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giovedì 28 maggio 2020

Due parole due sul Recovery Fund e sulla sua pericolosità

Due parole sul Recovery Fund (anche detto, nel linguaggio aulico della Commissione, Next Generation EU, quadro generale entro cui si situa una costellazione di misure in cui la "parte del leone" è demandata alla Recovery and Resilience Facility, circa 560 miliardi di prestiti e contributi a fondo perduto, così perduto che devono essere rigorosamente rendicontati e comunque in cambio delle solite riforme secondo il consueto sistema del Semestre europeo).
Non voglio entrare né nei "numeri" né nelle tecnicalità della proposta della Commissione. Per comprendere quanto sia conveniente basta ascoltare Borghi, o leggere gli articoli di Liturri o almeno i tweet di Zanni, che ne hanno parlato prima e meglio di come potrei fare io. Una considerazione, tuttavia, la vorrei comunque aggiungere.
Il Recovery and Resilience Facility (RRF) si differenzia dalla proposta Borghi & Bagnai (emissioni di titoli di Stato nazionali acquistati dalla BCE) o da quella Tabellini & Giavazzi (emissione di Eurobond, eventualmente perpetui, acquistati dalla BCE) perché comporta un finanziamento sul mercato e, dunque, una restituzione dei fondi agli investitori ancorché con scadenze molto lunghe. Pertano impone, logicamente, un'espansione del bilancio della UE sia tramite entrate proprie ulteriori (leggi: nuove tasse europee) sia tramite incremento dei trasferimento dagli Stati membri (che, a loro volta, imporranno nuove tasse nazionali per coprire la spesa).
(Classifica dei Paesi beneficiari del RRF)
Cosa significa questo? Significa imboccare la strada per una sempre maggiore armonizzazione di uno dei pochissimi settori ancora a competenza nazionale, cioè quello fiscale; significa, in altri termini, una ulteriore cessione di sovranità in un campo cruciale tanto quanto il governo della moneta (con cui è insolubilmente legato: ask Karlsruhe, ultima tappa di una linea interpretativa del diritto ben analizzata, per esempio, da Chessa). Et pour cause, visto che da un lato il meccanismo potrebbe comportare un parziale trasferimento di fondi da un Paese membro ad altri.
Ora, questa ulteriore cessione di sovranità si tradurrà in una ancor più pressante compressione dello spazio (anche giuridico) per politiche nazionali non si dice keynesiane, ma quantomeno anticicliche, con effetti probabilmente più profondi e certamente più duraturi di quelli che si avrebbero avuti con una adesione al MES, senza (presumibilmente) alcun vantaggio neppure dal punto di vista di una riduzione dei casi di dumping fiscale presenti nella UE (le sconce trattative sui rebates mi paiono un indizio assai chiaro, in effetti).
Timeo Danaos et dona ferentes. Speriamo che le poche voci libere di questo Paese non facciano la fine di Laocoonte. Speriamo che l'Italia non faccia, definitivamente, la fine di Troia.

martedì 5 maggio 2020

Sulla pronuncia della Corte Costituzionale tedesca - post espresso

"The ECB Governing Council’s Decision of 4 March 2015 (EU) 2015/774 and the subsequent Decisions (EU) 2015/2101, (EU) 2015/2464, (EU) 2016/702 and (EU) 2017/100 must be qualified as ultra vires acts, despite the CJEU’s judgment to the contrary, [because] ... the Federal Constitutional Court must respect the decision of the CJEU, even when it adopts a view against which weighty arguments could be made, [only] as long as the CJEU applies recognised methodological principles and the decision it renders is not arbitrary from an objective perspective".
"La decisione del Consiglio direttivo della BCE del 4 marzo 2015 (UE) 2015/774 e le successive decisioni (UE) 2015/2101, (UE) 2015/2464, (UE) 2016/702 e (UE) 2017/100 devono essere qualificate come atti viziati da eccesso di potere, nonostante la sentenza contraria della CGUE, [in considerazione del fatto che] ... la Corte costituzionale federale deve rispettare la decisione della CGUE, anche quando adotta un'opinione contro la quale potrebbero essere sollevati argomenti pesanti, [soltanto] a condizione che la CGUE si applichi principi metodologici riconosciuti e la decisione che prende non sia arbitraria da una prospettiva oggettiva".

In altri termini, il PSPP sarebbe in contrasto (non con, o non soltanto con, l'ordinamento tedesco, bensì in primo luogo) con il diritto dell'Unione Europea. Immerso in un mare di parole, mi pare questo l'unico punto veramente dirimente della pronuncia della Corte di Karlsruhe, perché di fatto apre una ferita profonda non tanto rispetto al principio dell'indipendenza della BCE, almeno formalmente salvaguardato, quanto piuttosto rispetto al ruolo che tradizionalmente è stato attribuito alla Corte di Giustizia UE nel quadro dell'architettura dei Trattati.

Per restare all'ambito italiano, già C. Cost. n. 113 del 1985 riconosceva alle sentenze interpretative della CGCE (ivi comprese quelle rese in sede di procedura di infrazione: cfr. C. Cost., n. 389 del 1989), il rango di fonte di diritto, così che le statuizioni e i principi da esse ricavabili si sarebbero integrate con le singole norme interpretate o anche con l'ordinamento nel suo complesso, assumendo un significato cogente. Secondo Cass. pen. n. 13810 del 2008, il giudice nazionale "deve attenersi alla conclusione vincolante resa dalla Corte di Giustizia che ha il ruolo di qualificato interprete del diritto comunitario di cui definisce autoritariamente il significato con la conseguenza che una sentenza interpretativa di una norma si incorpora nella stessa e ne integra il precetto con immediata efficacia (v. per tutte sentenze Corte Cost. 13/1985, 389/1989, 168/1991; Cass. sez. 3, 1.7.1999 n. 9983, Valentini)". E ciò perché, "l'interpretazione del diritto comunitario della Corte di Giustizia ha efficacia vincolante per tutte le autorità (giurisdizionali o amministrative) degli Stati membri anche ultra partes".

È evidente che questo ruolo di unico inteprete del diritto dell'Unione è, nell'ottica della Corte di Giustizia, il riflesso della primauté del diritto europeo su quello interno (Simmenthal, 9 marzo 1978, C-106/77; F.lli Costanzo, 22 giugno 1989, C-103/88), ma il principio svolge un ruolo fondamentale anche nel quadro della teoria degli ordinamenti distinti ma coordinati (si veda la notissima C. Cost. n. 170 del 1984, sentenza La Pergola). Se viene meno l'idea che la CGUE sia l'unico custode della intepretazione dei Trattati - e chi scrive lo auspica - viene meno anche l'applicazione uniforme dei Trattati medesimi e, in ultimo, la stessa efficacia diretta delle norme dell'Unione nei diversi ordinamenti (secondo una linea sempre meno federalista e sempre più interstatale, si potrebbe aggiungere). Ben diversa (eppure con risultati assai più significativi, fino all'improvvida riforma Bonafede) era stata la strategia della Corte Costituzionale italiana nel caso Taricco, che per raggiungere il proprio scopo non si era scontrata direttamente con al CGUE, ma ne aveva provocato una seconda pronuncia interpretativa volta a "tarare" la precedente (resa su domanda del GUP di Cuneo: per la ricostruzione dei fatti cfr. questo articolo) sulle richieste dei giudici nazionali di maggiore conformità alla Costituzione Repubblicana.

Ma questo era diritto, quello tedesco politica. Non a caso un altro passaggio significativo del comunicato stampa tira in ballo il MES: "in particular, the PSPP could have the same effects as financial assistance instruments pursuant to Art. 12 et seq. ESM Treaty" ("in particolare, il PSPP potrebbe avere effetti analoghi a quelli degli sttumenti di assistenza finanziaria ai sensi degli artt. 12 ss. del Trattato MES, [ma senza le relative stringenti condizionalità]"). Non che all'Italia cambi molto, visto che da mesi è chiaro che al MES accederemo, in ogni caso; tuttavia lo scontro cieco e furioso fra Corti supreme potrebbe avere effetti molto diversi da quelli auspicati dai protagonisti, ed anche da quello che potrebbe apparire più probabile oggi.