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martedì 30 ottobre 2018

Per la lingua italiana

Come si sa, l'attacco ad hominem è l'argomento di chi non ha argomenti. Lo stesso dicasi dell'invettiva non corroborata da fatti concreti. Tuttavia, anche in questa specialità, c'è chi eccelle rispetto alla media, con tweet il più delle volte tanto livorosi quanto malamente scritti.

Se alle offese è bene non rispondere (secondo il vecchio adagio toscano che una bocca zitta ne azzitta cento), le sgrammaticature e i solecismi non possono passare sotto silenzio, se si vuole un po' di bene a questa disgraziata lingua che è l'italiano. Mi sono allora permesso di notare il misto di pedanteria e sciatteria insieme che promana dall'inutile barbarismo "misintepretare".

Siccome ho ricevuto un certo numero di risposte piccate, mi sembra giusto chiarire un po' il mio pensiero in materia.
Il principale legato della speculazione filosofica e religiosa dell'ellenismo cristiano è probabilmente il concetto che il pensiero si fa parola (lògos, verbum) e la parola si fa creazione (posto che noi attingiamo alla realtà tramite le nostre categorie gnoseologiche):
In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.
E ancora:
Credo in un solo Signore...: Dio da Dio, Luce da Luce..., generato, non creato..., per mezzo di lui tutte le cose sono state create.
Parlare male implica pertanto, in primo luogo, pensare male e, in ultima analisi, non possedere gli strumenti per una corretta interpretazione del reale. "Le parole sono importanti!", diceva il personaggio di un film di una qualche profondità.


Fra le innumerevoli maniere per parlare male quella di utilizzare barbarismi grezzi, inutili, sorpassati ancor prima di essere nati è una delle peggiori, perché non solo ferisce quell'organismo fragilissimo e meraviglioso che è la lingua italiana, ma dimostrandosi una non richiesta piaggeria nei confronti della lingua del Paese dominante e della sua élite (l'anonimo manzoniano utilizzava "qualche eleganza spagnola seminata qua e là") denuncia provincialismo e, da ultimo, una resa incondizionata alla dominazione (culturale?) dello straniero.

"Eh, però...", diranno i miei 2,5 lettori, "la lingua è un sistema vivo, che come tale nasce, evolve, eventualmente muore". Giusto, ma importare termini avulsi dalla sua traduzione ne certifica un inaridimento, non certo uno sviluppo; la lingua evolve con le invenzioni dannunziane (tramezzino, scudetto, velivolo), non certo con i calchi pedestri. "Eh, però...", continueranno, "i barbarismi sono sempre esistiti. Come ieri dicemmo magazzino e oggi diciamo computer, domani diremo misinterpretare" (o decade per decennio, ironico per paradossale e così via). No, cari miei. In primo luogo, perché se ha senso utilizzare un termine straniero ove non ve ne sia uno, italiano, altrettanto acconcio, è invece del tutto assurdo sostituire un anglicismo orrendo a una parola bellissima come "fraintendere"; secondariamente - last but not least, direbbe il prof. Bisin - perché in molti casi le parole altrui "naturalizzate" nella nostra lingua sono lasciti di dominazioni ed io, dai danti causa di certi personaggi, non voglio farmi dominare, né domani né mai.