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mercoledì 3 maggio 2017

Lo Sceriffo di Nottingham a Roma ("tasse, tasse, mie amatissime tasse!")

Di alcune delle disposizioni più allucinanti della manovrina di fine aprile - che si sostanziano, in pratica, in un inasprimento delle condizioni per fruire dei rimborsi Iva e Irpef e nell'ulteriore allargamento del sistema dello split payment (il cui effetto principale è quello di ridurre la liquidità alle imprese) - abbiamo già ampiamente detto. Qui possiamo aggiungere una nota sulla scarsa fantasia delle nostre élite, che tutto giustificano con lo specchietto per le allodole della "corruzione" (d'altronde, Paese che vai usanza che trovi: in USA sarebbe il terrorismo).
I giornali, invece, hanno ricamato sull'effettivo avverarsi delle clausole di salvaguardia contenute, come da tradizione, nell'ultima legge di bilancio (tema, come sempre, l'inasprimento dell'Iva), ben sapendo trattarsi di un problema relativo all'esercizio 2018, da affrontare dunque, seriamente, soltanto con la prossima manovra di fine anno. In questo modo, però, hanno raggiunto tre obiettivi (propagandistici).
In primo luogo, la diluizione su tre anni degli aumenti delle aliquote Iva normale e ridotta previste per il 2018 nella legge di bilancio sono state recepite, nell'immaginario della gente, come riduzioni di imposta (quando invece rimangono degli aggravi, ancorché più limitati). Pertanto, quando l'aumento si verificherà - e si verificherà - sarà accettato dalle persone (il che, tuttavia, non potrà evitare gli ovvi effetti deleteri sull'economia).
Secondariamente, hanno permesso a Renzi di rimettersi in gioco, a poche settimane dalle primarie del PD (per quanto ovvio ne fosse il risultato), mostrando come - nel rapporto fra lui e Padoan (cioè, in termini mediate, fra lui e il governo e - forse ancora di più - fra lui e la Commissione Europea, di cui Padoan è il garante) sia ancora lui a recitare la parte del più forte.
Tweet di questo genere mostrano bene il meccanismo psicologico che stimolano questi due punti.
Infine, c'è il terzo punto, quello più importante. Infatti, seppure sotto la forma della negazione (secondo noti principi psicanalitici), il PD ha mostrato quale sia il suo programma futuro di politica fiscale e, tangenzialmente, come tale programma sia - come al solito - dettato da Bruxelles.
Cosa dice, in breve, Padoan? Che le imprese esportatrici italiane - non potendo più svalutare la moneta in un sistema di cambi rigidi quale è l'Euro - devono poter godere di forme di svalutazione interna, cioè di riduzione del costo del lavoro. Finora, questa politica è stata perseguita con le note "riforme strutturali" (prima fra tutte, il Jobs Act) volte a ridurre le tutele dei lavoratori e, per tale strada, le retribuzioni, ora l'idea sarebbe quella di "scambiare" una riduzione del "cuneo fiscale" con l'aumento delle aliquote Iva (che, evidentemente, non incidono sull'export, ma anzi tendono a ridurre l'import con un ulteriore miglioramento della bilancia commerciale).
Ovviamente, questo ragionamento fa acqua da tutte le parti.
In primo luogo, perché condanna a un peggioramento delle condizioni di vita i ceti meno abbienti (pensionati, artigiani) o le imprese in maggiori difficoltà (quelle cioè che agiscono sul mercato interno). Secondariamente perché, come l'esperienza dimostra, il "giochino" non funziona.
Tuttavia l'Iva piace alla gente che piace, soprattutto a quella di Bruxelles, visto che l'Unione Europea ha una compartecipazione significativa su quanto incassato dai vari Stati membri (compartecipazione a cui tiene talmente tanto, da passare sopra anche a millenari principi giuridici, pur di difenderla).
Allargando il discorso, in Nord Europa hanno un grande amore per le imposte indirette (purché pagate dai cittadini degli Stati del Sud).
È evidente, infatti, che tutte le imposte indirette - come notato sopra per l'Iva (v. qui per un caso concreto descritto da Bagnai) - colpiscono essenzialmente i consumi dei residenti (dunque la domanda interna, in particolare quella delle classi meno abbienti e delle classi medie) a favore dei redditi degli investitori esteri, soprattutto qualora questi abbiano acquistato quote di imprese votate all'export in Paesi con costi del lavoro più alto (gli IDE tanto amati da Marattin; tra l'altro, in un contesto di deflazione, acquistabili anche a prezzo di saldo).
Inoltre molte di tali imposte, ancorché correlate a vaghi indici di capacità contributiva, tendono a prendere la coloritura di vere e proprie tasse patrimoniali (si pensi all'imposta di registro, per esempio). E si sa che le patrimoniali sono un pallino di chi vede nell'espropriazione della ricchezza privata italiana un modo per ridurre il debito pubblico del nostro Paese o, per meglio dire, l'esposizione privata estera al debito pubblico del nostro Paese. Poi si vendono bene, sia perché fanno leva sull'invidia sociale, sia perché permettono slogan accattivanti ("colpire le rendite!") e story telling appassionanti (volti, il più delle volte, a trasformare evasori fiscali in filantropi).
Se non sarà l'Iva, dunque, a fine anno, sarà qualche altra cosa. Potrebbe essere la sempre verde tassa di successione, di cui ogni tanto si parla insistentemente, salvo poi d'improvviso scomparire dai giornali (forse al fine di evitare suicidi di massa o, più probabilmente, un'impennata delle donazioni ai propri discendenti). Questa è la previsione, per esempio, di Paolo Cardenà, uno che queste cose le conosce bene e ne parla sempre con molta competenza.
L'idea che pare più accreditata è quella della abrogazione di tutte le franchigie, ad esclusione di quella per i trasferimenti in linea diretta, che verrebbe ridotta dall'attuale milione di Euro a 200.000 Euro, soglia che sarebbe presentata - nei giornaloni di regime - come il valore catastale medio di un appartamento.
Ed ecco il colpo di genio! Insieme alla riduzione della franchigia sulle successioni, aumentiamo gli estimi catastali. Scaduta la precedente legge delega, eccone un'altra già pronta in Senato. Anche qui, lo story telling è facile: da un lato, si scova qualche superattico ristrutturato in qualche centro storico, oppure qualche rudere di campagna trasformato in mega-villa con piscina e maneggio; dall'altro, si promette la famosa chimera dei "saldi invariati". E il gioco è fatto. Tra l'altro, la riforma del catasto, avrebbe un effetto moltiplicatore per lo Stato (e ultra-depressivo per noi): perché aumentando gli estimi, aumenterebbero anche tutte le altre tasse ad essi collegate (Imu, Registro, Tari, soprattutto l'ISEE...). In sostanza, un massacro (a cui dobbiamo, volenti o nolenti, prepararci: vi sarete accorti che, da un anno a questa parte, sulle visure catastali degli appartamenti sono magicamente apparsi, accanto ai vani, anche i metri quadrati, no?!).
Dice giustamente Claudio Borghi: "la necessità di una tassa patrimoniale è stata sempre un’ossessione dell’Europa. Immaginate quali effetti produrrebbe il combinato di una rivalutazione degli estimi catastali insieme con la tassa di successione. Si avrebbe una rivalutazione dei valori fuori mercato con il catasto, fatto questo che produrrebbe una forte stangata sulle seconde case deprimendo ancora di più il mercato immobiliare. Colpirebbe tutti indistintamente, indipendentemente dal fatto che si possieda una casa in centro o meno. L’inganno è a monte. Hanno voluto far credere che l’immobile sia un reddito. Invece è un reddito se lo si affitta pagando già una tassazione sugli affitti, ma l’immobile di per sé non produce reddito ma costi. Quindi non producendo reddito, tassarlo è un aberrazione... [Il costo per i cittadini sarebbe] enorme. Rivalutando oggi l'immobile, nel momento in cui si andrà a pagare la tassa di successione il costo diventerà esorbitante costringendo il soggetto che lo erediterà a lasciare tutto allo Stato [o a qualche fondo immobiliare speculativo americano o nordeuropeo che per du' spicci si prenderà valori enormi, N.d.R.]".
Eh, vabbè, direte voi, ma insomma se uno ha un capitale è giusto che paghi per detenerlo! Come no (cioè: no, ma lasciamo perdere), tolto che - guarda un po' - tutti questi calcoli non prendono mai in considerazione il fatto che molti italiani, quel capitale, se lo stanno ripagando, mese dopo mese, versando lauti interessi a una banca. E che, dunque, quel capitale, se così lo vogliamo definire, è loro quanto meno pro quota, non certo per l'intero.
Ad ogni modo, per sicurezza, il modo migliore per evitare qualsiasi forma di tassazione è non possedere niente. Glielo spiegano sempre, i banchieri, allo Stato italiano...

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