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mercoledì 5 maggio 2021

Due parole due sul DDL Zan


Siccome ormai del DDL Zan parlano cani e porci, dico due parole anche io. L'ho anche letto, figurarsi.

L'articolato può essere diviso in due parti: una precettiva e una repressiva. Il dibattito si è concentrato più sulla seconda, quando invece è soprattutto la prima che deve essere rigettata come irricevibile.

I.

Iniziamo dalle norme penalistiche. In sostanza il disegno di legge mira ad ampliare il contenuto dei reati di propaganda e istigazione, nonché la relativa aggravante (già all'art. 3 della L. Reale-Mancino e ora agli artt. 604-bis e 604-ter, c.p.), anche alle discriminazioni fondate "sul sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale, sull'identità di genere o sulla disabilità".

Pertanto, una valutazione in quest'ottica del DDL Zan si risolve in una valutazione, nel merito delle originarie norme incriminatrici, fermo restando che l'art. 4 del DDL - che tante polemiche ha sollevato - più che un tentativo volto alla penalizzazione di condotte lecite pare a chi scrive un pedestre tentativo di trasformare un reato di pericolo presunto in un reato di pericolo concreto (non sarebbero cioè le condotte "legittime" a divenire delittuose se "idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori" ma, al contrario, sarebbero le condotte "non [concretamente] idonee" a diventare, per ciò stesso, "legittime").

Ciò, presumibilmente, in ossequio al costante orientamento della Corte Costituzionale (e della CEDU) sin dalla sentenza n. 65 del 1970, che reinterpreta l'oggetto del reato di "apologia" alla stregua di una "istigazione indiretta".  La Corte, infatti, ha sempre cercato di "salvare" le tante fattispecie incriminatrici incidenti sulla libertà di pensiero e parola disseminate nel codice, valorizzandone i (più o meno reali) profili di offensività: è il caso p.e. della sent. n. 108 del 1974 sull'art. 415, c.p., in materia di "teorie della necessità del contrasto e della lotta tra le classi sociali" (tempi che vai, idee bandite che trovi).

Tuttavia, norme incriminatrici la cui lettera deve essere oggetto di lettura costituzionalmente orientata per essere compatibili con un sistema pluralistico sono in sé pericolose, perché permettono di essere intepretate per gli amici ed applicate contro i nemici. Non è un caso che la giurisprudenza sia molto divisa, tra intepretazioni formalistiche del dato letterale (Cassazione, nei confronti di un consigliere comunale che voleva guidare una protesta in un campo rom), posizioni teoricamente più vicine alle pronunce della Corte Costituzionalema ma in sostanza tali da annacquare il pericolo concreto fino a renderlo non molto distante da quello presunto (Cassazione, nei confronti di un sindaco che - in relazione all'omicidio di un tunisino pregiudicato - aveva giustificato il delitto), sentenze invece rispettose del principio pluralistico (molto casualmente, nei confronti di Erri De Luca, assolto dopo alcune dichiarazioni in relazione al TAV).

Da questo punto di vista, queste fattispecie delittuose - che, molto significativamente, proliferano nel duplice campo della "lotta" al terrorismo e della "lotta" all'odio, cioè in ambiti in cui il diritto penale è piegato alla "prevenzione" contro un più o meno esistente "nemico", anziché alla repressione dei reati - andrebbero puramente e semplicemente abrogate. Indipendentemente dal DDL Zan, che non è peggio - anzi - della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (1965) o della Decisione Quadro della UE su razzismo e xenofobia (2008).

II.

Tuttavia le disposizioni assolutamente irricevibili del DDL Zan sono altre. Si trratta, in particolare, dell'art. 1 e dell'art. 6, c. 3.

L'art. 1, infatti, dà - per la prima volta in Italia, a quel che mi consta - una definizione legale espressa di "genere" e di "identità di genere", in contrapposizione al "sesso" (biologico), a sua volta distinto dalla "identità sessuale".

Tutte nozioni già desunte dalla giurisprudenza sulla base di elaborazioni internazionali (si vedano le intepretazioni dell'art. 8 della CEDU) e fatte proprie dalla Corte costituzionale, che nella sent. n. 161 del 1985 ha ricondotto nell’alveo dei diritti inviolabili "il diritto di realizzare, nella vita di relazione, la propria identità sessuale" e nella sent. 180 del 2017 ha riconosciuto che l’acquisizione di una nuova identità di genere possa essere il risultato di un processo individuale che non postula la necessità di un intervento, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell’approdo finale siano oggetto di accertamento anche tecnico in sede giudiziale.

Ma, certo, vedere asserzioni del genere in un testo di legge fa un effetto molto diverso.

Ancora peggio l'art. 6, c. 3, che "in occasione della" neoistituita "Giornata nazionale contro l'omofobia" ed altre fobie assortite prevede che "siano organizzate cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile" contro pregiudizi e discriminazioni, all'uopo coinvolgendo "le scuole nel rispetto del piano triennale dell'offerta formativa". In questo modo le aberrazioni del DDL Zan si saldano alle aberrazioni della "Buona scuola" renziana, ben descritte nel libro "Malascuola" di Elisabetta Frezza.

Non contenti di rendere penalmente illecita la polemica, anche aspra, sui temi della famiglia, dell'identità sessuale e di tutto ciò che vi gira intorno (matrimoni omosessuali, adozioni, utero in affitto o comunque si chiami al giorno d'oggi), i propugnatori del disegno di legge non resistono a una tentazione tipica di tutti i totalitarismi, andare a corrompere i bambini direttamente nelle scuole, fra una sessione di educazione sessuale e un vaccino, si immagina.

P.S.: dopo l'approvazione del DDL questo commento non potrà più essere scritto.