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giovedì 22 novembre 2018

Qualche considerazione sul "nuovo" Padrenostro di un cattolico disorientato

Chi scrive queste righe non è un esperto teologo, ma un semplice cattolico che - come spesso gli accade durante questo pontificato - è rimasto sconcertato dalle decisioni dell'Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana. A leggere i giornali, infatti, i Vescovi italiani - auspice Papa Francesco - avrebbero approvato "una rinnovata edizione del Messale Romano..., che prevede la modifica di una discussa espressione contenuta nella formulazione" del Padrenostro. Non più "non indurci in tentazione", bensì "non abbandonarci alla tentazione". E ciò perché "Dio, per Bergoglio, non è un tentatore. Quello semmai è Satana".

Giusto, tutto bene, se non fosse che la nuova traduzione non pare, almeno a chi scrive, in alcun modo giustificabile dal punto di vista grammaticale. Infatti il testo di Matteo recita: "μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν", dove il verbo εἰσφέρω ha certamente diversi significati, ma tutti collegati al portare, o trasportare, fisicamente qualcosa o qualcuno verso, o dentro, un determinato luogo, al massimo incontro a qualcun altro. Ora, è ben possibile che in certi contesti il verbo acquisisca occasionalmente significati traslati, ma lo slittamento semantico non può evidentemente essere tale da giungere a significare "abbandonare", neppure nel greco incerto della koinè.


Né mi pare che si possa ricorrere allo strattagemma logico secondo cui la nuova traduzione tornerebbe ad aderire alla "vera" predicazione (in aramaico) di Gesù, malamente tradotta (in greco) da Matteo. Per questa via, infatti, si dovrebbe concludere che, in alcune parti, i Vangeli non riportino la vera Parola di Gesù (ove per Parola si intende, ovviamentre, la ipsissima vox), scontrandosi così con una obiezione logica e con una teologica. Una logica, perché la correzione del testo matteano dovrebbe avvenire sulla base della teologia gesuana desumibile dallo stesso vangelo di Matteo, con conseguente avvitamento in un irresolubile circolo vizioso. Una teologica, perché "gli autori sacri scrissero i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte tramandate a voce o già per iscritto, redigendo una sintesi delle altre o spiegandole con riguardo alla situazione delle Chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferire su Gesù cose vere e sincere" (Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum, 19)

Semmai, qualche considerazione si potrebbe fare sulla parola πειρασμός, che - nel quadro dei Vangeli sinottici - prende normalmente il senso di "tentazione", ma il cui significato fondamentale significa piuttosto "prova". Dunque, l'espressione di Gesù nel Padrenostro di Matteo, proprio a volerla attualizzare, potrebbe forse essere meglio tradotta con "non metterci alla prova" o "non farci entrare nella prova".

Chi scrive non sa se questa traduzione alternativa possa essere di gradimento per i Vescovi italiani, ma ritiene che abbia un suo significato pregnante - se non teologico - quantomeno letterario nel quadro del Vangelo di Matteo (e dei Sinottici in genere). Dice infatti Gesù nel Getsemani (Mt 26,41): "continuate a vegliare e pregare per non entrare nella prova" (in greco: "γρηγορεῖτε καὶ προσεύχεσθε, ἵνα μὴ εἰσέλθητε εἰς πειρασμόν"): qui il verbo εἰσφέρω, che presuppone l'attività di un agente, è sostituito dal verbo εἰσέρχομαι (entrare), che presuppone l'attività del soggetto, ma la differenza è in fondo assai meno percepibile di quanto appaia a prima vista, se si considera che, secondo le parole del Cristo, l'unico modo per "non entrare" nella "prova" (o nella "tentazione") è quello di vegliare e pregare Dio perché tenga lontana tale eventualità. D'altronde, nella medesima pericope, Gesù chiede espressamente al Padre di "allontanare da lui quel calice".

Certamente è Satana che tenta l'uomo: soprattutto nel Vangelo di Luca questo è molto chiaro, sia nel noto episodio delle tentazioni nel deserto, sia nell'episodio del Getsemani, dove espressamente si parla di Gesù che entra in una "lotta" (ἀγωνία) col Diavolo. Ma è altrettanto chiaro che è proprio in questi casi che Dio non ci abbandona, anzi ci sta vicino come non mai, e che la tentazione può essere respinta non già con le nostre forze, ma solo con l'intervento attivo del Padre. Se è vero che "in Marco l'autore implicito, in Luca esplicito della tentazione [nel deserto e nel Getsemani] è Satana che lotta con Gesù" e che "l'aspetto più importante è pero è il coinvolgimento di Dio... che permette questa grande lotta", ovviamente affinché "suo Figlio possa risultarne vincitore" (Brown, La morte del Messia, Brescia, 1999, 194), è pure vero che l'uomo "prega Dio che le cose non vadano oltre certi limiti", poiché "egli sa che Dio lo guida ed è presente anche se egli incappa nella tentazione". In quest'ottica, "intendere ciò soltanto come un permettere di entrare nella tentazione toglie vigore al testo" del Padrenostro (Gnilka, Il Vangelo di Matteo, Brescia, 1990, 338-339).

Dio non tenta, tenta Satana: vero, se si interpreta la "tentazione" come occasione diretta di compiere il male. Ma Dio mette alla "prova", in modo misterioso, tutti i giorni nelle difficoltà della vita di ognuno ("il Signore mette alla prova giusti ed empi": Sal 11,5). In queste prove, tuttavia, è sempre accanto a noi, e noi lo preghiamo che ci aiuti quando possibile a scansarle, altrimenti a superarle. Né si può concludere diversamente dal grido di abbandono di Gesù sulla croce di Mt 27,46 ("Elì, Elì, lema sabachtani?", che significa: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?"). Matteo, che sa che il Dio Figlio si è sempre affidato a Dio Padre lungo la sua esperienza terrena, può infatti ritrarre Gesù nella disperazione che cita Sal 22(21),2 perché già ha conosciuto Gesù glorificato che realizza Sal 22(21), 25.28-30 ("egli non ha disprezzato né sdegnato l'afflizione del misero, non gli ha nascosto il suo volto, ma, al suo grido d'aiuto, lo ha esaudito... Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno davanti a lui tutte le famiglie dei popoli. Poiché il regno è del Signore, egli domina su tutte le nazioni. A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra, davanti a lui si curveranno quanti discendono nella polvere. E io vivrò per lui...").