 10 miliardi di sofferenze nette. O ora o subito. Se le dovrebbe comprare Atlante, probabilmente a un prezzo superiore a quello di mercato, ma non abbastanza alto per evitare un aumento di capitale alla banca. L'aumento, ovviamente, non lo sottoscriverebbe nessuno, con conseguenti scenari di bail-in. Il bail-in, però, comporta perdite in termini economici per i risparmiatori (detentori di bond subordinati ed anche senior, forse correntisti), ma soprattutto perdite in termini elettorali per Matteo nostro. Dunque l'ideona è mettere una garanzia statale all'aumento, o addirittura sottoscriverlo, utilizzando la "scappatoia" dell'art. 32 della BRRD. Che però, ahimé, impone di sacrificare gli obbligazionisti subordinati, come richiesto dalla Commissione già nel 2013 (è quello che, i giornalisti fichissimi, chiamano burden sharing). Comunque, eventualmente, dicono sempre a Bruxelles, questi bond holders li potete indennizzare "a cose fatte", restituendo - a certe condizioni - il maltolto.

E allora, qual è il problema?
I problemi sono due. Uno è questo.


Montepaschi ha ancora sul mercato 5 miliardi di subordinati, la maggior parte dei quali piazzati al retail (cioè in mano alle famiglie). Applicare il principio del burden share significherebbe dunque mettere in seria difficoltà moltissime persone, spesso ex dipendenti della Banca, che si sono fatti pagare i premi di rendimento e parte della liquidazione in azioni, e che per spirito di fedeltà hanno anche sottoscritto, con ulteriori risparmi, titoli con un buon rendimento, certo più rischiosi di un senior bond, ma comunque garantiti da quello che, un tempo, era fra i più solidi istituti italiani.
Renzi questo lo sa. E sa anche che moltissime di queste persone vivono in Toscana. Una regione che, dopo questa catastrofe, potrebbe essere assai meno rossa che in passato (ma tanto lui si consola con la nuova roccaforte di Varese).

La soluzione al problema sembrerebbe però a portata di mano. Prima si tosano i bond subordinati, quindi si costituisce un meccanismo di indennizzo automatico per i risparmiatori colpiti. Ma ecco che si presenta il secondo problema.
Il governo - in primo luogo - non può non tenere conto della gestione micragnosa e sostanzialmente punitiva dei rimborsi per i detentori di obbligazioni subordinate di Banca Etruria (ne abbiamo parlato diffusamente qui).
Ma, soprattutto, non può non tenere conto di quanto è successo in Portogallo, dove la Banca centrale portoghese - per migliorare i ratio patrimoniali del Novo Banco, ex Banco Espirito Santo - ha imposto, a fine 2015, il trasferimento da NB (nuova good bank teoricamente sana, in realtà piuttosto malandata) al vecchio BES (rimasto in piedi come bad bank, per la gestione delle sofferenze pregresse) di quasi 1 miliardo e mezzo di bond senior.
Si è scatenato il finimondo.
In realtà, la scelta è stata fatta con un criterio.
Quei bond erano in mano, per intero, a investitori istituzionali internazionali, i quali l'hanno presa così bene da denunciare la Banca del Portogallo di fronte alla magistratura lusitana. Oltre che, un po' più in sordina, ma con risultati ben visibili, a rendere un inferno le aste dei titoli governativi portoghesi.
Osservo, di straforo, l'equilibrio e veridicità con cui titolò all'epoca il Sole24Ore.


Comunque, il grafico dello spread dei titoli portoghesi è questo.


Raddoppiato da dicembre a febbraio.
La morale è molto semplice: se lo Stato mette i soldi, gli obbligazionisti subordinati ci rimettono l'osso del collo. Punto e basta. Ai governi resta solo una scelta: perdere le elezioni, o perdere clienti alle aste dei propri titolo di Stato. È tra gli inconvenienti di aver voluto una Banca centrale così detta indipendente.
Ecco allora che, alla fine di questo ridicolo gioco dell'oca, si ritorna alla prima casella. Si inventa un'operazione di mercato, che di mercato non è, che non risolverà i problemi di Montepaschi, ma esporrà a maggior rischio Unicredit e Intesa, e probabilmente affosserà UBI.
Triplete.


Ciò detto, mi sia concessa qualche nota autobiografica. Chi non è interessato, smetta pure di leggere, non si perderà nulla.
Montepaschi, il burden sharing lo ha già provato, eccome. Ha inciso sulla carne viva di una comunità, oltre che su quella di chi, come me, è dipendente di quello che un tempo ne era il maggiore azionista e che ora si trova a possedere meno dell'1,5%.
A novembre 2008 Mps acquista Antonveneta. I giornaloni, ovviamente, stappano autarchicamente spumanti e champagne, mentre la borsa penalizza fortemente il titolo, visto il prezzo assai elevato, di 9 miliardi di Euro (in realtà, alla fine, l'esborso vero - compresa copertura delle linee di credito attivate da Santander - sarà quasi doppio, pari a 17 miliardi), per di più pagato cash con 8 bonifici, di cui uno, chissà perché, di 2 miliardi e mezzo, indirizzato alla Abbey National Treasury a Londra (i maligni sostengono poi che sia tornato indietro grazie allo scudo fiscale, ma noi ovviamente, in mancanza di riscontri certi, non c crediamo).
Per pagare questa massa immensa di denaro, a maggio 2008 il Monte lancia un aumento di capitale da 5 miliardi (di cui 2 e mezzo sottoscritti dalla Fondazione) ed emette, tra i primissimi in Italia, un c.d. "titolo ibrido", un altro miliardino tanto per gradire. Il famigerato Fresh. La Fondazione, in sostanza, ne sottoscrive - sia pure non direttamente - la metà.
Chiariamo una cosa. Montepaschi questi soldi li incassa, certo. Ma li gira, come detto, al Santander. Sono, quindi, 7 miliardi (di cui 3 miliardi e mezzo di una città, di un popolo) letteralmente buttati. Non solo, oltre questo, al Santander - o a chi per lui - di miliardi ne arrivano altri 10.
Montepaschi non ha più un soldo in cassa.
Sì, perché per quanto sembri strano a molti scienziati di Twitter, le banche i soldi devono procurarseli, non li fabbricano. Normalmente se li fanno prestare da altre banche, tant'è vero che - a seconda della divisa prescelta - esistono anche appositi tassi di riferimento: qualcuno avrà sentito parlare di Euribor e Libor (per altri, nonostante l'attività dell'apostolo della tecnica bancaria, è una partita persa).
Ora, stiamo parlando di un periodo in cui Unicredit "andò per uno" dal fallire proprio per problemi di liquidità (aumenti di capitale a raffica: 3 miliardi nel 2009, 7 miliardi e mezzo a inizio 2012). Erano gli anni in cui, venuta meno la specializzazione delle banche, per gonfiare i Roe a due cifre (con conseguente bonus per l'A.D.) si era presa l'ottima piega di indebitarsi a breve, anzi a brevissimo, e di impiegare a lungo, se non a lunghissimo. Con ovvie conseguenze una volta che lassù al Nord, travolti dalla crisi dei subprime, decisero di chiudere alcuni rubinetti.
Bene, proprio in questo periodo, per l'esattezza a primavera 2010, Banca d'Italia inizia a mettere Montepaschi nel mirino, convoca più volte Mussari - nel frattempo divenuto Presidente dell'Abi (per dire la lungimiranza) -, si reca a Siena, inizia un'ispezione vera e propria, conclude evidenziando i forti problemi di liquidità determinati da alcune operazioni in derivati su titoli di Stato (passati poi alla storia patria sotto i nomi di Alexandria e Santorini) e imponendo l'invio a Roma di dati giornalieri proprio sulla liquidità.
In questo contesto Mussari assicura formalmente alla Fondazione che nessun aumento di capitale è all'orizzonte. E la Fondazione ci crede. Ci crede davvero, tant'è che - quando viene lanciato, nel giugno successivo - l'aumento di capitale da 2 miliardi, si trova totalmente impreparata. Sia questo aumento, sia soprattutto quelli successivi del 2014 e del 2015 (8 miliardi in due anni), hanno una caratteristica, quella cioè di essere "iperdiluitivi". Che è come dire: se sottoscrivi bene, se non sottoscrivi quello che hai non vale più nulla.
Cioè, il bail-in (sia pure per i soli azionisti) prima del bail-in. Così la Fondazione, negli ultimi attimi della propria grandezza, nell'estate 2011, per sottoscrivere l'aumento pro quota (il 48% del totale), si trova indebitata di 1 miliardo di Euro (sì, esatto, prende un finanziamento, da restituire per certo, per acquistare azioni, dal corso incerto). Il successivo crollo del titolo Mps la rende inadempiente nei confronti delle banche finanziatrici già a novembre. Prima dell'aumento del 2014 - e dopo un drammatico rinvio, a fine 2013, dell'aumento da 5 miliardi grazie all'energia e alla sagacia di una donna maremmana che ha fatto per Siena quello che generazioni di senesi non hanno saputo fare - la Fondazione ha venduto quasi per intero il suo pacchetto azionario in Montepaschi, ma soprattutto, per rientrare del proprio debito, ha ceduto, come ha potuto, tutti i gioielli di famiglia: la quota in Intesa, quella in Mediobanca, quella in Cassa Depositi e Prestiti, quella nel fondo Clessidra, e così via. Resta con un piccolo peculio di risorse liquide, meno di un decimo di quelle che furono.
Ma non basta. Il Fresh, in quanto titolo subordinato, cessa di pagare le cedole ed inizia a perdere in modo significativo di valore, finché non diventa addirittura conveniente per i suoi detentori convertirlo, secondo regole prefissate, in azioni Mps. In media, l'80% dell'investimento viene meno, il resto segue il corso delle altre azioni Montepaschi. E così il bail-in, che non si chiamava bail-in, si abbatte anche sugli ibridi. Cerchio chiuso.
Il resto è storia recente. Riguarda solo marginalmente me, e quasi per nulla Siena.
Probabilmente il prossimo aumento darà atto, ufficialmente, di una fine già scritta. Anche l'Impero romano era caduto ben prima del 476.

martedì 28 giugno 2016

Odiare la democrazia (e gli ultimi singulti di Atlante)

Faccio una premessa importante. Sono convinto che la Brexit segnerà un punto di svolta nella storia dell'Unione Europea: tra qualche anno - non so quanti: cinque, dieci - sui libri di storia leggeremo del voto di giovedì scorso come del primo episodio di riappropriazione, da parte di un popolo, del proprio destino. Ne seguiranno altri... temo che noi saremo fra gli ultimi.
Ovviamente, come capita ad ogni dissoluzione di un impero, gli ultimi singulti di vita saranno quelli più pericolosi. Le élites, messe al muro, divengono più cattive e più pericolose, come i serpenti velenosi. In questi giorni ne abbiamo avuto una (prima) prova abbastanza clamorosa: sui giornali, alla televisione, sui social media, è stato tutto un florilegio di apologie del voto censitario (quando è andata bene) o, addirittura, dei sistemi dittatoriali (quando è andata meno bene).
Non riporto tutte le idiozie pubblicate da parte dei Soloni nostrani: rimando all'ottimo post di Barbara Tampieri, che trovate qui. Ne mostro solo un paio, perché sono - a mio avviso - particolarmente significativi. Il primo è la "provocazione" (ipse dixit) di Nathania Zevi, giornalista di RAI 3 e compagna di David Parenzo:
La signora, probabilmente, quando provoca si astrae dalla storia europea degli ultimi cento anni (oppure dalla propria intelligenza).
D'altronde, vi erano ebrei anche fra i Sansepolcristi.
L'altro è invece, a quel che mi consta, il primo esempio di copertura pseudo-scientifica a questo delirio antidemocratico.
Nel mio piccolo, allora, vorrei portare anch'io un po' d'acqua al mulino di queste teste di cazzo che amano tanto - a parole - le masse, ma poi schifano - nei fatti - i popoli. Teste di cazzo che, per inciso, riecheggiano parole antiche e venerande, ma le fraintendono senza neppure conoscerle.

Platone (Repubblica, 562.b): "...la tirannide nasce dalla democrazia allo stesso modo in cui questa nasce dall'oligarchia... Il bene che i cittadini si proponevano... e per il quale avevano istituito l'oligarchia era la ricchezza eccessiva..., ma l'insaziabile brama di ricchezza e la noncuranza d'ogni altro valore a causa dell'affarismo l'hanno portata alla rovina... Quando una città democratica, assetata di libertà, viene ad essere retta da cattivi coppieri, si ubriaca di libertà pura oltre il dovuto e perseguita i suoi governanti, a meno che non siano del tutto remissivi e non concedano molta libertà, accusandoli di essere scellerati e oligarchici... e ricopre d'insulti... coloro che si mostrano obbedienti alle autorità, trattandoli come uomini di nessun valore, contenti di essere schiavi, mentre elogia e onora in privato e in pubblico i governanti che sono simili ai sudditi e i sudditi che sono simili ai governanti...".
Pseudo Senofonte (La Costituzione degli Ateniesi, 6): "si potrebbe sostenere che non avrebbero dovuto consentire a tutti di parlare e di decidere liberamente, ma solo agli uomini più capaci e più dotati... Se infatti esprimessero il proprio parere e assumessero decisioni persone di qualità, sarebbe un vantaggio per le persone uguali a loro...".
Polibio (Storie, VI 4,6-10): "Si deve dunque ritenere che esistano sei forme di governo, cioè le tre che tutti ammettono..., e tre simili a queste, cioè la tirannide, l’oligarchia, l’oclocrazia. In modo spontaneo e naturale sorge prima di ogni altra forma la monarchia, dalla quale deriva poi, in seguito a opportune correzioni e cambiamenti, il regno. Quando questo incorre nei difetti connaturati a sé e diventa tirannide, viene abolito e al suo posto subentra l’aristocrazia. Quando, in base a un processo naturale, essa degenera in oligarchia e il popolo, indignato, punisce l’ingiustizia di chi comanda, sorge la democrazia. Quando questa a sua  volta diventa colpevole di illegalità e violenze, con il trascorrere del tempo si forma l’oclocrazia".
Aristofane (Cavalieri, Prologo): "Noi due s'ha per padrone uno zotico strano, un mangia-fave irascibile: Popolo pniciano, vecchiettino bisbetico e sordastro. Questi, lo scorso mese, comperò un servo, il conciapelli Paflagone, furbo e calunniatore quanti altri mai. Costui, capite le debolezze del vecchio..., si fece sotto al padrone, e cominciò a lisciarlo, adularlo, raggirarlo con limbelli di cuoio putrefatto. E gli diceva: «Discussa appena una sola causa, oh Popolo, fa' il bagno, sgrana, succhia, rodi, intasca i tre oboli. Vuoi che t'ammannisca la cena?» Ed arraffato ciò che aveva apparecchiato qualcuno di noi, se ne faceva bello col padrone, il Paflagone! Non solo: quando ebbi impastata in una pila quella pizza spartana, questo fior di birba mi mise in mezzo, me la prese, e offrì lui quello che impastato avevo io! E noi ci scaccia, e non lascia che altri serva il padrone; e mentre questi pranza, gli sta vicino, e scaccia... gli oratori con una sferza di cuoio; e gli recita degli oracoli: il vecchio ne va in estasi! Quando poi te lo vede incitrullito, fa il suo mestiere; e a furia di menzogne calunnia quei di casa; e poi la frusta tocca a noialtri!...".
(Nessuno di questi sarebbe a favore della tesi per cui i giovani debbano avere maggior peso politico rispetto agli anziani, a dire il vero, ma non stiamo tanto a sottilizzare...).

Bene, giganteschi imbecilli: vi rendete conto di ragionare come aristocratici vissuti due o trecento anni prima di Cristo? Quelli, poi, erano mostri del pensiero, che tanto hanno seminato nel bene e nel male, hanno avuto allievi e oppositori, e da tutti è nata qualche pianta feconda. Voi invece siete nani del peto mentale, che ripetete stancamente riflessi vecchi di due millenni, senza aggiungere nulla, tutti presi da un'egolatria che vorrebbe umiliare i popoli, e invece umilia solo se stessa. Fate pace col cervello, prima di parlare. E tanto basti.

Detto questo, in realtà volevo parlare di tutt'altro. Infatti, visto che la sovranità limitata va così tanto di moda, mi sembrerebbe giusto applicarla in primo luogo a chi utilizza la libertà di opinione per disinformare - a ragion ve(n)duta - gli altri. Sì, perché permettere di esprimere un'idea è democrazia, farsi scudo di questo principio per negare i fatti è, come minimo, cialtronaggine.
Tutto questo c'è chi lo dice da tempo, e come al solito i fatti lo dimostrano ottimo profeta.
Prendiamo - una categoria a caso - i giornalisti. Due a caso (colpendo nel mucchio): un giornalaccio di carta e un sito orrendo.



Rivoli di sangue, "peggio dell'11 settembre". Crolli. Rovine.
Sicuri?
Sicuri sicuri?
Vediamo.
La sterlina, sicuramente, avrà svalutato ai minimi storici.



Ma... ma... ma... certo c'è stato un calo, ma il cambio con l'Euro è tutto sommato entro un range di normalità (i dati sono a 5 anni), mentre la significativa perdita rispetto al Dollaro si spiega piuttosto nel quadro dell'apprezzamento della valuta statunitense, che nonostante tutto appare ancora, a molti, come un bene rifugio in momenti di incertezza.
Infatti, anche il cambio fra Euro e Dollaro mostra dinamiche simili, ancorché meno violente (anche perché la Sterlina viene da una storia di rivalutazione, mentre l'Euro ha perso, rispetto a un annetto fa, circa il 40% del suo valore rispetto al bigliettone verde).



Dice: si, però vorrei vedere l'impennata dei Titoli di Stato inglesi... Che, in effetti, c'è stata, però nel senso esattamente opposto a quello inteso dal nostro amico piddino (ognuno di noi ne ha uno, tipo l'Angelo Custode, ma molto meno discreto).



Eh sì, è vero... ma hai visto come è salito il CDS del Regno Unito? (Il piddino ha appreso ieri l'esistenza del CDS, ma sono già amici).


C'è una fase di violenta turbolenza sui mercati, il futuro è molto incerto, mi sembrerebbe strano che il CDS di un Paese direttamente coinvolto in questo bailamme non salisse. Però, anche qui, forse bisognerebbe dire qualche cosa in più. Per esempio, fare un confronto fra il valore assoluto del CDS britannico (attorno a 80) con altri Stati. Vogliamo prendere l'Italia, tanto per fare un esempio?


Come si vede, siamo oltre 180, cioè più del doppio rispetto a quello inglese. Vogliamo continuare a discutere di rischiosità?

Sì, perché la Brexit ha fatto male soprattutto al mercato azionario, o per essere più precisi al mercato azionario riguardante il settore finanziario, o per andare ancora più a fondo ha sostanzialmente travolto le banche italiane, grandi o piccole che fossero.

I grafici che seguono mostrano lo storno del listino inglese (che riporta a valori di metà 2015), lo storno di quello italiano (precipitato ai minimi da fine 2012), la caduta libera delle banche nel nostro Paese.




Però, a guardare bene, la Brexit è solo una piccola parte di una perdita di valore che, da inizio 2016, sembra inarrestabile. Se non fosse che i giornaloni, i media tutti, gli "opinionisti", i politologi, per non parlare degli economisti, non ne hanno fatto alcun cenno, mi verrebbe da pensare che questa terribile debolezza, questa mancanza di anticorpi che trasforma un banale raffreddore in una broncopolmonite, sia dovuta al combinato disposto di due eventi verificatisi proprio a cavallo del nuovo anno: l'entrata in vigore delle norme sul bail-in, anticipate dall'esecrando decreto legge sulle "quattro banche", la valutazione - molto al di sotto dei valori di bilancio - dell'enorme stock di sofferenze detenuto dagli istituti italiani, desumibile sia dal succitato decreto legge, sia dalle letterine schizofreniche inviate dalla BCE in occasioni di recenti aggregazioni di popolari.
Il problema vero, dunque, non è uscire dall'UE (e la Gran Bretagna lo dimostrerà, facendo mangiare un'ala di fegato alle élites di Bruxelles, escluso Juncker che il fegato non lo ha più da tempo). Il problema vero è restare nell'Unione Monetaria, che non solo porta all'azzeramento dei tassi, alla deflazione e, in ultima analisi, a una perenne crisi di domanda, cioè - per le banche - a scarsa redditività e all'esplosione delle sofferenze, ma crea anche un ambiente legale che, invece di attutire questi problemi, agisce da moltiplicatore, fino alla catastrofe.
Il nostro governo di cialtroni, vista la malaparata, cerca di correre ai ripari. Come al solito, però, ha poche idee, però quelle poche sono particolarmente confuse. Soprattutto quando devono confrontarsi coi padroni di Bruxelles, e allora diventano subito cagnolini scodinzolanti.
Siamo partiti così, proponendo aiuti pubblici per 40 miliardi in aumenti di capitale o garanzie.
Poi, siccome si è capito che si trattava di mossa non solo un tantino rischiosa (la Troika è sempre dietro l'angolo; e infatti oggi Linkiesta riciccia l'idea di utilizzate l'ESM come back-stop in caso di crisi sistemiche del settore bancario), ma anche leggermente invisa a un corpo elettorale che non arriva alla fine del mese "perché per il welfare mancano i soldi" ma in compenso nota che, in certe circostanze, i soldi si trovano sempre, si è ripiegato su strumenti più consolidati (nel senso che è fatto consolidato che NON funzionano).


Insomma, invece di 40 miliardi al massimo saranno 4. E con 4 miliardi, parliamoci chiaro, al massimo si mette una toppa al buco più grande, cioè a Mps. Se non che, come si sa, nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo ad un vestito vecchio; altrimenti strappa il nuovo, e il pezzo tolto dal nuovo non si adatta al vecchio. E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo rompe gli otri, il vino si spande, e gli otri vanno perduti.
Forse memore del dettato evangelico, il nostro premier si è dunque definitivamente ringambato.
Ovviamente Renzi dice il falso. Le nostre banche hanno bisogno d'aiuto. Le regole europee, però, vietano qualsiasi intervento razionale. Ci avviamo dunque verso il baratro, cioè verso la Troika. Dopo, almeno, anche quella parvenza ridicola di democrazia che è rimasta dal 2011 in avanti in Italia sarà spazzata via, ed a molti si apriranno gli occhi. Troppo tardi.

Si ritorna al punto di partenza.
La democrazia.
E anch'io voglio dire la mia, semplicemente citando le parole dei classici, senza scimmiottarle o fraintenderle.

"Abbiamo una costituzione che non emula le leggi dei vicini, in quanto noi siamo più d’esempio ad altri che imitatori. E poiché essa è retta in modo che i diritti civili spettino non a poche persone, ma alla maggioranza, essa è chiamata democrazia: di fronte alle leggi, per quanto riguarda gli interessi privati, a tutti spetta un piano di parità, mentre per quanto riguarda la considerazione pubblica nell'amministrazione dello stato, ciascuno è preferito a seconda del suo emergere in un determinato campo, non per la provenienza da una classe sociale ma più che per quello che vale. E per quanto riguarda la povertà, se uno può fare qualcosa di buono alla città, non ne è impedito dall'oscurità del suo rango sociale.
Liberamente noi viviamo nei rapporti con la comunità, e in tutto quanto riguarda il sospetto che sorge dai rapporti reciproci nelle abitudini giornaliere, senza adirarci col vicino se fa qualcosa secondo il suo piacere e senza infliggerci a vicenda molestie che, sì, non sono dannose, ma pure sono spiacevoli ai nostri occhi.
Senza danneggiarci esercitiamo reciprocamente i rapporti privati e nella vita pubblica la reverenza soprattutto ci impedisce di violare le leggi, in obbedienza a coloro che sono nei posti di comando, e alle istituzioni, in particolare a quelle poste a tutela di chi subisce ingiustizia o che, pur essendo non scritte, portano a chi le infrange una vergogna da tutti riconosciuta...
Riuniamo in noi la cura degli affari pubblici insieme a quella degli affari privati, e se anche ci dedichiamo ad altre attività, pure non manca in noi la conoscenza degli interessi pubblici. Siamo i soli, infatti, a considerare non già ozioso, ma inutile chi non se ne interessa, e noi Ateniesi o giudichiamo o, almeno, ponderiamo convenientemente le varie questioni, senza pensare che il discutere sia un danno per l’agire, ma che lo sia piuttosto il non essere informati dalle discussioni prima di entrare in azione. E di certo noi possediamo anche questa qualità in modo differente dagli altri, cioè noi siamo i medesimi e nell'osare e nel ponderare al massimo grado quello che ci accingiamo a fare, mentre negli altri l’ignoranza produce audacia e il calcolo incertezza. È giusto giudicare superiori per forza d’animo coloro che distinguono chiaramente le miserie e i piaceri, ma non per questo si lasciano spaventare dai pericoli.E anche per quanto riguarda la nobiltà d’animo, noi ci comportiamo in modo opposto a quello della maggioranza: ci procuriamo gli amici non già col ricevere i benefici ma col farli. Chi ha fatto il favore è un amico più sicuro, in quanto è disposto con una continua benevolenza verso chi lo riceve a tener vivo in lui il sentimento di gratitudine, mentre chi è debitore è meno pronto, sapendo che restituisce una nobile azione non per fare un piacere ma per pagare un debito. E siamo i soli a beneficare qualcuno senza timore, non tanto per aver calcolato l’utilità del beneficio ma per la fiducia che abbiamo negli uomini liberi...".

È Tucidide.
È Pericle.

martedì 23 febbraio 2016

Il Position Paper dell'Italia: "Ci arrendiamo!"

Di seguito propongo una traduzione, un po' pedestre, del Position Paper elaborato dal governo "sul futuro dell'Unione Europea". Siccome non tutti sono particolarmente anglofoni e siccome le enormità che vi sono contenute, riportate dalla stampa, sono davvero incredibili, mi sembra giusto che ognuno legga coi propri occhi.
A breve, in calce, anche un mio breve commento. Quando mi sarà ripreso da questo senso di resa senza condizioni.

Proposta strategica dell’Italia per il futuro dell’Unione Europea: crescita, lavoro e stabilità.

Il progetto europeo sta soffrendo una crisi senza precedenti: la reazione della politica alla recessione economica e ad un'ampia disoccupazione è spesso percepita come insufficiente dai cittadini europei,
che spesso hanno difficoltà a cogliere il valore aggiunto di far parte dell'Unione. Gli interessi nazionali prevalgono sul bene comune. Crescenti segnali di disaffezione, alimentati dalla
eccezionale durata e intensità della crisi, stanno incrementando in modo significativo il consenso nei confronti di proposte populiste; l'euro-scetticismo è in aumento in quasi tutti gli Stati membri.
Se l'Europa vuole essere parte della soluzione - e non del problema - dobbiamo ricostruire la fiducia
tra i nostri cittadini e gli Stati membri, e sviluppare una strategia (a livello UE) per ripristinare
crescita sostenuta e spingere l'occupazione. Abbiamo fatto molta strada verso una maggiore integrazione, ma ora l'Europa è a un bivio: se dovessimo continuare a galleggiare in qualche modo nel mezzo ad una ripresa incerta, non riuscirebbero ad emergere né un progresso nella crescita, né la creazione di nuovi posti di lavoro e l'Eurozona rimarrebbe esposta agli shock, così da vederne minata la sua stessa sostenibilità.
In questo contesto, riteniamo che l'Unione europea è una grande opportunità. Dobbiamo cogliere e
fornire ai nostri cittadini le soluzioni che si aspettano. Il governo italiano presenta pertanto un'agenda politica di vasta portata, con proposte concrete al fine di contribuire al dibattito su come tale opportunità possa diventare un progetto concreto.

1. Una fragile ripresa: sfide e opportunità
La ripresa che si sta sviluppando nel corso degli ultimi trimestri in Europa è ancora troppo modesta e fragile. L'indebolimento della domanda esterna e incertezze sulla prospettiva dell'economia mondiale mostrano un aumento dei rischi al ribasso. Un periodo prolungato di inflazione eccezionalmente bassa unita a una crescita lenta influenzano negativamente il potenziale di crescita e indeboliscono le aspettative sulle prospettive economiche future. Indicatori essenziali quali l'occupazione, la produzione industriale e gli investimenti sono ancora molto al di sotto dei livelli pre-crisi in diversi Stati membri. Gli squilibri si sono ulteriormente ampliati, con conseguenze negative sulla sostenibilità complessiva e la resilienza dell'Eurozona.
I segni di disaffezione nel progetto europeo, che aumentano il consenso nei confronti di proposte populiste, sono molto più diffusi di quanto ci si potesse aspettare anche al culmine della crisi. Questi sono stati alimentati dalla durata eccezionale di crisi, nonché dalla difficoltà di percepire il valore aggiunto di far parte dell'Unione europea. Al contrario, soprattutto in alcuni paesi, la risposta alla crisi è stata percepita come volta a esacerbare di divergenze e la segmentazione tra centro e periferia, nonostante gli sforzi politici messi in atto. Nel complesso, il mix di politiche dell'Eurozona per contrastare la crisi e sostenere una ripresa sostenuta ha dimostrato di essere inadeguato.
Una maggiore convergenza, un'accelerazione delle riforme strutturali e una più forte domanda interna sono necessarie per evitare che perdite significative e persistenti di produzione influenzino in modo permanente la crescita potenziale. Sono necessarie politiche risolute e coordinate, che vadano al di là dell'attuale mix di misure ed al contributo, comunque positivo, della BCE. Sfide urgenti - ripristinare una crescita sostenuta e ancorare le aspettative - devono essere affrontate. Se, invece, l'Europa dovesse continuare a vivacchiare nel mezzo di una ripresa esitante, non riuscirebbero a materializzarsi i necessari progressi nella crescita e la conseguente creazione di posti di lavoro, e l'Eurozona rimarrebbe vulnerabile a shock.
Inoltre, l'Europa si trova ad affrontare nuove formidabili sfide sistemiche, rappresentate dall'afflusso di migranti e richiedenti asilo. Queste sfide richiedono una politica di risposta coordinata, per fornire un sollievo immediato e progettare iniziative comuni per facilitare l'integrazione. Qualsiasi inasprimento dei controlli alle frontiere interne sarebbe dannoso per la libera circolazione del lavoro e delle merci con conseguenze negative di impatto imprevedibile.
Decisioni politiche rilevanti possono essere prese ora, seguendo un approccio integrato in cui l'attuazione di iniziative a breve termine è parte di una più ambiziosa strategia a lungo termine.

2. Un mix di politica globale
Un approccio globale per una più sostenibile e resistente Unione economica e monetaria dovrebbe mirare a rafforzare il potenziale di crescita, migliorando la regolazione la capacità di aggiustamento e la flessibilità dei mercati in tutti gli Stati membri, anche attraverso una migliore condivisione dei rischi. Questo obiettivo politico può essere pienamente raggiunto con un mix di misure politiche a breve e lungo termine. Devono essere prese iniziative su più fronti: riforme strutturali, investimenti, occupazione, settore bancario e mercato interno. Azioni su questi diversi fronti sono infatti complementari e sinergiche.

2.1 Governance per aumentare la capacità di crescita
Il sistema di governance europeo deve fornire i giusti incentivi per una politica fiscale orientata alla crescita e per un continuo sforzo riformatore. Tuttavia, ulteriori passi sono necessari, con urgenza, nei confronti di prolungati livelli storicamente bassi di investimento e di occupazione. I tre principali pilastri delineati dalle recenti "Indagini sulla crescita annuale" - rilanciare gli investimenti, perseguire riforme strutturali e promuovere la responsabilità fiscale - dovrebbe essere visti come pilastri che si rafforzano a vicenda.
La comunicazione della Commissione sulla "Flessibilità nel Patto di stabilità e crescita" ha segnato un passo in avanti nel miglioramento del mix di politiche. Essa crea gli incentivi adeguati per riforme e investimenti, rafforza il coordinamento tra politiche strutturali e politiche fiscali, innescando un circolo virtuoso: interventi strutturali e investimenti aumentano a medio termine sostenendo in tal modo la crescita di consolidamento della finanza pubblica.

2.2 La politica fiscale
In presenza di protratti tassi di crescita modesta e di bassa inflazione per un periodo eccezionalmente lungo, anche la misure straordinarie messe in atto dalla Banca Centrale Europea si stanno dimostrando insufficienti. Lo spazio fiscale dovrebbe essere pienamente utilizzato per sostenere la crescita. Allo stesso tempo, il ripristino di un ritmo sostenibile di crescita e di creazione di posti di lavoro è anche il modo più efficace per mantenere il debito su un percorso sostenibile.
Inoltre, è necessaria maggior simmetria negli adeguamenti macroeconomici. Eccedenze nelle partite correnti molto elevate hanno un impatto negativo sul funzionamento complessivo dell'Eurozona esattamente come i disavanzi. Nella misura in cui esse riflettono eccedenze di risparmio, dovrebbero essere rivolte allo stimolo degli investimenti, sia pubblici che privati. Un approccio più cooperativo per sostenere la domanda porterebbe a un equilibrio vantaggioso per tutti, permettendo così di complementare le riforme strutturali. La "procedura per gli squilibri macroeconomici" dovrebbe essere attuata in modo più efficace a questo fine.
Il nuovo Consiglio Fiscale Europeo dovrebbe avere una visione pan-europea nelle sue analisi e formulare raccomandazioni politiche fiscali per l'Eurozona nel suo complesso. Questa è la chiave per
sviluppare orientamenti di politica aggregata e una strategia di crescita a livello UE che va oltre la
semplice somma dei risultati nazionali.
Le regole di bilancio dovrebbero dimostrare la loro adeguatezza per far fronte a condizioni economiche molto difficili. Un sistema progettato per condizioni di crescita e di inflazione normali ha
dimostrato di essere incapace ad affrontare in modo efficace l'impatto di una crescita molto bassa sui potenziali di crescita e sulla dinamica del debito. Queste carenze hanno implicazioni per la misurazione di indicatori di bilancio su cui le Raccomandazioni si basano e devono essere affrontate.
L'evoluzione dei prezzi dovrebbe essere più efficacemente integrata nelle regole fiscali.

2.3 Mantenere il ritmo delle riforme
Un maggior coordinamento e una più comparazione dei risultati stimoleranno le riforme in tutti i paesi, favoriranno il sostegno politico interno alle riforme e ne miglioreranno l'attuazione. La politica monetaria accomodante crea una finestra di opportunità per aumentare lo sforzo riformatore e aumentare la crescita potenziale. Uno sforzo più coordinato tra i paesi e nuovi strumenti politici generano ricadute positive che testimoniano il valore aggiunto di essere parte di un'area economicamente integrata. Inoltre, la convergenza e una regolazione strutturale coordinata porterebbe maggiore simmetria negli aggiustamenti macroeconomici.
Tutti i paesi hanno bisogno di aumentare lo sforzo riformatore. Riforme strutturali potrebbero sostenere il riequilibrio sia nei paesi in surplus sia in quelli in deficit, poiché aprirebbero opportunità di profitto che stimolerebbero gli investimenti. Ciò consentirebbe anche di facilitare l'attuazione di una più equilibrata politica di bilancio per l'Eurozona nel suo insieme e di ridurre l'attuale sovraccarico di politica monetaria.
Inoltre, un legame molto più stretto dovrebbe essere stabilito tra analisi e raccomandazioni politiche
a livello aggregato da un lato e le loro implicazioni per i singoli paesi dall'altro, tenendo anche conto degli effetti di ricaduta delle politiche economiche nazionali su altri paesi.

2.4 Aumentare gli investimenti
Gli investimenti sostengono la domanda nel breve termine e rafforzano l'offerta e la produzione potenziale nel medio termine. In un contesto di ripresa lenta e fragile, gli investimenti sono la priorità assoluta per mettere l'Unione Europea entro un percorso di crescita sostenibile. Nel recente passato, la caduta degli investimenti nei paesi europei è stato drammatico e molto diffuso; un'inversione di tendenza è ancora molto lenta.
Per contribuire a invertire questa tendenza, la Commissione ha avviato il "Piano Juncker", creando il
"Fondo europeo per gli investimenti strategici" (EFSI). Il Piano è un'importante occasione per stimolare gli investimenti privati ​​con il sostegno pubblico. Il Piano dovrebbe attivare progetti che altrimenti non si realizzerebbero, a causa di un rischio eccessivo, fallimenti del mercato, o vincoli finanziari o di bilancio.
Il ruolo potenziale di catalizzatore del Piano deve essere sfruttato a pieno, in sinergia con le risorse del bilancio dell'UE e con le risorse nazionali, ivi comprese quelle delle "Banche nazionali di promozione", per genuine iniziative di investimento europee volte al finanziamento di beni comuni europei quali le reti trans-europee o l'Unione energetica. Iniziative ad alta intensità di conoscenze, che si concentrano sul c.d. "capitale umano", la ricerca, l'innovazione e l'educazione di eccellenza sono gli investimenti a più alto potenziale di crescita e dovrebbero essere adeguatamente supportato. Un forte impegno nelle riforme strutturali potrebbe sfruttare la ricerca di profitti e opportunità di investimenti.
I paesi dovrebbero utilizzare appieno i loro margini di manovra nella politica fiscale, se disponibili, per aumentare gli investimenti. La governance europea dovrebbe prevedere ulteriori incentivi per gli investimenti in beni pubblici europei anche a livello nazionale. Ulteriori iniziative comuni europee
dovrebbero essere prese in considerazione: progetti per aumentare il potenziale di crescita dell'UE potrebbero essere finanziati da emissioni di debito in comune.
Infine, condividiamo l'idea di una "Unione dei finanziamenti e degli investimenti", in cui il completamento dell'Unione bancaria, dell'Unione del mercato dei capitali e il Piano degli investimenti del Presidente Juncker contribuiscano a una più efficace canalizzazione del risparmio verso gli investimenti.

2.5 Completamento dell'Unione bancaria
Una priorità fondamentale è quello di completare l'Unione bancaria e preservare la fiducia nel settore bancario. Aumentare la capacità di ripresa del nostro sistema bancario, limitando l'impatto dei fallimenti bancari, è questione in cima all'agenda politica, e risultati significativi sono stati effettivamente raggiunti . Molto è stato realizzato per ridurre i rischi, in particolare rafforzando salvaguardie prudenziali per le banche con un aumento dei requisiti di capitale e di liquidità; per rafforzare la vigilanza attraverso stress-test approfonditi a livello UE e con la creazione Meccanismo Unico di Controllo (SSM). Inoltre, a seguito dell'implementazione di normative nazionali di applicazione della BRRD e con l'istituzione del Meccanismo Unico di Risoluzione (SRM), il rischio di un coinvolgimento del settore pubblico è stato significativamente limitato.
Tuttavia, le innovazioni connesse all'attuazione della direttiva BRRD sono sostanziali e l'aggiustamento delle aspettative dei comportamenti delle parti interessate per assimilare il nuovo quadro richiederà del tempo prima di essere completo. L'implementazione delle regole deve dunque essere gestita in modo adeguato per evitare l'instabilità finanziaria anche attraverso una migliore informazione, comunicazione, trasparenza e valutazione del rischio.
Inoltre, l'Unione Bancaria è ancora incompleta e deve essere dotata di strumenti efficaci per affrontare le crisi sistemiche. Un quadro normativo per la condivisione dei rischi è necessario per progredire verso prospettive credibili di stabilità finanziaria. Un Schema Europeo di Assicurazione dei Depositi (EDIS) migliorerebbe in modo significativo il funzionamento dell'Unione bancaria e garantirebbe una maggiore efficienza e stabilità finanziaria. Ancora più importante, sarebbe aumentare la fiducia, che è l'ingrediente chiave per il successo dei sistemi bancari e contribuire,
a sua volta, a ridurre i rischi. Inoltre, stabilire in anticipo una comune ed efficace misura di protezione per il Fondo di Risoluzione Unico (SRF) è necessario per rafforzare la capacità finanziaria del SRF stesso e, in generale, la credibilità del Meccanismo di Risoluzione Unico. La condivisione del rischio è parte integrante di un'Unione bancaria, il cui fine è quello di riuscire a limitare la frammentazione del mercato e la creazione di una vera parità di condizioni per le imprese in tutta l'UE.
Parallelamente, sono necessarie ulteriori misure per ridurre - entro l'orizzonte temporale opportuno - gli alti livelli di debito privato, per affrontare il problema delle sofferenze e migliorare l'efficacia complessiva degli strumenti a tutela dell'insolvenza. Accompagnare alla condivisione del rischio un'ulteriore riduzione del medesimo migliorerebbe notevolmente la stabilità finanziaria, sosterrebbe la ripresa dell'attività creditizia e spingerebbe le prospettive di crescita.
Un'Unione dei Mercati dei Capitali completamente sviluppata rafforzerà ulteriormente il sistema e potrebbe facilitare la diversificazione delle fonti di finanziamento, in particolare per le PMI, e renderebbe più ampio il Mercato unico. Inoltre, esso contribuirà a una migliore regolazione degli shock in tutta l'Eurozona, così da rendere l'Unione Economica e Monetaria più robusta e resistente.

2.6 Ampliare il Mercato unico
L'ulteriore rafforzamento del mercato interno è un'opportunità che deve essere pienamente sfruttata: c'è ampio spazio per ulteriori vantaggi, attraverso un'integrazione più stretta e una maggiore competitività. Il mercato interno è la grande conquista comune dell'Europa a 28. Il Mercato unico è stato al centro della strategia di crescita europea per più di due decenni. Tuttavia, gli interessi nazionali, le barriere istituzionali e i colli di bottiglia, sia a livello nazionale che a livello europeo, hanno impedito di sfruttare appieno i vantaggi di termini di competitività e di crescita.
I continui sforzi per rivitalizzare il Mercato unico, mirati a rimuovere gli ostacoli al Mercato Unico dei Capitali e alla creazione di una Unione dei Mercati dei Capitali, superando la segmentazione del mercato dell'energia, promuovendo l'economia digitale e l'innovazione, vanno nella giusta direzione. Per quanto riguarda l'energia, l'integrazione dei mercati nazionali avrebbe impatto significativo sulla competitività dell'economia europea. Ulteriori passi a la livello nazionale realizzerebbero ulteriori progressi verso il mercato unico, creando le condizioni per facilitare le opportunità di investimento. Le aree di intervento in cui le riforme porterebbero notevoli benefici includono la riforma della pubblica amministrazione, compreso l'accesso agli appalti pubblici, e la riforma della giustizia civile. Infine, progressi nell'affrontare la concorrenza fiscale sleale e nel raggiungimento di una maggiore trasparenza nel settore fiscale possono essere di grande beneficio alle attività commerciali transnazionali e di miglioramento del benessere dei consumatori.
Infine si deve tenere presente che la fonte più promettente di crescita per un'economia senescente come quella dell'Unione europea è la maggiore produttività guidata dall'innovazione. A tale proposito l'obiettivo di una strategia di crescita condivisa dovrebbe essere quello di andare verso quella che potremmo definire a pieno titolo una Unione dell'Innovazione, cioè un insieme integrato di iniziative, che l'UE dovrebbe adottare, per stimolare la creazione di conoscenze attraverso l'investimento nell'istruzione e nella ricerca, che sono i principali motori dell'innovazione.
La cooperazione tra Eurozona e paesi non appartenenti all'area dell'euro sarà un tema-chiave. ulteriori avanzamenti nel processo di integrazione economica e monetaria e dell'Unione europea sono, e dovrebbe essere visti, come capaci di rafforzarsi e beneficiarsi reciprocamente. La convergenza all'interno dell'Eurozona non dovrebbe comportare una divergenza con gli Stati che non sono membri dell'area dell'euro.

2.7 Uno strumento comune per gli aggiustamenti nel mercato del lavoro
Un approccio innovativo è necessario per promuovere e facilitare le regolazioni nei mercati del lavoro europei. Nell'Eurozona, in particolare, data l'assenza di meccanismi di aggiustamento dei cambi, la maggior parte dello sforzo di aggiustamento è a carico del lavoro.
Un meccanismo di stabilizzazione macroeconomica è necessario in quanto i paesi sotto rigorosi vincoli di bilancio possono non essere in grado di regolare il ciclo economico e di prendere contromisure ad un aumento della disoccupazione in caso di shock asimmetrici. Inoltre, la politica monetaria può risultare insufficiente se lo shock è specifico di un Paese.
Un meccanismo comune per mitigare la disoccupazione ciclica e le sue conseguenze rappresenterebbe un'opportunità realizzabile, per l'Eurozona, per fare un passo in avanti verso la sostenibilità e rafforzarne la dimensione sociale. Inoltre, vi sarebbero vantaggi a lungo termine, ove si consideri come alti livelli di disoccupazione per un periodo prolungato di tempo comportino un deterioramento del capitale umano, una minore produttività e un impatto negativo sul potenziale di crescita.
Un Fondo per stabilizzare il mercato del lavoro dovrebbe fornire risorse ai paesi che sperimentano forti aumenti della disoccupazione ciclica. Una volta creato, sarebbe innescato in modo automatico evitando processi decisionali lunghi e complessi.
Un regime di assicurazione contro la disoccupazione potrebbe contribuire a consolidare la crescita a medio termine, attenuando gli aggiustamenti necessari in presenza di shock negativi e limitando
gli impatti negativi sugli altri paesi. Potrebbe amplificare l'efficacia degli impatti e delle ricadute positive delle riforme nazionali. I paesi che non fossero diretti beneficiari delle misure beneficerebbero di un più stabile e prospero contesto macroeconomico. Sarebbe un ulteriore segno della irreversibilità dell'Euro, con un impatto positivo sulla fiducia.
Una struttura di incentivi adeguata può essere costruita per limitare il rischio morale ed evitare trasferimenti permanenti e unidirezionali di alcuni paesi ad altri, pur aumentando la condivisione dei rischi. Ad esempio, il meccanismo potrebbe attivarsi in presenza di una fase verso il basso del ciclo economico sufficientemente ampia in un paese, tale da portare a un aumento della disoccupazione. L'attivazione delle risorse condivise sarebbe al di fuori del controllo dei governi nazionali. Poiché il meccanismo non dovrebbe attivarsi rispetto a casi di disoccupazione strutturale, i paesi beneficiari dovrebbero comunque assumersi la responsabilità di introdurre riforme strutturali nel mercato del lavoro. Lungi dall'essere una scorciatoia per i paesi che non accelerano sulle riforme, la condivisione del rischio sarebbe una forza trainante delle riforme, verso l'attuazione di misure coerenti nei diversi Stati membri.
Il meccanismo potrebbe essere finanziato o destinandovi parte delle risorse nazionali utilizzate per la corresponsione di sussidi di disoccupazione o con una nuova fonte fiscale comune . Tale strumento potrebbe essere creato senza modifiche dei Trattati, e al contempo costruirebbe la fiducia e il sostegno reciproco necessari per cambiare i Trattati medesimi, quando necessario.

2.8 Affrontare la pressione alle frontiere europee
L'Unione europea si trova ad affrontare una sfida senza precedenti rappresentata dall'afflusso di migranti e richiedenti asilo. La crisi dei rifugiati è chiaramente un problema sistemico, che mette l'Europa duramente alla prova. L'opinione pubblica percepisce ampiamente che questa prova richiede una comune risposta europea . Anche il principio di sussidiarietà sottolinea la necessità di una dimensione europea per affrontare le dimensioni e la complessità delle questioni in gioco. Una risposta comune e condivisa è necessaria. L'accordo di Schengen è una delle principali conquiste dell'integrazione europea e deve essere preservato e rafforzato.
Una politica di lungo termine sui rifugiati è necessaria, soprattutto considerando che il fenomeno è destinato a durare. La condivisione della responsabilità per la gestione delle frontiere esterne tra l'UE e gli Stati membri interessati rappresenterebbe una risposta potente. Risorse finanziarie e umane provenienti dall'UE dovrebbero integrare le politiche nazionali per le operazioni di soccorso,
la creazione di hotspot e la prima integrazione dei rifugiati che raggiungono la frontiera europea.
Questi sono i beni comuni europei che richiedono un coinvolgimento dell'UE. Abbiamo bisogno di una soluzione, di soddisfazione per tutti gli attori in gioco, che bilanci i costi a breve termine del finanziamento delle nuove politiche di accoglienza con i benefici di lungo termine derivanti da un processo più ordinato di transizione e integrazione. L'ambito della nuova politica di gestione condivisa delle frontiere esterne dell'UE richiede diverse fonti di finanziamento e giustifica il ricorso ad un meccanismo mutualizzato di finanziamento che potrebbe comportare emissione di obbligazioni comuni.

3. Dal breve termine al lungo termine
Per rendere l'Unione monetaria davvero irreversibile, dobbiamo gestire la comune casa europea con l'adozione di una visione sistemica comune.
Un'unione monetaria più forte ha bisogno di istituzioni comuni più forti istituzioni . In aggiunta all'Unione Bancaria dovrebbe dunque essere considerato quanto segue.
L'istituzione del Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM) è stato un importante passo avanti per la gestione delle crisi dei debiti sovrani, attraverso l'utilizzo delle risorse messe in comune. Dovremmo
concentrarsi su come sfruttare appieno i benefici di questo pool di risorse, preservando la sua ultima funzione di "firewall". Un obiettivo ambizioso sarebbe trasformare l'ESM in un Fondo monetario europeo. Nel breve termine, l'ESM dovrebbe diventare una garanzia per il Fondo Unico di Risoluzione, onde salvaguardare efficacemente la stabilità finanziaria nell'Unione.
La realizzazione di un sussidio di disoccupazione comune sarebbe un primo passo per lo sviluppo di una funzione di stabilizzazione per far fronte a shock asimmetrici e un aiuto nella costruzione della fiducia necessaria per iniziative più ambiziose per il futuro.
Ancora, un'iniziativa finanziaria a livello di Unione Europea mirata a finanziare in comune la gestione delle frontiere esterne potrebbe anche rappresentare un esempio rilevante di condivisione
delle responsabilità e della fornitura di beni pubblici europei.
A lungo termine, l'Unione monetaria deve essere dotata di una capacità fiscale correlata ai compiti di promozione degli investimenti e riduzione degli impatti del ciclo economico. un'area fortemente integrata, come l'UEM, è caratterizzata da beni pubblici che possono essere meglio prestati a livello sistemico. Si pensi ai grandi investimenti, a funzioni di stabilizzazione economica, al finanziamento di politiche degli Stati membri che abbiano ricadute positive.
Queste funzioni possono essere gestite da un Ministro delle Finanze dell'Eurozona. Il valore aggiunto di un Ministro dell'Eurozona potrebbe essere quella di eseguire una politica fiscale comune e di assicurare che una politica fiscale coerente ed equilibrata sia perseguito a livello aggregato. A questa fine, si renderebbe necessario un bilancio dell'Eurozona, con risorse adeguate. Naturalmente, un tale ministro dovrebbe essere politicamente attrezzato per svolgere questo ruolo. Anche se questa cifra potrebbe essere costituita in seno alla Commissione europea - sulla falsariga dell'Alto rappresentante - sarebbe importante che avesse un forte legame anche con il Parlamento europeo.

4. Conclusioni
Una lezione derivante dalla crisi è che la stabilità e il progresso dell'UEM richiede una maggiore fiducia reciproca, tra cittadino e istituzioni europee e tra gli Stati membri, nonché un approccio sistemico più forte, il che implica più attenzione alle esternalità positive del processo di integrazione. La fiducia reciproca può essere accumulata mostrando agli altri Stati che un paese si attiene alle regole. Le regole devono essere progettate in modo da premiare il rispetto delle stesse e scoraggiare i comportamenti non cooperativi (vale a dire impedire il rischio morale). Allo stesso tempo, le regole devono prevedere meccanismi di condivisione del rischio che aumentino i "ritorni" per comportamenti cooperativi. Meccanismi di condivisione del rischio sono una componente chiave per il buon funzionamento dell'UEM. In altre parole, le regole devono consentire la mutualizzazione. I due elementi, mitigazione del rischio e condivisione dei rischi, si rinforzano reciprocamente. Prevenire il rischio morale rafforza la fiducia e supporta la mutualizzazione. La condivisione e la mutualizzazione dei rischi offre un forte incentivo a rispettare le regole e a evitare comportamenti opportunistici.
Ricostruire la fiducia tra gli Stati membri e disinnescare i pregiudizi nazionali sono i principi che dovrebbero guidare le azioni dei governi europei. Questi sforzi devono includere tutti i 28 Stati membri. Molti dei punti di cui sopra - in particolare il miglioramento del mercato unico e lo sviluppo un'Unione dei Mercati dei Capitali ben funzionante, il piano degli investimenti, così come iniziative per affrontare la crisi dei rifugiati - sono questioni comunitarie e devono essere discusse tra i 28 Paesi. Il grado di cooperazione tra i pro e i contro su questi temi sarà la chiave per fare progressi reali.
Il dibattito sul futuro dell'unione monetaria è una grande opportunità per rafforzare la capacità di ripresa dell'economia europea e del progetto europeo in generale. Per fare passi in avanti in questa nuova sfida, bisogna essere guidati da alcuni principi fondamentali:
- la percezione del legame tra problemi di breve e lungo termine dovrebbe essere rafforzata e basarsi su una visione comune. Non ci dovrebbe essere nessuna scusa per concentrarsi solo sul breve termine;
- la distinzione tra le misure che richiedono ovvero che non richiesto modifiche dei Trattati non dovrebbe essere un ostacolo a obiettivi politici ambiziosi. Molto può essere fatto con i Trattati attuali, così da costruire il supporto il cambiamento dei Trattati quando necessario;
- l'Unione Economica è un progetto multidimensionale. Il rafforzamento dell'integrazione monetaria e finanziaria dovrebbe andare di pari passo con le misure per stimolare la crescita e la creazione di posti di lavoro. Ciò per dimostrare ai cittadini europei che l'Europa può essere una parte della soluzione e non del problema;
- il rafforzamento dell'UEM dovrebbe essere l'occasione per rafforzare i rapporti fra Paesi UEM e Paesi non UEM, con benefici reciproci.

Non voglio commentare analiticamente questo sproloquio.
Dico solo che mi ricorda le bizze forsennate dei miei figlioli, quando erano più piccoli: la rabbia li stravolgeva, si opponevano a quello che io o la mamma chiedevamo, e tanto più si arrabbiavano quanto più capivano, loro stessi, che di lì a poco avrebbero, spontaneamente, ubbidito agli ordini.
E così qui. Prima, attacchi alla Germania per i surplus accumulati, rivendicazione di risorse per la questione dei migranti e per combattere la disoccupazione (sia pure sotto la forma politicamente improponibile degli Eurobond), quindi l'accettazione di un Ministro delle Finanze Europeo (cioè una specie di sovrano assoluto del rigore continentale) e il collegamento fra il Fondo Unico di Risoluzione (una specie di Fondo interbancario di garanzia dei depositi su scala europea) e l'ESM (il c.d. Fondo salva-Stati, che in certe circostanze può essere anche utile - a tutti meno che a chi lo usa - ma ha il piccolo inconveniente di richiedere di mettersi in casa la Troika).
Che poi - devo ammettere, sorprendendomi - ho capito che certe cose, Matteo, le ha capite.
Che tagliare la spesa pubblica, anche quella così detta "improduttiva" (?), provoca una connessa riduzione del PIL che, soprattutto in caso di indebitamenti oltre il 100% del prodotto interno, peggiora - non migliora - il rapporto fra le due grandezze.
Che in una situazione di cambi fissi a noi sfavorevole (condizione data che, peraltro, lui non cita mai), una sia pur timida ripresa economica comporta l'esplosione dell'import rispetto all'export, e dunque un peggioramento - non un miglioramento - dell'economia nazionale  (lui parla di PIL anziché di Prodotto Nazionale, ma insomma il concetto è chiaro).
Che dentro l'Euro, non potendo agire sui tassi di cambio, la produttività si riacquista soltanto mediante la deflazione salariale (che però ha come corollario un aumento significativo della disoccupazione).
Tutte queste cose le trovate qui (dal minuto 47:20).



Certo, non è che ci vuole un asso, ma rispetto ai gloriosi tempi dell'austerità espansiva si sono fatti passi da gigante.
E allora non si capisce questo documento cosa sia. Una resa? Un modo come un altro di mettere le mani avanti nei confronti dei cittadini italiani? Una specie di terapia psicanalitica, in cui si cerca di rifocalizzare il rimosso (in particolare, il Fiscal Compact)? Sì, perché - parliamoci chiaro - l'unica proposta "vera" del paper è una proposta... franco-tedesca, cioè l'istituzione di un Ministro delle Finanze Europeo.
Non lo so. Quello che so, è che il futuro, per l'Italia, appare tutt'altro che roseo.