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martedì 7 giugno 2016

Meno spese no, meno rappresentanza sì (i risparmi di Matteo e Meb)

Nel precedente post ho succintamente tratteggiato i risultati deleteri, in termini di compressione della democrazia, che avrebbe il combinato disposto della conferma referendaria della nuova Costituzione Renzi-Boschi e dell'applicazione della attuale legge elettorale (il c.d. Italicum).
Ad adiuvandum, come si sarebbe detto una volta, rimando a questa intervista a Zagrebelsky. Quando Ezio Mauro sottolinea di essere preoccupato non certo dall'abolizione del Senato, ma dell'erosione del "welfare state, di quella che abbiamo chiamato l'economia sociale di mercato, della democrazia del lavoro", il Costituzionalista risponde: "anche per me questa è la vera posta in gioco. Guardi però che tutto nel nostro discorso si tiene, dal welfare al referendum. Sennò non si capirebbe, di fronte all'enormità dei problemi che abbiamo, tanto accanimento nei confronti del povero Senato. Il «sì» spianerebbe una strada; il «no» farebbe resistenza".
Poi, certo, subito dopo queste sagge parole si scivola nel più Europa e nello spirito di Ventotene, ma pretendere che Zagrebelsky si trasformi di colpo in Bagnai pare francamente chiedere troppo. A ogni giorno la sua pena.

Veniamo ora al secondo punto del famoso volantino dei deputati e senatori PD, da cui ha preso le mosse questa serie di considerazioni.
Lieve imprecisione numero due.


Il riferimento alla "sobrietà" è doppiamente odioso sia perché richiama un'esperienza di governo che più di ogni altra ha lasciato ferite aperte nel tessuto sociale italiano (e non per sbaglio, come ampiamente documentato), sia perché trasforma una questione eminentemente politica (quale è quella in ordine al perimetro della spesa pubblica, cioè - in altri termini - al ruolo dello stato in economia, la cui risposta, in termini di maggiore o minore coinvolgimento, comporta anche significativi effetti redistributivi della ricchezza nazionale) in una questione morale e, ipso facto, pre-politica.
La sobrietà, o - come la si definiva una volta - la temperanza, pare infatti essere una virtù. In particolare, è il tratto distintivo del buon padre di famiglia borghese, che non spende se non quello che ha guadagnato ed anzi qualcosa di meno, in caso di futuri tempi difficili.
La sobrietà, in altri termini, è la "traduzione in etica" del pareggio di bilancio (o, meglio, dell'avanzo primario), chiave di volta di quel mito della scarsità della moneta da cui promanano, come una specie di mefitica sorgente, i ruscelletti purulenti delle privatizzazioni (o del project financing), dei tagli allo stato sociale, e giù giù per li rami fino all'imposizione della patrimoniale per poveri.
Già questa adesione incondizionata al mantra dello Stato minimo basterebbe a dimostrare - soprattutto nel quadro della crisi quasi decennale che ci attanaglia - che PD non significa "Partito Democratico", bensì Partito Deflazionista (copyright: Alberto Bagnai). Tutto il PD, non solo il Renzi del Jobs Act: Bersani, per dire, intervistato dal Salmonato confindustriale, ricordò di essere, lui e i suoi sodali, quelli del rigore e "dell'Euro, quelli dei governi Prodi, Amato, D'Alema che fecero fede in condizioni difficili a tutti i patti internazionali, europei e occidentali, quelli di Ciampi e Padoa-Schioppa" (il nemico di qualsiasi tutela, per capirsi).
Chi auspica la sobrietà auspica la deflazione, chi auspica la deflazione è contro il lavoro e, essendo contro il lavoro, è anche contro la Carta Costituzionale che pone il lavoro a fondamento della Repubblica. Conseguentemente, appena può, la stravolge. Tout se tient, dice il saggio.
Oltre tutto, non sono neanche capaci.
Tagliano linearmente, per il solo piacere di tagliare (e lasciare nuovi spazi di intervento a pagamento a chi ne può approfittare).
Poi arriva la Corte Costituzionale, ahimé in grave ritardo, e li cazzia (la sentenza la trovate qui).


Non basta.
Il sullodato volantino, infatti, sembra dirci che, riducendo a 100 i senatori e rendendoli, per di più, part-time, lo Stato risparmierebbe un sacco di quattrini.
Secondo Lucio Malan, forzista che svolge il ruolo di questore in Senato, "risparmieremo più o meno 48 milioni di euro”, cioè meno del 9% rispetto ai 540 milioni di euro previsti nel budget 2016 della Camera alta (l'articolo completo, del Fatto Quotidiano, lo trovate qui). Infatti, i costi veri di un Organo costituzionale non derivano tanto dalle indennità di chi ne fa parte, quanto piuttosto dalle spese di struttura che - sia il Senato di 300 o di 100 persone - restano intatte (e ciò anche a prescindere dal fatto che il Senatore Malan è a mio avviso addirittura ottimista, perché parte dei risparmi per il Senato si tramuteranno in costi per le Regioni; ma - in fondo - sono questioni di lana caprina).
Se la riforma costituzionale avesse avuto davvero - come fine - quello di una riduzione dei costi, il Senato avrebbe dovuto essere abolito, non trasformato nel refugium peccatorum di consiglieri regionali in cerca di immunità, assai grati al Caro Leader che, permettendone l'elezione, probabilmente risolverà qualche problemino con questa o quella Procura della Repubblica. Al limite, se si fosse lasciato il Senato come stava e si fossero dimezzati i parlamentari, il risparmio sarebbe stato assai più cospicuo.
Quella del risparmio è una scusa, anche poco sostenibile. Non a caso, la tendenza alla semplificazione e allo slogan proprio della retorica propagandistica renziana (cioè, per i ganzi, dello story telling) è volta a far passare l'idea che il Senato sia stato abolito.
E non solo lo dicono, lo scrivono.

Purtroppissimo, il Senato continuerà ad esistere e - come abbiamo visto - potrà comunque pronunciarsi, più o meno efficacemente, un po' su tutti i disegni e progetti di legge. Proprio per questo, grazie al fantastico articolo 70 della nuova Costituzione, si creeranno continui, numerosissimi conflitti di competenza, che saranno risolti... dai Presidenti delle Camere, d'intesa tra loro, sulla base dei rispettivi regolamenti. E se non si mettono d'accordo? Boh. E se i regolamenti, effettivamente, confliggono? Boh. E se l'intesa è in realtà un compromesso non rispettoso di altre disposizioni, magari di rango costituzionale? Boh, di nuovo. Chi ha scritto il testo dimostra di essere davvero un fine giurista, e d'altronde non ci poteva attendere di meglio da chi ha concepito un Organo sostanzialmente soggetto a continuazione turnazione dei suoi membri (art: 57: "la durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti..."), ai quali non è più neppure riconosciuto - Dio solo sa perché - di rappresentare la Nazione (art. 55, c. 2, e art. 67).

Ma, in fondo, la questione vera, se proprio si vuole parlare di soldi, non è neppure questa.
Tutte le spese dello Stato inteso in senso lato (dunque compresi gli enti pubblici territoriali) sono infatti un nulla rispetto ai denari versati, di recente, all'Unione Europea per il salvataggio di alcuni Stati membri in teoria e di alcune banche franco-teutoniche in pratica (EFSF è l'acronimo di European Financial Stability Facility, meccanismo temporaneo di risoluzione delle crisi greca, irlandese e portoghese, creato a giugno 2010; in quanto temporaneo, non poteva far fronte a una crisi ormai perpetua, pertanto dal 2012 è stato sostituito dal Meccanismo europeo di stabilità, o ESM, che presta quattrini a destra e manca - Spagna, Cipro, di nuovo la Grecia - a seconda di dove scoppiano le bolle create dai dissennati prestiti della banche del Nord Europa).


Che poi, la medesima situazione, la si può rappresentare anche così (se qualcuno è interessato ai risultati di tutto questo spreco di denaro, può guardare qui).


A questi dati, si devono aggiungere i trasferimenti netti - netti!, cioè già decurtati di quanto di spettanza dell'Italia grazie ai mitici fondi europei che non saremmo capaci di spendere e che, invece, come ha ben dimostrato Romina Raponi, assai di sovente non possono e non devono essere spesi - che l'Italia fa annualmente all'Unione.
Si tratta di quasi 5 miliardi di Euro, più o meno il totale che spendiamo per tutti gli Organi costituzionali e per tutti gli Enti pubblici territoriali.
Ricordiamocelo. Oppure ascoltiamo Fabio Dragoni.

Un'ultima considerazione.
Se anche l'Italia davvero spendesse cifre significative per il mantenimento degli Organi costituzionali (e così non è), tutto sommato sarebbero soldi spesi bene. Perché rappresentano, in qualche modo, il costo della democrazia.
E poi, soprattutto:
Votare sì al referendum di ottobre potrebbe essere la decisione sbagliata definitiva.

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