Due parole sul Recovery Fund (anche detto, nel linguaggio aulico della Commissione, Next Generation EU, quadro generale entro cui si situa una costellazione di misure in cui la "parte del leone" è demandata alla Recovery and Resilience Facility, circa 560 miliardi di prestiti e contributi a fondo perduto, così perduto che devono essere rigorosamente rendicontati e comunque in cambio delle solite riforme secondo il consueto sistema del Semestre europeo).
Non voglio entrare né nei "numeri" né nelle tecnicalità della proposta della Commissione. Per comprendere quanto sia conveniente basta ascoltare Borghi, o leggere gli articoli di Liturri o almeno i tweet di Zanni, che ne hanno parlato prima e meglio di come potrei fare io. Una considerazione, tuttavia, la vorrei comunque aggiungere.
Il Recovery and Resilience Facility (RRF) si differenzia dalla proposta Borghi & Bagnai (emissioni di titoli di Stato nazionali acquistati dalla BCE) o da quella Tabellini & Giavazzi (emissione di Eurobond, eventualmente perpetui, acquistati dalla BCE) perché comporta un finanziamento sul mercato e, dunque, una restituzione dei fondi agli investitori ancorché con scadenze molto lunghe. Pertano impone, logicamente, un'espansione del bilancio della UE sia tramite entrate proprie ulteriori (leggi: nuove tasse europee) sia tramite incremento dei trasferimento dagli Stati membri (che, a loro volta, imporranno nuove tasse nazionali per coprire la spesa).
(Classifica dei Paesi beneficiari del RRF)
Cosa significa questo? Significa imboccare la strada per una sempre maggiore armonizzazione di uno dei pochissimi settori ancora a competenza nazionale, cioè quello fiscale; significa, in altri termini, una ulteriore cessione di sovranità in un campo cruciale tanto quanto il governo della moneta (con cui è insolubilmente legato: ask Karlsruhe, ultima tappa di una linea interpretativa del diritto ben analizzata, per esempio, da Chessa). Et pour cause, visto che da un lato il meccanismo potrebbe comportare un parziale trasferimento di fondi da un Paese membro ad altri.
Ora, questa ulteriore cessione di sovranità si tradurrà in una ancor più pressante compressione dello spazio (anche giuridico) per politiche nazionali non si dice keynesiane, ma quantomeno anticicliche, con effetti probabilmente più profondi e certamente più duraturi di quelli che si avrebbero avuti con una adesione al MES, senza (presumibilmente) alcun vantaggio neppure dal punto di vista di una riduzione dei casi di dumping fiscale presenti nella UE (le sconce trattative sui rebates mi paiono un indizio assai chiaro, in effetti).
Timeo Danaos et dona ferentes. Speriamo che le poche voci libere di questo Paese non facciano la fine di Laocoonte. Speriamo che l'Italia non faccia, definitivamente, la fine di Troia.
Il prof. Angelo Ventrone ha proposto di ribattezzare la "Strategia della tensione" con l'espressione "Strategia della paura". C'è del vero in entrambe le formule, che hanno il minimo comune denominatore nell'idea di una destabilizzazione dell’ordine pubblico al fine di ristabilire l’ordine politico in chiave strettamente autoritaria; il quid pluris di quella di Ventrone è la sottolineatura della valenza del terrorismo non più come strumento per mostrare la propria forza e colpire il nemico, ma come strumento per condizionare l’opinione pubblica.
Nel quadro di questa linea interpretativa, il prof. Ventrone, in una recente intervista, propone alcune osservazioni interessanti: gli ideologi della strategia della paura "avevano i mezzi e le conoscenze tecniche per manipolare [l'opinione pubblica]. Soprattutto a livello emotivo e psicologico. La paura di morire, l'istinto di sopravvivenza, sono stati d'animo sui quali è più facile lavorare... Si immaginarono l’organismo sociale come se fosse aggredito da un virus, quello comunista. Divenne importante intervenire sull'intero organismo sociale, non bastava più asportare solo la parte malata. E si studiarono due modi per intervenire, con termini che all'epoca usavano gli attori della strategia della tensione. Quello dei vaccini o delle contro-infezioni, cioè una dose controllata di veleno per costringere l’organismo a rendersi conto del pericolo e a produrre gli anticorpi".
La criminalizzazione dei movimenti di lotta è il prodotto della creazione di una società "ansiosa e impaurita, nonché mobilitata sulla base della paura..., che tira la carretta a capo chino, più disposta a delegare scelte cruciali, più disposta ad accettare [qualsiasi] politica [purché] si annunci ansiolitica", che "addita all'opinione pubblica" i "piantagrane contrari al blocco d'ordine, pardon, alla concordia nazionale" (cito Wu Ming, non dico altro).
Stasera è la sera dell'attacco del Presidente Conte alle opposizioni, senza contraddittorio e sul servizio pubblico. Un gesto che è la discesa di un ulteriore gradino verso la completa torsione autoritaria della nostra democrazia, lungo una scala ormai lunghissima. Basti ricordare la sostituzione dei politici con i tecnici, prima in situazioni più o meno realmente emergenziali, poi come stabile modus operandi per i ministeri chiave di esecutivi non graditi, infine - notizia freschissima - come poteri surrogati rispetto a quelli costituzionalmente previsti; la parallela delegittimazione della classe politica, prima tutta accumunata nello stigma della "casta" e della "cricca" e posta sotto tutela della magistratura a partire da Tangentopoli, poi vilipesa tramite la sostituzione della competenza specifica con l'incompetenza generale, secondo il principio per cui uno varrebbe uno e invece finisce che uno vale l'altro; da ultimo, le proposte di legge non annunciate, i testi in commissione modificati dopo la loro approvazione, il Parlamento ignorato.
Manca l'ultimo passo, che deve tenere conto che in Italia abbiamo ormai gli anticorpi per rispondere a qualsiasi avventura dal sapore sud-americano. Qui bisogna essere più dolci. Bruto è uomo d’onore; così sono tutti, tutti uomini d’onore. Se negli Anni Settanta la strategia della tensione aveva l'obiettivo di sterilizzare il pericolo comunista in funzione di una consolidamento conservatore in senso filo-atlantico, oggi pare dunque profilarsi una nuova strategia, tesa a marginalizzare i partiti sovranisti (absit iniuria verbis) nel quadro di una stabile subordinazione dell'Italia al progetto unionista germanocentrico. Potremmo definirla la Strategia dell'esasperazione.
Il piano del PD (del PD: i 5 stelle sono solo interessati a mantenere lo stipendio da parlamentari fino alla fine della legislatura) è chiarissimo. Non permettere allo Stato italiano di sovvenire in alcun modo lavoratori e imprese in questa catastrofe economica, da aggravare prolungando, per quanto possibile, la quarantena imposta a colpi di Decreti del Presidente del Consiglio.
I cittadini dovranno superare la crisi con i propri risparmi, ciascuno secondo le proprie possibilità: altro che proposte, la patrimoniale, nei fatti, c'è già. La classe media verrà sospinta verso la povertà, i poveri avranno difficoltà a mettere insieme il pranzo con la cena, gli asset italiani drenati verso Francia (in primo luogo) e Germania (a seguire). La rabbia, esponenzialmente incrementata da questa reclusione forzata, esploderà in gesti spontaneistici e isolati, ma utili per ridurre ulteriormente gli spazi del dibattito democratico. E, per chiarezza, in modo non immediatamente controvertibile.
Si comincerà ovviamente dai social: la "Unità di monitoraggio per il contrasto della diffusione di fake news relative al Covid-19 sul web e sui social network" (ma non in TV o sui giornali, si noti) presto perderà qualsiasi riferimento alla pandemia, per diventare un protagonista della censura e della repressione del dissenso. Poi chissà, si continueranno a impedire gli assembramenti, soprattutto per evitare proteste quando, attraverso l'adesione al MES (quello vero), finalmente le elezioni saranno ridotte a meri ludi cartacei. È dai tempi di Carlo VIII, in fondo, che le fazioni italiane non prevalgono per i loro meriti, ma per gli appoggi internazionali. A cosa porti questa carità pelosa ce lo ha insegnato il Manzoni dell'Adelchi, ma il Manzoni - come la storia - insegna molto, ma non ha più scolari (soprattutto in epoca di lezioni via web).
Si finirà con un mutamento addirittura antropologico: il distanziamento sociale al posto della socializzazione, lo smart working al posto della fabbrica o dell'ufficio come luogo anche aggregativo, il commercio elettronico al posto dell'esercizio di prossimità, il denaro elettronico al posto di quello cartaceo. Un mondo di pervasivo controllo, a prova di click.
Un ultimo punto, non secondario. Se tutto questo sarà possibile (e lo sarà, a meno di tanta fortuna e di una nostra diuturna, attenta, disciplinata, instancabile spinta a Claudio Borghi e Alberto Bagnai, senza i quali oggi anche chi scrive ancora continuerebbe a informarsi guardando il Tg1, ed a Matteo Salvini, che ha avuto il merito storico, storico!, di dare loro una tribuna nazionale) sarà grazie alla mutazione antropologica dell'uomo moderno. La scristianizzazione della società, la perdita del senso di eterno che è propria del mistero della Resurrezione, hanno portato l'uomo a una tale angoscia verso la morte da rimuoverne completamente la presenza, nel linguaggio, nel quotidiano, nei comportamenti dei giovani che rischiano volontariamente la vita. In questo contesto l'ingenuo scientismo positivistico ha fatto facilmente breccia, dando l'illusione che la medicina potesse non solo ritardare quasi indefinitamente la morte, ma addirittura prevenire qualsiasi malattia attraverso neppure il farmaco, ma la pozione magica somministrata sotto forma di vaccino. Ora però siamo al redde rationem. Di fronte all'impotenza - peggio: di fronte alla gravissima impreparazione planetaria - innanzi al Coronavirus, l'uomo subitaneamente nudo della sua corazza di certezze scientiste è attanagliato dal terrore ed accetta perciò ogni limitazione alla propria libertà, al proprio diritto di movimento, in una parola: alla propria vita.
Questo senso di smarrimento produce poi una pulsione infantilistica (esiste una pagina Facebook, a quanto pare non satirica, che si chiama "Le bimbe di Conte") alla ricerca dell'uomo forte: da questo punto l'immagine del condottiero integerrimo, quasi aspro, costruita da Casalino a colpi di conferenze stampa in prime time e di pubblicità a tappeto su FB è perfetta. Il bravo bambino è quello che segue le regole dei genitori, che non li tradisce, che è sincero e trasparente: ecco allora lo spettacolo abominevole delle delazioni, delle gogne social, delle telefonate alle forze dell'ordine perché magari una mamma e un bambino prendono mezz'ora d'aria.
Queste persone appoggeranno sempre e comunque la Strategia dell'esasperazione, almeno finché anche in loro l'esasperazione non avrà il sopravvento sulla paura. E pian piano questo disgraziato Paese si spaccherà in due in modo irreversibile e Dio solo sa cosa succederà.
Ma la Storia si ricorderà di lei, prof. Conte. E prima della Storia noi, che non lasceremo cadere la memoria di ciò che sta accadendo.
C'erano una volta gli Utili Idioti. Che l'espressione sia stata coniata da Lenin, o Stalin, o - più probabilmente - negli Stati Uniti, la sua icastica semplicità l'ha resa un punto fermo di qualsiasi polemica politica. Ultimamente, però, gli Utili Idioti sono passati di moda; forse a causa della crisi dei partiti di massa, o forse per la disintermediazione imposta dai social, o ancora per un certo clima post-ideologico che è la cifra di questa sedicente modernità,. O magari per colpa del buco dell'ozono, chissà. Ora una nuova falange di volenterosi si affaccia sulla scena politica: gli Inutili Intelligenti (II per gli amici). Dove la parola "intelligente" sta essenzialmente per "fuuuurbo".
Chi sono costoro? Se gli Utili Idioti - anche noti come "compagni di strada" (per gli amici) o "fiancheggiatori" (per i nemici) - sono naturali avversari di un partito o un movimento che, talvolta per ottusità, altre volte per idealismo o più prosaicamente per denaro, ne sostengono ugualmente le fortune, al contrario gli Inutili Intelligenti sono coloro che - talvolta per ambizione personale, spesso per un'ipertrofia patologica dell'ego - si ingegnano a mettere i bastoni fra le ruote a chi, bene o male, si sta impegnando per i loro interessi.
Brutta bestia, l'ambizione. Anche perché è sempre incinta (come la madre degli II) di un cucciolo ancora peggiore: la critica distruttiva. D'altronde, diceva un filosofo americano (o il bigliettino dei Baci Perugina, non ricordo), fare a pezzi è il lavoro di chi non sa costruire. Ecco allora stormi interi di benintenzionati che non riescono neppure a raccogliere le firme in provincia di Chieti discettare a social unificati non solo su come si fondi e gestisca un partito, ma anche su chi ne possa o debba far parte, e su quali siano le uniche alleanze accettabili (ove ve ne siano). Il tutto, partendo da analisi del reale già vecchie nell'Ottocento, o già sconfitte più volte, e senza appello, dalla Storia (il più delle volte sotto forma di bombe a grappolo in centri cittadini).
Hanno capito ogni cosa, loro. Da prima degli altri, loro. Molto meglio degli altri, loro. E giù link a filmati più lunghi della Corazzata Potëmkin (versione fantozziana).
Non sono d'accordo.
Divulgazione anti-euro (parziale) l'avrei anche accettata, ma chi ha inquadrato il vero problema dall'inizio (2009) è stato Stefano D'Andrea, presidente #FSI.
Comunque, gli II di questo tipo (gli II di tipo 1, diciamo) sono strani, un po' pesanti, umorali più di un'attrice sotto metanfetamina, ma tutto sommato non particolarmente fastidiosi e del tutto innocui. Non fastidiosi, perché hanno la buona creanza, dopo non più di un paio di interazioni su Twitter, o su Facebook, di andare nel panico bloccandoti senza appello; innocui, perché hanno programmi talmente dogmatici e rituali talmente esoterici, da risultare più simili a sette, che a partiti. E una setta di massa non si è mai vista (a parte i Neocatecumenali, ma lasciamo perdere). Gli II di tipo 2, gli egolatri, invece...
Certamente ciascuno di noi è un insieme unico di aspirazioni, idee, pregiudizi, interessi, per cui non vi sarà persona i cui comportamenti, o le cui parole, ci andranno del tutto a genio. Spesso, anzi, neppure noi stessi ci andiamo a genio, non del tutto almeno (anche se ci perdoniamo molto più volentieri). La situazione si fa ancora più complicata, considerando che ciò che ciascuno di noi interpreta quello che fanno e dicono gli altri secondo il proprio io, in un caleidoscopio di congetture quasi pirandelliano.
Non si può piacere, o dispiacere, a tutti. Altrimenti non ci sarebbe neppure bisogno della democrazia. Il problema si crea quando qualcuno attacca chi, in fondo, la pensa come lui e - soprattutto - cerca di difenderne gli interessi, soltanto per riaffermare il proprio io. Per dire: sono più bravo. E, così facendo, cade in trappoloni che neppure un bambino.
Ecco allora che basta che un ex attore semiprofessionista inventi una specie di lista dal nome tautologico, "siamo europei", per vedere tutto un florilegio via Twitter di prese di posizione fermissime. "Io non sono europeo!", e giù analisi storiche, geografiche, cultural-religione, antropologiche, cosmologico-sapienziali. Bravi, sapete un sacco di cose. Ma non capite la cosa principale: che individuare un (gruppo) antagonista serve proprio a cementare il proprio gruppo, che ora più che mai appare sfilacciato, in difficoltà, senza una bussola. Invece di stare sempre su internet, leggetevi almeno Il Signore delle mosche!
Lo stesso tentativo di confondere piano culturale e piano politico è già stato fatto in passato con la parola "italiano". Ed ha funzionato benissimo.
E questo giochino, ben noto a tutti coloro che hanno fatto almeno la prima elementare, riesce tanto meglio ove ci sia chi- proprio come gli II di tipo 2 - per gusto di differenziazione si arrocca su posizioni fragili, quando non francamente insostenibili. Quando invece basterebbe dire la verità e tutto finirebbe immediatamente.
Mistero su come si possa non capire che si tratta della stessa tecnica che ha portato alla grande frattura sull'obbligo vaccinale. Anche in quel caso - nonostante gli appelli di alcuni e addirittura i saggi di altri - invece di sottolineare con fermezza il tentativo di inquinare il piano politico con qualcosa di differente ed assolutamente inconferente (nel caso sopra, il piano sociologico e culturale; qui, quello chimico-epidemiologico) col duplice fine di elidere la discrezionalità (che è l'essenza stessa della politica) a favore di una oggettiva tecnicalità del tutto mitologica, e di permettere allo Stato di appropriarsi dei corpi dei proprio cittadini (a partire da quelli dei più indifesi), si è preferito - da parte di alcuni - buttarla in caciara, con analisi sbagliate, terrorismi inutili, antiscientismi che sono l'immagine uguale e contraria del vetero-positivismo burionoide. Gli II di tipo 2, peraltro, hanno anche una pericolosa mutazione genetica. Sono quelli affetti da sindrome del bagno occupato, per cui anche quel che il governo fa di buono non conta, perché non è fatto abbastanza in fretta. Non siamo ancora usciti dall'Euro! Non abbiamo ancora spezzato le reni a Macron! Non abbiamo neppure soggiogato la Kamčatka!
Poi magari, a volte, sobriamente, qualcuno un po' si incazza.
Ma non va bene perché non è successo subito! Doveva diventarlo il 5 di marzo! https://t.co/P8Ode0CJxa
(Commenti tra parentesi in corsivo: testo originale o aggiunte mie). (Un non-paper sarebbe un testo non ufficiale da far circolare informalmente. Che sia pubblicato è abbastanza fuori luogo). (Il testo originale è qui).
In parallelo al mantenimento dell'unità dell'UE 27, è indispensabile migliorare la governance a breve, medio e lungo termine dell'UEM, seguendo i seguenti tre principi fondamentali: (1) dobbiamo tenere uniti responsabilità fiscale e controllo, onde evitare il rischio morale (moral hazard); (2) abbiamo bisogno di strumenti migliori per promuovere l'attuazione delle riforme strutturali; (3) abbiamo bisogno di "funzioni di stabilizzazione" credibili per affrontare shock globali o interni.
(1) Responsabilità fiscale e controllo fiscale devono stare per forza uniti, a qualunque costo (whatever it takes). Dal lato istituzionale, ci sono due modi possibili per garantire questa simmetria: o trasferiamo spazi di sovranità nazionale e controllo delle regole fiscali a livello europeo (il c.d. "Ministro delle finanze dell'Euro"), unitamente ad una maggiore legittimità democratica (cosa che richiederebbe, certamente, modifiche dei Trattati UE, perché fosse credibile). Oppure troviamo un accordo su una soluzione intergovernativa. Finché vi è scarsa disponibilità a cambiamenti dei Trattati, dobbiamo seguire un approccio pragmatico, in due passi distinti: prima una soluzione intergovernativa, che sarà poi successivamente recepita nel diritto comunitario.
Il meccanismo europeo di stabilità (ESM) è il mezzo giusto per una soluzione intergovernativa. L'ESM ha dimostrato la sua validità sin da quando è stato istituito nel 2012. Esso incarna il principio di fornire solidarietà in cambio di sane finanze pubbliche. L'ESM ha un sistema di gestione delle crisi ben sviluppato con una serie di strumenti e una significativa capacità finanziaria a sua disposizione. Strumenti e denaro sono pronti per la funzione fondamentale dell'ESM, vale a dire fornire un sostegno finanziario temporaneo sotto stretta condizionalità (per le riforme).
L'ESM, per diventare un Fondo Monetario Europeo, deve dedicare più risorse ad una migliore prevenzione delle crisi: il fondo, tuttavia, non ha ancora un mandato per la prevenzione delle crisi o per ridurne i rischi in una fase precoce. È quindi importante espandere il radar dell'ESM e dare ad esso un ruolo più forte in termini di monitoraggio dei rischi-Paese. L'obiettivo è individuare, in collaborazione con altre Istituzioni, i rischi per la stabilità per e negli Stati membri dell'Area Euro in modo più efficace e in una fase antecedente rispetto a quanto non sia successo in passato, nonché monitorare tali rischi affinché possano essere ridotti dagli stessi Paesi interessati. Le consultazioni di cui all'articolo IV del FMI potrebbero servire da modello per questo nuovo ruolo.
Tale ruolo per l'ESM dovrebbe includere anche il monitoraggio sull'osservanza degli obblighi degli Stati membri ai sensi del c.d. Fiscal Compact adottato nel 2012. L'ESM potrebbe essere gradualmente dotato di un ruolo più forte e neutrale per quanto riguarda il monitoraggio del "Patto di stabilità e crescita". Dare all'ESM anche compiti di monitoraggio completo in merito al rispetto del Fiscal Compact e delle norme fiscali europee renderebbe necessaria una modifica sia del Fiscal Compact, sia del trattato istitutivo dell'ESM.
Questo secondo mandato, del tutto nuovo, dell'ESM dovrebbe includere un prevedibile meccanismo di ristrutturazione del debito per garantire una equa ripartizione degli oneri tra l'ESM ed i creditori privati. La ratio è: in futuro, gli investitori privati beneficerebbero di migliori informazioni in merito al rischio-Paese, che sarebbero fornite proprio dall'ESM. Logicamente, gli investitori privati dovrebbero dunque contribuire anche qualora, a differenza delle aspettative, un Paese si venga a trovare in difficoltà e richieda nuovamente l'assistenza dell'ESM.
Oltre alle nuove funzioni relative all'analisi (della situazione macroeconomica), l'ESM dovrebbe pertanto assumersi anche la responsabilità per il futuro processo di ristrutturazione del debito e il suo coordinamento. L'obiettivo importante è quello di fornire al settore privato i principi chiari e prevedibili in anticipo, per evitare soluzioni ad hoc.
I seguenti elementi dovrebbero essere inseriti nel Trattato ESM: a) la posticipazione automatica delle scadenze dei Titoli di Stato nel caso in cui sia stato concesso un programma ESM; b) l'obbligo di effettuare una ristrutturazione completa del debito se ciò è necessario per garantire la sostenibilità del debito; c) al fine di prevenire resistenze, una modifica delle "azioni collettive" già introdotte, verso il principio della "single limb aggregation" (cioè un sistema per cui basta solo voto per la ristrutturazione dell'intero debito, senza necessità di ulteriori votazioni sulle singole serie di obbligazioni).
Per quanto riguarda l'Unione bancaria, è necessaria un'ulteriore significativa riduzione del rischio, anche in merito al trattamento regolamentare dei Titoli di Stato. Le proposte correnti per la riduzione dei rischi devono essere rese più stringenti. Soltanto su questa base l'ESM potrebbe svolgere un ruolo di back-stop finanziando procedure di risoluzione bancarie. Se, alla fine della discussione in corso, decidiamo di dare all'ESM un mandato colto allo svolgimento di una funzione di back-stop sotto forma di linea di credito per il SRF (single resolution fund), sarà necessaria anche in questo caso una modifica al Trattato ESM. Ciò perché il Trattato ESM, nella sua forma attuale, prevede solo l'assistenza a sostegno degli Stati membri, non anche a sostegno di altre istituzioni, come il SRF.
J.-C. Juncker ha invero proposto di utilizzare in alternativa il bilancio dell'UE per la costituzione di un back-stop. In questo contesto vi è una vasta gamma di domande aperte. Se un tale back-stop venisse creato all'intero dell'ESM, dovrebbe essere accantonato a tale scopo un importo di circa 55 miliardi di Euro (= livello obiettivo del SRF). In questo quadro, tuttavia, sembra ragionevole effettuare, parallelamente alla creazione di questo nuovo strumento, una revisione critica del sistema di "ricapitalizzazione diretta delle banche", uno strumento già esistente ma meno pratico e molto più rischioso (60 miliardi di Euro sono accantonati nell'ESM, a tale fine). Considerando la questione in modo globale, dobbiamo essere aperti per eliminare lo strumento di ricapitalizzazione diretta delle banche.
Scenari e piani più ambiziosi per l'ESM e le sue capacità finanziarie, sia per quanto riguarda l'eventuale ruolo di back-stop aggiuntivo rispetto al controverso Schema Europeo di Assicurazione dei Depositi (cioè l'EDIS), sia in merito all'attribuzione di una nuova capacità fiscale da utilizzare come meccanismo per trasferimenti all'interno dell'Eurozona, rischierebbero di imporre all'ESM uno sforzo superiore alle sue capacità, oltre ad andare contro il suo scopo fondamentale di salvataggio (bail-out) dei Paesi in gravi difficoltà.
(2) Per quanto riguarda l'attuazione delle riforme strutturali, dobbiamo aumentare la responsabilità dei Paesi interessati. Le riforme strutturali sono necessarie per modernizzare le economie, affinché queste si aggancino al resto dell'Eurozona e agli sviluppi globali. Mutualizzare i problemi esistenti o futuri, invece di affrontarli di petto, finirebbe solo per creare una Unione Monetaria (UEM) indebolita nel suo complesso.
Le riforme strutturali potrebbero essere costose a breve termine. Dovremmo quindi esaminare modi per incentivare le riforme. Abbiamo bisogno di ulteriore capacità fiscale intergovernativa? Non necessariamente. Il bilancio dell'UE è in fase di revisione e comunque i Membri dovrebbero contribuire in futuro a compensare le minori entrate determinate dalla Brexit. Di conseguenza, c'è una certa leva per impostare nuove e solide priorità rispetto al budget futuro, affinché possa anche sostenere l'Area dell'Euro.
La Commissione ha presentato interessanti proposte per migliorare il bilancio dell'UE. A questo proposito dovremmo esaminare se i contributi futuri degli Stati membri dell'UEM al bilancio dell'Unione Europea possano essere meglio collegati alle riforme strutturali nell'Area dell'Euro, sulla base delle "Raccomandazioni specifiche per il Paese" (CSR, country specific recommendation) della Commissione. Questo approccio - basato su un bilancio dell'Unione Europea e sulle CSR - dovrebbe, rispetto ad ogni altro tipo di approccio intergovernativo, garantire un importante ruolo alla Commissione e consentire una politica integrata dell'Unione europea, collegando il coordinamento delle politiche (Semestre Europeo e CSR) con le politiche di coesione (fondi strutturali) ed il bilancio dell'UE. Seguendo il discorso di J.-C. Juncker, questo approccio potrebbe preparare un "nucleo stabile" attorno cui costruire un bilancio della Zona dell'Euro. Una volta stabilito questo nucleo, il bilancio dovrebbe evolvere ulteriormente , sulla base di solidi finanziamento e ricavi propri.
(3) Per quanto riguarda la funzione di stabilizzazione (del ciclo economico), dobbiamo utilizzare meglio gli stabilizzatori automatici nazionali per assorbire gli shock. La flessibilità delle regole fiscali interne esiste esattamente per consentire a questi "stabilizzatori" di lavorare. Prerequisito per questo è ovviamente che gli Stati membri creino il necessario spazio fiscale per le manovre, rispettando i loro obiettivi di bilancio. L'idea degli obiettivi di bilancio a medio termine (MTO, medium term budgetary objectives) è proprio quella di costruire dei buffer per l'assorbimento degli shock.
Il FMI ha ragione di concludere - nella consultazione sul proprio art. IV - che le regole fiscali europee sono divenute purtroppo troppo complesse e poco prevedibili. È per questo che dobbiamo sviluppare ulteriormente queste regole, facendo in modo che la "regola del debito" si ponga almeno sullo stesso piano della "regola del deficit". Finché il debito nazionale si pone in un percorso di riduzione, i disavanzi nazionali potrebbero essere trattati in modo flessibile.
Una funzione di stabilizzazione macroeconomica, ad es. attraverso una nuova capacità fiscale o un'assicurazione contro la disoccupazione, non è economicamente necessaria per un'Unione monetaria stabile. La spesa pubblica contro-ciclica è sempre in ritardo rispetto alle necessità e un'assicurazione contro la disoccupazione in tutta l'Area dell'Euro dovrebbe affrontare livelli di reddito molto diversi nelle varie regioni. I nostri Stati con un sistema di welfare molto sviluppato fanno una grande differenza rispetto alla situazione degli Stati Uniti: lavorano infatti come stabilizzatori automatici significativi, sempre che il singolo Stato membro interessato abbia opportuni margini di bilancio (MTO).
Oltre a ciò, dobbiamo guardare più approfonditamente al Mercato Unico dell'UE 27. Un Mercato Unico più flessibile sarebbe in grado di assorbire meglio gli shock, in particolare quelli che colpiscono singoli Stati membri (cosiddetti shock asimmetrici). Le banche - in una vera unione bancaria e del mercato dei capitali - possono mantenere i loro livelli di impieghi anche se uno Stato membro è in crisi, poiché le banche possono lavorare in modo migliore a livello transfrontaliero e sono sorvegliate a livello comunitario. E una migliore mobilità dei lavoratori (migration) all'interno dell'UE 27 potrebbe offrire possibilità molto più concrete per mantenere la disoccupazione - soprattutto giovanile - sotto controllo in caso di crisi.
La diminuzione della convergenza fra i Paesi è spesso dovuta ai fattori strutturali nazionali e non può essere superata attraverso una maggiore capacità fiscale. Una nuova funzione di stabilizzazione mediante una "capacità fiscale dell'Euro" (si tratta dei c.d. Eurobond) permetterebbe solo di "comprare tempo" e porterebbe a ripetere gli errori nazionali del passato. Sarebbe molto più efficiente sostenere le riforme per aumentare la resilienza attraverso un efficace coordinamento delle politiche e in futuro attraverso un bilancio UE ben ridisegnato (vedi sopra).
La mutualizzazione del debito creerebbe incentivi sbagliati, solleverebbe fondamentali questioni legali e, quindi, metterebbe in pericolo la stabilità dell'intera Area dell'Euro. Qualunque sia il nome futuro: per delle "obbligazioni europee" o "titoli di debito sovrano europei" (alcuni li chiamerebbero "nuovi Eurobond") non esiste alcuna domanda sul mercato. Dobbiamo essere in grado di creare stabilità reale attraverso riforme, non attraverso ingegneria finanziaria complessa e costosa.
Il Corriere della sera di domenica lancia la notizia (rispetto alla quale non ho trovato riscontro su altri quotidiani) secondo cui, alla Conferenza di Roma del prossimo 25 marzo, l'Italia potrebbe proporre una tassa europea sulle banche per il finanziamento di un fondo europeo di garanzia dei depositi bancari e del fondo di risoluzione, nonché (oppure ovvero, dall'articolo non è chiaro) l'introduzione dell'Iva sui servizi finanziari per la creazione di un'assicurazione comune contro la disoccupazione e per incentivi agli Stati che attuino le famigerate "riforme strutturali". La prima proposta prevedrebbe, in sostanza, l'armonizzazione della base imponibile per il calcolo delle imposte dirette degli Istituti di credito ed il trasferimento di una parte di tali tributi - oppure di una nuova addizionale - all'Unione Europea (che li utilizzerebbe per il finanziamento del SRF o del MES).
Non sto a ripetere quale sia lo stato di salute del sistema bancario italiano, che ha archiviato il 2016 con 15 miliardi di Euro di perdite, appare ancora particolarmente vulnerabile agli choc economici, non ha ancora risolto la questione dei crediti problematici (e dei conseguenti aumenti di capitale che interessano, come minimo, Mps, le due venete in corso di fusione, Ubi e Carige). In questa situazione, è pensabile un inasprimento della pressione tributaria (perché questo, di solito, vuol dire fra le righe l'espressione "armonizzazione della base imponibile")? Non solo: questa armonizzazione terrà conto delle specificità degli Istituti di credito dell'Europa del sud, oppure sarà un modo surrettizio per mettere nuovamente in discussione la disciplina delle DTA dopo l'accordo dello scorso novembre? (In caso di significative svalutazioni su crediti, l'imponibile fiscale delle banche non permette la deduzione integrale di tali svalutazioni. Le "future minori imposte" che la banche pagheranno grazie alla deduzione, negli anni a venire, di tali svalutazioni prendono il nome di "imposte anticipate" - DTA con acronimo inglese - e possono essere automaticamente trasformate, dagli Istituti di credito, in "crediti imposta" iscritti in bilancio. La Commissione - per non ritenere tale legislazione assimilabile a un Aiuto di Stato - ha imposto alle banche il pagamento di una specie di canone annuo calcolato come percentuale delle DTA trasformate in crediti. È evidente che la modifica di tale disciplina a livello europeo impatterebbe in modo asimmetrico sulle banche del Sud Europa rispetto a quelle tedesche o francesi). Infine, l'imposta interessata sarebbe l'Ires o l'Irap? Perché per quanto attiene l'Ires, gli Istituti di credito sconteranno un'addizionale del 3,5% rispetto agli altri soggetti passivi (in modo da sterilizzare la diminuzione dell'aliquota dal 27,5% al 24% entrata in vigore quest'anno), mentre per quanto attiene all'Irap già pagano lo 0,75% in più delle comuni imprese. (Peraltro, la maggiore aliquota Ires - al contrario di quanto potrebbe apparire - è una norma di favore per le banche: la riduzione - nella legge di stabilità 2016 - dell'aliquota Ires futura, infatti, avrebbe comportato la riduzione del valore attuale delle DTA iscritte nei bilanci, con conseguenti perdite miliardarie già nei bilancio 2015. Tuttavia, le possibili modifiche al calcolo della base imponibile di cui si è detto sopra e l'ulteriore inasprimento della pressione fiscale potrebbero trasformarsi, alla fine, in un peso gravoso per gli Istituti).
Secondo quanto scrive l'articolista - che pare aver visionato, sia pure confusamente, il testo prodotto dal nostro Ministero dell'Economia - questa quota di tributi potrebbe andare a finanziare o il chimerico EDIS, o il Fondo di Risoluzione (SRF), o addirittura lo Strumento di ricapitalizzazione diretta delle banche del Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM). (L'EDIS altro non è - anzi, non sarebbe visto che non esiste - che un Fondo europeo di garanzia per i depositi dei clienti retail delle banche europee uguale al Fondo interbancario di tutela dei depositi, o FITD, esistente in Italia. L'EDIS ha - avrebbe - il vantaggio di avere ampiezza continentale, così da poter rispondere anche a shock sistemici del sistema finanziario di un Paese membro. Il SRF, cioè il Single Resolution Fund, è un fondo europeo, istituito nel quadro dell'Unione Bancaria, che interviene in caso di risoluzione di una banca dopo che almeno l'8% delle passività della stessa sono state oggetto di bail-in e ripiana fino al 5% delle medesime passività. La missione dell'ESM - che significa European Stability System, - missione è quella di fornire assistenza finanziaria ai Paesi dell'Eurozona colpite o minacciate da gravi problemi nel settore delle finanze pubbliche o in quello delle finanze private. Gli strumenti dell'ESM sono i più vari: finanziamenti agli Stati - a oggi Cipro Spagna, Portogallo e Irlanda - qualora questi non abbiano accesso ai mercati finanziari ovvero debbano pagare interessi talmente alti da mettere in crisi la sostenibilità del debito; acquisti di titoli di Stato sul primario o sul secondario, strumento mai utilizzato a oggi soprattutto per la presenza del QE della BCE; ricapitalizzazione del sistema bancario di un Paese membro, sia in via diretta, mai verificatosi, sia in via indiretta, sperimentato in Spagna). EDIS. È noto che la Germania (per semplificare) non permette la costituzione dell'EDIS se prima le banche del Sud Europa non riducono significativamente la loro esposizione in Titoli di Stato dei propri Paesi di stabilimento. Per raggiungere l'obiettivo, l'idea sarebbe quella di non considerarli più risk-free ai fini del calcolo degli assorbimento di capitale degli Istituti. Padoan, in passato, pareva aver fatto muro rispetto a questa pretesa. Questo documento è il primo passo verso un cambiamento dell'atteggiamento del nostro Paese su un tema così delicato? SRF. Le banche già versano in maniera significativa a questo fondo. Ha senso incrementarne le quote annue? Tra l'altro, non è secondario notare come alcuni Istituti abbiano francamente ammesso, con i propri clienti, di modificare in peius le condizioni di conto corrente proprio per rispondere alle maggiori spese per tale schema, per il FITD e per altri obblighi simili. Come al solito, tassare soggetti in regime di oligopolio si rivela una chimera, dal momento che i soggetti incisi finiscono per essere sempre i consumatori finali. ESM. L'idea sarebbe quella di incrementare il Fondo di ricapitalizzazione diretta delle banche (attualmente limitato a 60 miliardi di Euro), il cui fine è "contribuire a rimuovere un serio rischio di contagio dal settore finanziario al settore delle finanze pubbliche, consentendo la ricapitalizzazione diretta delle istituzioni" finanziarie di un Paese membro. Bello, direte voi. Insomma. La peculiarità dell'ESM è quello di agire sempre sotto stretta condizionalità, cioè di imporre famigerate "riforme strutturali" asseritamente volte a rimuovere le cause delle difficoltà del settore finanziario e, se del caso, della situazione economica generale del malcapitato Stato membro. Insomma, per farla breve: l'utilizzo di uno strumento ESM impone la cessione della propria sovranità alla Troika. Cosa sia e cosa faccia la Troika non lo spiego. Leggete un qualsiasi articolo sulla situazione in Grecia (o anche sulla situazione del mercato del lavoro in Spagna). (Sottolineo, per chi non lo sapesse, che i fondi dell'ESM sono erogati solo sotto "stretta condizionalità". Per esempio, nel caso di Stati, "i prestiti ESM sono erogati sotto la condizione dell'implementazione di programmi di riforme macroeconomiche predisposte dalla Commissione Europea, unitamente alla Banca Centrale Europea e, ove necessario, al Fondo Monetario Internazionale"). Ora, quest'ultima ricostruzione è un po' inquietante perché si sposa perfettamente con il Position Paper presentato dall'Italia proprio un anno fa. In quel documento, infatti, si parlava proprio di un collegamento fra SRF e ESM, di un ammortizzatore sociale europeo (v. sotto), nonché della possibile costituzione di un "Referente unico" per il bilancio dell'UE. Guarda caso, l'articolo del Corriere parla proprio, in un inciso, di un fantomatico Ministro delle finanze dell'Unione. Qui finisce che l'anima nera del governo non era Renzi, ma Padoan...
La seconda proposta prevedrebbe, invece, l'introduzione dell'Iva sui servizi finanziari (ad oggi integranti operazioni esenti). L'Iva, come si sa, è una imposta propria dell'UE, che dovrebbe utilizzare queste maggiori risorse per la costituzione di "un fondo europeo per integrare il salario dei disoccupati" e di "un altro per sostenere le riforme strutturali".
È chiaro? Qui si parla, in sostanza, della realizzazione di una specie di Reddito Minimo Garantito (RMG) su scala europea, cioè del tentativo di indurre i popoli del Vecchio continente a barattare - una volta per tutte - il diritto al lavoro con il diritto a un reddito, con tutto quello che ne consegue in termini di ricattabilità, minore autonomia, compressione dei salari, e così via. (Chi non fosse avvezzo a questi temi, può leggere questo post di Alberto Bagnai e questo post del Pedante, che spiegano con limpidezza le cose come stanno). Da un certo punto di vista, è piuttosto paradossale pensare che la definitiva precarizzazione del mondo del lavoro passi per la tassazione indiretta dei servizi finanziari, quegli stessi servizi finanziari che permettono - per il tramite del credito al consumo - di trasformare precari e disoccupati con redditi di mera sussistenza in consumatori di quegli stessi beni che producono per salari deflazionati e dal reddito minimo garantito o dalla sostituzione del CCNL con altre forme (legali o pattizie) di determinazione delle retribuzioni.
Ovviamente, l'idea di un RMG è strettamente connessa a quella delle "riforme strutturali". Sì, perché le riforme strutturali sono il nome presentabile - ad usum dei media più sensibili alla propaganda (cioè quasi tutti) - proprio della sullodata deflazione del lavoro. In termini un po' brutali: per riforme strutturali si intendono tutte quelle modifiche legislative che sono volte a migliorare la bilancia commerciale di un Paese tramite la riduzione delle importazioni (via distruzione della domanda interna mediante innalzamento della tassazione) e l'incremento delle esportazioni (mediante riduzione del costo del lavoro, cioè degli stipendi). Noi, proprio noi, proponiamo questa roba. Tra poco la Sindrome di Stoccolma cambierà nome. Si chiamerà Sindrome di Roma.
Anche se spesso i nostri giornalisti - oltre che piddini vari, preda di auto-razzismo patologico - fanno finta di ignorarlo, l'Unione Europea non è l'Europa (dalla quale, in quanto mera espressione geografica, non usciremo mai fino a quando non lo vorrà la deriva dei continenti) bensì Leuropa. Imperfetta quanto si vuole - dal momento che la vera Leuropa è sempre Laltra, che non esiste - ma (secondo i sullodati scienziati) comunque un successo.
Ma cos'è, davvero, Leuropa? Perché lasciarla porterebbe a crisi economiche e corse agli sportelli (fenomeni notoriamente sconosciuti nei Paesi della Leuropa), piogge di sangue, invasioni di cavallette e, se del caso, morte prematura dei primogeniti, esattamente come sta accadendo nel Regno Unito della Brexit? Leuropa (l'unica esistente) si basa su quattro pilastri (art. 26, c. 2, Tfue), il cui fine ultimo (non è la prosperità delle persone, o la coesione sociale, o la protezione dei deboli, o che so io, bensì) è la pura e semplice creazione di un mercato interno fortemente competitivo (artt. 101 e ss., Tfue). (Certo, la creazione di un mercato interno può lasciare sul campo morti e feriti. La Commissione si può adoperare per ridurre un po' il dolore. Ma il dolore è salutare. Per cui le eventuali deroghe alle severe ma giuste regole leuropee "debbono avere un carattere temporaneo ed arrecare meno perturbazioni possibili al funzionamento del mercato interno"). (1) La libertà di circolazione dei capitali, ai sensi dell'art. 63, Tfue, vero cuore di tutto il Trattato ("nell'ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e Paesi terzi. Nell'ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni sui pagamenti tra Stati membri, nonché tra Stati membri e Paesi terzi").
Libertà di circolazione dei capitali significa, poi, evidentemente, possibilità per le aziende, ai sensi degli artt. 49 e ss. del Tfue, di delocalizzare ovunque entro gli Stati dell'Unione (che, come vedremo sotto, non possono apporre dazi intra-UE). Infatti, i capitali si esportano essenzialmente per investirli in Paesi diversi dal proprio. Ora, in mancanza di uniformità delle norme giuslavoristiche, tributarie, di sicurezza sul lavoro e di rispetto dell'ambiente, il venire meno delle frontiere ha ovviamente portato a una guerra stolida a colpi di dumping fiscale e di deflazione salariale (di recente il nostro governo ha pubblicizzato in apposito opuscolo quanto poco costino gli ingegneri italiani, rispetto al loro valore).
"Eh", direte voi, "ma non si può mica fermare il vento con le mani! Oggi siamo in un'epoca di globalizzazione!". Ma lo vogliamo capire che la globalizzazione non è un dato di natura, come un tornado o un terremoto, ma è un mero termine sintetico per riferirsi a un enorme e complesso sistema giuridico (o unione di sistemi giuridici), di natura pattizia trans-nazionale, che ha addirittura prodotto elefantiaci organismi giuridici (primo fra tutti il WTO)? La globalizzazione passa per il TTIP, per il CETA, cioè per trattati multilaterali di migliaia di pagine, oggetto di negoziati ai più alti livelli politici. La globalizzazione è norma, giurisdizione, normativa (altra cosa è il commercio internazionale. Che c'è sempre stato e sempre ci sarà). Ma se si tratta del prodotto di accordi pattizi, anche la globalizzazione può essere ridotta, controllata, modificata. Vi sono state altri periodi di globalizzazione nella storia: quello iniziato attorno al 1870, per esempio, è terminato bruscamente nel 1914. Può concludersi anche questa (certo più subdola e complessa, soprattutto considerando il ruolo di sostanziale parità rispetto agli Stati nazionali di soggetti genuinamente privati: si pensi all'ICANN), speriamo senza una Guerra Mondiale. (2-3) Le libertà di circolazione dei beni e dei servizi. Se delocalizzo il call center Almaviva in Culonia Citeriore, devo essere certo che non arrivi un Trump de' noartri a piazzarmi qualche normicina che mi vieti di godermi quei meravigliosi appalti pubblici che - proprio delocalizzando (v. sopra) e cioè imbrogliando - riesco ad accaparrarmi nel Bel Paese (da INPS, INAIL, Poste, Telecom e giù giù per li rami). Lo stesso dicasi se voglio importare qui - senza dazi, che (come detto sopra) sono vietati tra i singoli Paesi dell'UE - piumini cuciti in Transnistria Antanica. Le norme di riferimento sono l'art. 28, c. 1, Tfue ("l'Unione comprende un'unione doganale che si estende al complesso degli scambi di merci e comporta il divieto, fra gli Stati membri, dei dazi doganali all'importazione e all'esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente, come pure l'adozione di una tariffa doganale comune nei loro rapporti con i Paesi terzi") e l'art. 56, c. 1, Tfue ("le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno dell'Unione sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione").
Tuttavia, esistono anche dazi non monetari. Per questo, tra le norme a tutela della Dea Concorrenza, vi sono anche quelle contro gli Aiuti di Stato. Tra queste, riporto l'art. 107, Tfue, perché aiuta a capire la genetica asimmetricità dell'UE: "salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.Sono [invece] compatibili con il mercato interno: a) gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall'origine dei prodotti; b) gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali; c) gli aiuti concessi all'economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania che risentono della divisione della Germania, nella misura in cui sono necessari a compensare gli svantaggi economici provocati da tale divisione. Cinque anni dopo l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare una decisione che abroga la presente lettera [sì, bau!, N.d.R.]. Possono[non devono, N.d.R.] considerarsi compatibili con il mercato interno: a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione...; b) gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro; c) gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse; d) gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell'Unione in misura contraria all'interesse comune; e) le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, su proposta della Commissione".
Un'ulteriore riflessione. Io, come detto produttore di piumini in Transnistria (come tale molto più attento al benessere delle oche lavorate che degli uomini lavoranti), sono anche importatore dei medesimi piumini in Italia; pertanto, non avere rischi di cambio tra Transnistria e Italia mi potrebbe fare non poco comodo. Magari questo aiuta a capite perché ci sono alcuni che si ostinano a difendere un esperimento morto in culla come l'Euro.
La questione dei dazi in UE è ancora più complessa. I dazi verso l'esterno, infatti, sono stabiliti a livello di Unione (cioè sono leuropei), e possono comportare ulteriori distorsioni a favore di alcuni Stati membri e a danno di altri. Decidere di imporre dazi sull'importazione di aringhe e non su quella di olio, o viceversa, evidentemente ha un riflesso per Paesi del Nord e Paesi del Sud (ovviamente, le cose stanno così e così e così). (Molto si potrebbe dire, tra l'altro, su queste decisioni che paiono meramente tecniche e invece sono scopertamente politiche: si pensi alla valutazione ai fini del rispetto dei vincoli di bilancio delle spese per la ricostruzione delle zone colpite da terremoto, ove si ponga mente alla diversa sismicità dell'Italia rispetto, per dire, a Germania o Olanda. E questo con buona pace del principio di solidarietà di cui parla l'art. 222 del Trattato).
(4) La libertà di circolazione dei lavoratori (art. 45, Tfue).
Se voglio che la libertà di spostare liberamente i capitali sia effettiva (motivo di fondo per cui è nata Leuropa), devo anche poter spostare gli uomini che utilizzano le relative immobilizzazioni (ne hanno saputo qualcosa a Torino, negli anni Sessanta e Settanta; il Tfue non si nasconde le difficoltà connesse a tali spostamenti; le cita all'art. 46, c. 1, lett. d, una delle tante norme di quel testo che rimarranno per sempre lettera morta).
UE impone libera circolazione capitali. ;)
Prodi:"siamo in questa situazione non per UE, ma perché il capitale è mobile, il lavoro è fisso" https://t.co/3Aeuc5ttVi
Però, siccome una cosa è migrare entro un unico Paese, altra da uno Stato (con una lingua, una tradizione, una cultura, una religione, un clima) a un altro (con diversa lingua, diversa tradizione, diversa cultura, diversa religione), ecco che ci si inventano mille strade per eradicare le persone (l'Erasmus) o per distruggere le comunità (l'immigrazione: in questo ha ragione Barbara Tampieri, che sottolinea come il fine di sostituzione etnica sia addirittura più importante rispetto alla volontà politica di creazione di un esercito industriale di riserva in vista di una permanente deflazione salariale).
Dice: "Eh, ma ci sono tante norme nel Tfue a favore del lavoro! Addirittura, l'art. 147 parla di livello di occupazione elevato!". A parte il fatto che, rispetto all'obiettivo costituzionale della "piena occupazione", già si tratta di un passo indietro, mi piace riportare l'art. 145, di cui non serve neanche un commento, per capire l'effettività di quella disposizione: "gli Stati membri e l'Unione... si adoperano per sviluppare una strategia coordinata a favore dell'occupazione, e in particolare a favore della promozione di una forza lavoro competente, qualificata, adattabile e di mercati del lavoro in grado di rispondere ai mutamenti economici...,". Non solo, il massimo si raggiunge con l'art. 151, non a caso posto a incipit delle disposizioni "sociali" del Trattato: "l'Unione e gli Stati membri, tenuti presenti i diritti sociali fondamentali..., hanno come obiettivi la promozione dell'occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l'emarginazione. A tal fine, l'Unione e gli Stati membri mettono in atto misure che tengono conto della diversità delle prassi nazionali, in particolare nelle relazioni contrattuali, e della necessità di mantenere la competitività dell'economia dell'Unione. Essi ritengono che una tale evoluzione risulterà sia dal funzionamento del mercato interno, che favorirà l'armonizzarsi dei sistemi sociali, sia dalle procedure previste dai trattati e dal ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative.". Tutto questo - in realtà e con buona pace degli estensori del testo di cui sopra - genera, per quasi tutti, soltanto maggiore povertà. Il che significa, specularmente, grandissimi guadagni per molto pochi. Non solo: i molto pochi, in questo modo, hanno i capitali per far comprare ai tanti le loro merci mediante finanziamenti, così da poter godere non soltanto dei ricavi, ma anche degli interessi. Se ci si somma la pressione al ribasso sui salari, nonché la circostanza che la sullodata povertà comporta la trasformazione del diritto di emigrazione in obbligo, eh be', il guadagno è quadruplo. Poi c'è l'Unione Economica e Monetaria. Il tutto, infatti, non funzionerebbe in modo così perfetto, se le dinamiche volte alla deflazione salariale e alla conseguente finanziarizzazione dell'economia potessero essere obliterate o quanto meno attenuate da politiche anticicliche statali, in termini sia di allentamento fiscale sia di spesa pubblica in deficit. Per questo è nato l'Euro. Per questo la Banca Centrale Europea è stata resa indipendente.
Ai sensi dell'art. 119, Tfue, "l'azione degli Stati membri e dell'Unione comprende, alle condizioni previste dai trattati, l'adozione di una politica economica che è fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi comuni, condotta conformemente al principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza. Parallelamente, alle condizioni e secondo le procedure previste dai trattati, questa azione comprende una moneta unica, l'euro, nonché la definizione e la conduzione di una politica monetaria e di una politica del cambio uniche, che abbiano l'obiettivo principale di mantenere la stabilità dei prezzi e, fatto salvo questo obiettivo, di sostenere le politiche economiche generali nell'Unione conformemente al principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza. Queste azioni degli Stati membri e dell'Unione implicano il rispetto dei seguenti principi direttivi: prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane [chi è interessato può vedere l'art. 126, Tfue, N.d.R.] nonché bilancia dei pagamenti sostenibile". Ai sensi dell'art. 123, c. 1, invece, "sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri... a istituzioni, organi od organismi dell'Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l'acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali".
Chiaro? La politica monetaria la fa la BCE e solo la BCE, e la fa con lo scopo precipuo di mantenere un basso livello di inflazione (art. 127, Tfue); pertanto il "divorzio" tra circuito democratico (elezioni, parlamento, governo) e banca centrale dev'essere completo (art. 130, Tfue), addirittura fino a vietare l'acquisto in asta dei Titoli di Stato. Questo sistema crea, evidentemente, scarsità di risorse per gli Stati membri, i quali sono strozzati da vincoli di bilancio che non permettono le suddette politiche anti-cicliche, meno che mai il varo di importanti progetti pubblici. Ma non solo: l'esistenza di un'unica moneta, l'Euro, per vari Stati membri - per di più, come detto, stretti in questa specie di Camicia di Nesso che sono le norme europee (rese ancor più stringenti dalle varie norme che vanno sotto il nome di Fiscal Compact) - non permette neppure gli aggiustamenti di cambio che permetterebbero una mitigazione automatica degli effetti di eventuali shock asimmetrici su alcune economiche rispetto ad altre, o sui differenziali di produttività fra le stesse.
In mancanza di questo meccanismo, shock e differenziali di produttività si scaricano necessariamente sul costo del lavoro, cioè - in pratica - sui salari, che vengono inesorabilmente compressi (a vantaggio, con tutta evidenza, dei profitti).
Questo intende il prof. Bagnai quando dice che la moneta è un'istituzione volta a regolare il conflitto distributivo.
Questa è Leuropa. Non Laltra. Quella che c'è. L'unica che ci può essere. Così è, se vi piace.
Sarebbe molto interessante capire la genesi dell'attuale attacco a coloro che, al di fuori dei media tradizionali, cercano di svolgere una funzione informativa spesso distante dalla vulgata giornalistica e televisiva. Questa genesi - la genesi del concetto stesso di fake news - è probabilmente da ricercarsi, come accade per tutti i temi all'ordine del giorno nel Vecchio Continente, Oltreoceano: una a mio avviso significativa confessione, in questo senso, l'abbiamo avuta addirittura in diretta.
Io, però, più limitatamente, non vorrei andare oltre le Colonne d'Ercole.
Già così, il materiale è veramente enorme. A livello di Unione Europea - ancora scioccata per il risultato del referendum sul Brexit - la questione esplode soprattutto dopo l'elezione di Trump negli USA, ma affonda le sue radici come minimo nei 24 mesi precedenti. Certo, verso fine 2016, dopo il clamoroso fallimento dei media tradizionali statunitensi, tutti schierati, da destra a sinistra, con la Clinton, e in vista di elezioni molto importanti in Paesi chiave (il referendum costituzionale in Italia, già clamorosamente perso dal "Kasparov della cazzata", le elezioni in Olanda, Germania e Francia), il Parlamento partorisce il documento di maggiore risonanza, cioè questa fantastica "Risoluzione... del 23 novembre 2016 [ma l'inizio dei lavori data al marzo precedente, N.d.R.] sulla comunicazione strategica dell'UE per contrastare la propaganda nei suoi confronti da parte di terzi".
I "terzi" sono la Russia e l'ISIS, posti in pratica sullo stesso piano. Tanto per dire.
Chi è certo di non avere neppure remote pulsioni aggressive, può leggere il testo originale qui. Per tutti gli altri, rimando a questo storify c, che è meglio di un trattato.
Peraltro la connessione fra il "problema russo" e la propaganda mediatica ha data più antica. Il tutto prende una piega ufficiale, per quanto posso ricostruire io, a marzo 2015 con le decisioni del Consiglio europeo (cioè il Consiglio dei Capi di Stato e di governo, il cui vecchio simbolo qui accanto è tutto un programma, e che è cosa diversa sia dal Consiglio dell'Unione Europea - che raccoglie un esponente del governo di ciascuno degli Stati membri dell'UE e rappresenta il principale organo legislativo dell'Unione - sia dal Consiglio d'Europa - che è un'organizzazione internazionale autonoma, di cui parleremo diffusamente sotto). In breve, dopo aver ribadito le sanzioni a Mosca e stanziato fondi in cambio delle "solite" riforme per l'Ucraina, si sottolinea la "necessità di sfidare le attuali campagne di disinformazione della Russia" e si invita "l'Alto Rappresentante [che poi, in parole povere, sarebbe la Mogherini], insieme con gli Stati membri e l'Unione Europea, a preparare per giugno 2015 un piano d'azione in materia di comunicazione strategica", iniziando - come primo passo concreto - dalla creazione di un "team della comunicazione". Sono dieci esperti, pagati anche dagli Stati membri, il cui nome farebbe invidia anche a un corpo di marine: East StratCom Task Force (vi prego di farvi un giro sul sito perché è meraviglioso. Una perla tra tante: la task force "non cerca di indirizzare l'opinione pubblica, ma solo di verificare fatti e informazioni". Come no) e sono incardinati nell'EEAS, questa specie di servizio para-diplomatico dell'UE.
Per capire di che si tratta, qui di seguito un re-tweet a caso.
L'iniziativa dei Capi di Stato e di governo è fatta immediatamente propria dal Parlamento Europeo che, prima della Risoluzione sopra ricordata, ne produce un'altra del 10 giugno 2015, in cui si leggono amenità varie: il suddetto Parlamento "è estremamente preoccupato per la recente tendenza dei media russi, controllati dallo Stato, di riscrivere e reinterpretare eventi storici del XX secolo..., nonché per il ricorso alla narrativa storica selettiva a fini di propaganda politica attuale" ("chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato", N.d.R.), oltre che per "i contatti e la cooperazione sempre più intensi, tollerati dalla dirigenza russa, tra partiti europei populisti, fascisti e di estrema destra, da un lato, e gruppi nazionalisti russi, dall'altro; riconosce che ciò rappresenta un pericolo per i valori democratici e per lo Stato di diritto nell'UE..." (Salvini, dunque, potrebbe essere un hacker russo e sicuramente lo è la Le Pen, N.d.R.); pertanto, sempre quel campione di democraticità e trasparenza che è il Parlamento, (i) "invita l'UE a sostenere progetti volti a promuovere e sviluppare elevati standard giornalistici, la libertà dei media e un'informazione imparziale e affidabile in Russia, nonché a smantellare la propaganda nell'UE e nei paesi del partenariato orientale", e (ii) "invita la Commissione a rendere disponibili finanziamenti sufficienti per le iniziative intese a sviluppare alternative mediatiche in lingua russa ai media russi controllati dallo Stato, al fine di fornire al pubblico russo-fono fonti d'informazioni credibili e indipendenti" (due righe per dire quello che si può spiegare con una sola parola, contro-propaganda, N.d.R.). Tradotto: date più soldi ai Rambo del web.
A fine dicembre Andrus Ansip - il commissario che riunisce sotto di sé tutte le competenze in materia di "mercato unico digitale" (quello del roaming, per capirsi) - dichiara al Financial Times: "sono preoccupato, come lo sono tutti i cittadini dell’Unione, specialmente dopo quello che è successo durante le elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Credo fortemente dell’autoregolamentazione, ma prima di essere pronti per questa prospettiva sono necessari alcuni chiarimenti”. In sostanza: o Facebook, Twitter, Google e compagnia non si adeguano, rischiano di incorrere in provvedimenti della Commissione. Il Codice di condotta contro l'hate speech- concetto già puzza terribilmente di censura, oltre che di inversione orwelliana del significato rispetto al significante, e che implica altresì un appalto a soggetti privati di funzioni prettamente statali che nessuno dovrebbe tollerare - evidentemente non basta, soprattutto nei Paesi dove, a breve, si terrà quel barbaro e ancestrale rito noto come "elezioni". Non è il solo a pensarla così (faccio notare che Ansip e Ilves sono estoni. Non proprio un dettaglio).
Anche il Consiglio d'Europa (un'organizzazione internazionale diversa dall'Unione Europea, il cui scopo è promuovere la democrazia, i diritti umani e l'identità culturale europea", ammesso che esista: ne fanno parte, ad oggi, 47 Stati) ha detto la sua. E lo ha fatto adottando un rapporto di una senatrice verdiniana già pentastellata, iscritta all'Alde (sì, proprio i fenomeni che hanno fatto battere una musata epica proprio a Grillo), Adele Gambaro (la ritroveremo).
Il rapporto è una specie di fritto misto: "l'obiettivo... è disciplinare l'informazione online come avviene per quella offline, usando gli strumenti già a disposizione negli ordinamenti giuridici nazionali, le leggi contro le informazioni false, illegali e lesive della dignità personale per contrastare la diffusione di notizie distorte, che quotidianamente inondano internet, consentendo per esempio ai colossi della rete l'uso di selettori software per rimuovere i contenuti falsi, tendenziosi, pedopornografici o violenti". E ancora: "è fondamentale aggregare la collaborazione digitale tra i diversi Paesi, oggi ancora carente. Questo, ridiscutendo del tabù dell'anonimato, della trasparenza e della proprietà dei media online, del diritto di replica, del diritto all'oblio, della protezione della privacy e della rimozione dei contenuti online. Le notizie false, o fake news o bufale, ci sono sempre state, ma non sono mai circolate alla velocità di oggi, nel circuito istantaneo della rete". Ricapitoliamo: si inizia con l'asserita necessità di combattere la propaganda russa via web, si finisce col proporre la soppressione dell'anonimato online e la rimozione di contenuti scomodi. Sarò io poco sveglio, ma mi pare vi sia un discreto salto logico.
Non solo.
Quello che appare ancora più impressionante, almeno sulla base delle mie conoscenze, è l'assoluta mancanza di approfondimento giuridico della questione. Eppure, il punto di partenza in materia esiste, ed è rappresentato dal testo della CEDU.
Ai sensi dell'art. 10, "ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera...". Tuttavia, ai sensi del comma 2, "l’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all'integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui...". Inoltre altri articoli, soprattutto gli artt. 14 (divieto di discriminazione) e 17 (divieto di abuso del diritto: "nessuna disposizione della presente Convenzione può essere interpretata nel senso di comportare il diritto di uno Stato, un gruppo o un individuo di esercitare un'attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione o di imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla stessa Convenzione"), prevedono restrizioni implicite alla libertà di espressione.
In questo quadro di grande incertezza - da un lato l'ampia formulazione dell'art. 10, c. 1, interpretata peraltro dalla giurisprudenza della CEDU in modo estensivo, fino a ricomprendervi qualsiasi tipologia di manifestazione del pensiero, indipendentemente dalla forma ovvero dallo specifico contenuto (artistico; religioso; addirittura commerciale sia pure con certe limitazioni in caso di pubblicità decettiva o concorrenza sleale) della comunicazione (in un caso recente, riguardante il nostro Paese, la Corte ha addirittura evidenziato come, in linea di principio, il diritto di cronaca possa in qualche caso avere la meglio sul diritto alla riservatezza delle comunicazioni personali), dall'altro un secondo comma così vago da permettere, in linea di principio, abusi in senso censorio da parte degli Stati - la Corte Europea si è mossa in modo molto lucido. In linea generale, la Corte ha sottolineato che le limitazioni poste dallo Stato alla libera manifestazione del pensiero debbono essere necessariamente previste dalla legge, perseguire scopi legittimi e configurarsi come misure necessarie in una società democratica per raggiungere i medesimi scopi. Inoltre, le limitazioni del diritto di cronaca sono vagliate con particolare severità, stante lo stretto rapporto fra pluralismo e democrazia.
Anche in relazione a ciò che si dirà in seguito, il principio della "riserva di legge è molto importante", perché comporta anche alcuni corollari, quali l'accessibilità agli interessati alla norma, una formulazione molto precisa della stessa (onde consentire di prevedere, ad un livello ragionevole nelle circostanze di causa, le conseguenze che possono scaturire da una determinata azione), la possibilità di conferire a autorità pubbliche un potere discrezionale che però dev'essere connesso allo scopo legittimo in gioco e non può mai sfociare nell'arbitrio (Margareta e Roger Andersson c. Svezia, 25 febbraio 1992, Serie A, n. 226 - A). Non solo: a garanzia del diritto del singolo, la Corte di recente si è riservata di valutare se le restrizioni previste dalla legge si concilino con lo spirito dell'art. 10, con ciò limitando di fatto il margine di apprezzamento discrezionale concesso agli Stati. Infine, la Corte ritiene di poter giudicare in ordine alla proporzionalità fra violazione di un limite alla libertà di espressione e la sua sanzione (caso Ormanni). Una sanzione detentiva non è MAI proporzionata (salvo il solito caso dell'incitamento all'odio, specie se razziale: sono giudici abbastanza di ampie vedute, ma restano funzionari europei...). Rispetto alle fake news, poi, la Corte osserva che in una società democratica la stampa svolge il fondamentale ruolo di "cane da guardia" (Thorgeir Thorgeirson c. Islanda, sentenza del 25 giugno 1992) e che il giornalista, pur potendo far ricorso ad un certo grado di esagerazione, cioè di provocazione (Prager e Oberschlick c. Austria, sentenza del 25 aprile 1995; Thoma c. Lussemburgo n. 38432/97, CEDH 2001-III), ha l’obbligo di comunicare al pubblico informazioni di interesse generale, purché affidabili e precise, e di esporre correttamente i fatti nel rispetto della deontologia professionale (Fressoz e Roire c. Francia n. 29183/95 CEDH 1999-1; Bladet Tromsø e Stensaas c. Norvegia n. 21980/93, CEDH 1999-III).
Di tutto questo, nel dibattito del Parlamento europeo e del Consiglio d'Europa non c'è traccia.
Evidentemente, lo scopo censorio fa premio su qualsiasi altra considerazione, non dico di sostanza, ma quanto meno di forma. Comunque, dalle istituzioni europee, la caccia alle streghe si espande a macchia d'olio in molti Paesi dell'Unione (oltre che in note democrazie come il Myanmar e la Cina: a questo proposito consiglio la lettura di un articolo del Guardian oltre il dadaismo, enorme fake news per combattere le fake news).
L'Italia...
In Italia, com'era da immaginarsi, il tema della contro-propaganda è passato in secondo piano, a favore di quello della censura. Sicuramente due momenti significativi sono state le prese di posizione di Laura Boldrini, che (per quanto ciascuno di noi tenda a rimuovere l'idea) è tuttora Presidente della Camera dei Deputati, e di Giovanni Pitruzzella, Presidente dell'Autorità Antitrust (sebbene lui, con ogni evidenza, ritenga di essere piuttosto presidente dell'AgCom). Quest'ultimo si è sentito in dovere addirittura di invocare, "contro la diffusione delle false notizie..., una rete di organismi nazionali indipendenti ma coordinata da Bruxelles e modellata sul sistema delle autorità per la tutela della concorrenza, capaci di identificare le bufale online che danneggiano l’interesse pubblico, rimuoverle dal web e nel caso imporre sanzioni a chi le mette in circolazione". Probabilmente la vorrebbe presiedere.
La nostra amabile Presidente della Camera, invece, ha sposato una linea più morbida (cioè, senza eufemismi, più subdola). Prima, ha lanciato un'ampia petizione contro le fake news - tra l'altro sponsorizzata da un'agenzia di stampa notoriamente indipendente - e arruolato alcuni debunker di grido, tra cui il fantasmagorico Paolo Attivissimo (vi ricordare il Consiglio?, come prima cosa creare un team di comunicazione...).
Come si vede, il bastone e la carota, esattamente come su scala europea.
Se non che...
1) "Punire" le fake news tramite chiusura di account, o disattivazione della possibilità di monetizzazione delle visualizzazioni dei siti, o ancora riduzione delle indicizzazioni di blog o canali youtube, significa permettere una specie di "giustizia privata" (sì, perché pare che le società delle Felpe californiane pare siano ancora soggetti privati) in aperto contrasto con quanto richiesto dalla CEDU in relazione al principio della "riserva di legge".
2) Tutta questa congerie di dichiarazioni, piani, proposte, sia a livello europeo sia a livello italiano, tende ad equiparare la "bufala" (cioè un'informazione non corretta) a una "notizia falsa" o fake news (che è concetto più ristretto del precedente), e quindi la "notizia falsa" al c.d. "hate speech" (che è concetto ancora diverso, che può anche prescindere dalla verifica in ordine alla veridicità dell'affermazione "di odio"). In questo modo, si possono continuare a leggere o sentire, sui media mainstream, le più incredibili bugie economiche, le più demenziali previsioni sul futuro del Paese, una quotidiana diffamazione della spesa pubblica e, per quella via, dello Stato sociale.
Tutto questa attività ha preparato il terreno per il disegno di legge sulla "prevenzione della manipolazione dell'informazione on line", come si esprime l'ineffabile senatrice Gambaro, che abbiamo già trovato sopra. Ora, questo disegno di legge, si distingue per due particolarità: (i) per essere firmato da parlamentari di vari partiti e schieramenti ma soprattutto di quelli di opposizione (Ala, Lega Nord, Forza Italia) e comunque tutti di terza o quarta fila, in modo da non impegnare i rispettivi partiti né imporre calendarizzazioni particolarmente rapide; (ii) per dimostrare una sciatteria giuridica ai limiti dell'incredibile.
I primi due articoli prevedono due nuove fattispecie di reato (siamo, cioè, in un ambito penale). La prima (art. 1, c. 1) riguarda "chiunque pubblica o diffonde, attraverso piattaforme informatiche destinate alla pubblicazione o diffusione di informazione presso il pubblico, con mezzi prevalentemente elettronici o comunque telematici, notizie false, esagerate o tendenziose che riguardino dati o fatti manifestamente infondati o falsi, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'ammenda fino a Euro 5.000". Il reato trova collocazione sistematica nel titolo dedicato alle contravvenzioni di polizia e, più precisamente, nel capo relativo alle contravvenzioni concernenti la polizia di sicurezza, nella sezione che riguarda l'ordine pubblico e la tranquillità pubblica; però in questa fattispecie, guarda caso, al contrario che nel precedente art. 656 c.p., il riferimento all'ordine pubblico non c'è. Ora, la senatrice Gambaro dovrebbe sapere che la Corte Costituzionale ha "salvato" l'art. 656 c.p. con tre successive sentenze (C. Cost., sent. 16 marzo 1962, n. 19; C. Cost., 19 dicembre 1972, n. 199; C. Cost., 3 agosto 1976, n. 210), coordinando l'art. 21, Cost., il limite rappresentato "dalla necessità di non incidere nel campo degli altri diritti e interessi costituzionalmente garantiti", tra cui sicuramente trova spazio l’ordine pubblico "inteso nel senso di ordine legale su cui si poggia la convivenza sociale", costituendo "un bene collettivo, che non è dammeno della libertà di manifestazione del pensiero" (v. qui). In quest'ottica, l'ordine pubblico è un'espressione che compendia le prerogative dello Stato al mantenimento dell'ordine repubblicano, assicurando che queste possano essere garantite "anche in presenza dei diritti... [di cui] agli artt. 13 ss. Cost., rafforzandone ... il valore e la vigenza". Ciò nonostante, parte della dottrina ha comunque criticato la succitata ricostruzione, auspicando "un intervento coraggioso" volto a dichiarare l'illegittimità costituzionale della norma. In ogni caso, l'applicazione dell'art. 656, c.p., risulta particolarmente ridotto, ove si faccia riferimento alla giurisprudenza di legittimità che ha distinto il "diritto di cronaca" (che non deve essere né tendenzioso, né esagerato: v. anche le sentenze CEDU sopra riportate) dal "diritto di critica": quest’ultimo infatti "non si concreta nella narrazione di fatti, bensì si esprime in un giudizio o più genericamente nella manifestazione di una opinione che sarebbe contraddittorio pretendere rigorosamente obiettiva" (Cass., 16 aprile 1993; Cass., 8 aprile 2002). In sostanza, qualsiasi condotta che, rifacendosi a fatti realmente accaduti, ne dia una interpretazione anche fortemente soggettiva, NON può condurre all'incriminazione.
Restano le notizie "false". Queste sì che, ove pubblicate, sono punibili, ma soltanto laddove creino un turbamento dell'ordine pubblico. Si tratta di un reato di pericolo, certo, ma di pericolo concreto. Se così non fosse, non vi sarebbe rispetto dell'art. 21, Cost..
L'altra fattispecie del d.d.l. Gambaro è ancora migliore.
Riguarda "chiunque diffonde o comunica voci o notizie false, esagerate o tendenziose, che possono
destare pubblico allarme, o svolge comunque un'attività tale da recare nocumento agli interessi
pubblici o da fuorviare settori dell'opinione pubblica, anche attraverso campagne con l'utilizzo di
piattaforme informatiche destinate alla diffusione online". Qui, oltre all'ammenda, c'è la reclusione "non inferiore a dodici mesi" (ventiquattro in caso "di campagne d'odio contro individui o di campagne volte a minare il processo democratico, anche a fini politici"). Qui la giurisprudenza CEDU non è ignorata, è proprio consapevolmente violentata.
Ma non solo (ho quasi pudore a scrivere il resto). La norma è posta dopo un'altra, di cui è in sostanza il calco, che punisce il disfattismo politico (!) ed è applicabile solo in tempo di guerra (!!). In tempo di guerra! Ci rendiamo conto? Questa gente pensa davvero di star combattendo una guerra! Ed hanno ragione, badate bene, hanno ragione. Il problema è che i loro nemici siamo noi. Noi. Quel popolo che, fino a prova contraria, dovrebbe essere il depositario di quella sovranità di cui loro fanno continuamente strame.
Commentando la norma, così si esprime Andrea Sereni: "in breve, i reati politici risentono della realtà dittatoriale del tempo in cui furono concepiti. L’importanza degli interessi in gioco, sicurezza e prestigio dello Stato, giustificano pesanti deroghe alle garanzie individuali previste nella stessa parte generale del codice Rocco per la criminalità normale".
Ecco. Ma se si tratta di un disegno di legge scritto male, presentato da peones, che non diventerà mai legge, perché perdere tutto questo tempo e scriverci addirittura un post? Il perché, senza che ve lo dica io, ve lo spiega bene Palombi.
Il ddl #Gambaro è il cavallo di Troia per portare il bavaglio web in parlamento. Ricordare sempre il "metodo Juncker" pic.twitter.com/vGzL64FEUI
Eh sì, il solito vergognoso metodo Juncker. Gettare all'opinione pubblica un ballon d'essai evidentemente esagerato, evidentemente irricevibile, evidentemente liberticida, per poi tornare parzialmente indietro, iniziare a discutere, mediare, ed alla fine raggiungere, come fosse una cosa normale, l'obiettivo che ci si era prefissati e che, senza tutta questa lunga ma fruttuosa operazione di creazione di una cortina fumogena, mai e poi mai sarebbe stato concesso.
So che per molti di voi questa volta sarà diverso.
E invece no. Non è mai diverso.
Ricapitoliamo.
Da un lato si presenta una proposta di legge chiaramente irricevibile (che, sia detto per inciso, non sarebbe stata applicabile alle testate giornalistiche!), dall'altro - sfruttando la "minore attenzione" dell'opinione pubblica - si raggiunge comunque l'obiettivo voluto sin dal principio, cioè silenziare le voci libere del web (tramite il ricatto del divieto di pubblicità, a insindacabile giudizio di Google) per permettere alle Botteri di ogni dove di continuare a propalare le loro fregnacce a reti unificate. Se vuoi dire il falso, devi essere giornalista.
Quello che, obiettivamente, più mi ripugna, è che questo modo di agire (e, peggio, di pensare) è sposato addirittura da giuristi. Per esempio, Ruben Razzante, docente di diritto dell'informazione alla Cattolica di Milano: "i colossi della rete devono intervenire tempestivamente per frenare la condivisione di palesi bufale, a fronte di segnalazioni da parte degli utenti, e per limitare la diffusione, la visibilità e la pubblicità di siti che ciclicamente ospitano notizie inattendibili...". Notare un professore che auspica sostanzialmente la legalizzazione del reato di violenza privata e la delazione: si parla infatti di utenti e non di interessati. Ancora: "serve una rete di organismi nazionali indipendenti, ma coordinata da Bruxelles, e modellata sul sistema delle autorità per la tutela della concorrenza, capaci di identificare le bufale on line che danneggiano l'interesse pubblico, rimuovendole dal web e imporre sanzioni a chi le mette in circolazione. L'obiettivo è far perdere credibilità - e pubblicità - alle notizie false e alle testate che le ospitano". Notare gli "organismi indipendenti che dipendono dalla UE" e il rapporto fra notizie da censurare e "interesse pubblico" (cioè dell'élite dominante).Se poi si aggiunge che il prof. Razzante è molto preoccupato non solo della "verità" delle notizie che appaiono sul web, ma anche della loro "rilevanza"...
* * * * *
Questo post non finirà mai.
Perché la verità supera continuamente la più fervida fantasia.
Il Parlamento Europeo ha infatti votato una nuova "regola" assembleare (non pubblicata) che attribuisce al Presidente del Parlamento la possibilità di "spegnere" le trasmissioni in diretta dei dibattiti parlamentari "in caso di linguaggio o comportamenti diffamatori, razzisti o xenofobi dei parlamentari". Nel caso, ai parlamentari è inflitta anche una sostanziosa multa. Non bastando questo, il "materiale incriminato" può essere rimosso dalle registrazioni. L'opinione pubblica, in sostanza, sarà informata dei discorsi (ritenuti) diffamatori (dal Presidente del Parlamento) solo e soltanto vi siano giornalisti (non compiacenti) a riportare quanto accaduto. (Apro parentesi. Sarò io poco attento, ma la notizia sui giornali italiani non l'ho trovata. Se la conosco, è grazie agli amici su Twitter e alla stampa anglosassone.
Censorship concerns as European Parliament introduces 'kill switch' to cut racist speeches https://t.co/2ydI2UXXS8
Chiusa parentesi). Pare che chi ha criticato il provvedimento abbia sottolineato che "le regole sono state formulate in modo vago e possono dunque essere manipolate o utilizzate come strumento di censura". Saranno sicuramente un'accolita o di fascisti o di bolscevichi. O entrambe le cose.
O forse no. Così scrive il Telegraph: "ciò compromette l'affidabilità degli archivi del Parlamento in un momento in cui il sospetto di 'notizie false' e manipolazione minaccia la credibilità dei media e dei politici, ha detto Tom Weingaertner, presidente della Associazione della Stampa Internazionale con sede a Bruxelles". (Apro di nuovo parentesi. Leggete l'articolo del Telegraph, che è meraviglioso nella parte in cui discute le modalità "tecniche" per realizzare questa censura, ivi compresa la differita di pochi secondi, tipo Superbowl per evitare le tette al vento di Janet Jackson. Chiusa parentesi).
Altri pericolosi sovversivi hanno evidenziato come l'utilizzo abnorme di questa regola potrebbe portare a modificare il senso dei dibattiti: "se si segue tutto il dibattito è una cosa, ma se si dispone solo di alcuni mezzi di comunicazione che tirano fuori singole frasi, si potrebbe vedere falsificata l'intera questione". A proposito. Il Presidente del Parlamento Europeo è Tajani.