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lunedì 6 dicembre 2021

Qual è il peggior tradimento del proprio Paese? E perché proprio gli IDE?

Mi spiegava Calenda che l'Italia cresce poco perché è poco attrattiva verso i capitali esteri. Servono gli IDE (Investimenti Diretti)! Senza IDE siamo perduti! Altro che golden power, altro che cordate italiane! Provinciali! Incompetenti! Stiamo perdendo il treno dell'internazionalizzazione, restiamo attaccati a un modello vecchio di piccola impresa non scalabile! Camioni di faldoni! (Ah no, questo non è Calenda, ma insomma potrebbe essere suo degno sodale).

Ora, come ognun sa, il sullodato Calenda ha sempre ragione, per cui anch'io voglio dare il mio contributo spiegando al rozzo volgo cosa siano esattamente questi "Investimenti", e come funzionino. Tuttavia, poiché non sono un economista (e meno male), mi limiterò a raccontare un apologo edificante, ovviamente di fantasia, che - pertanto - non si è svolto recentemente, men che meno da qualche parte nel ricco nord della Penisola. Non essendo assolutissimamente vero, potremmo quantomeno dire che è ben trovato.

Dunque. Immaginate una start-up nel campo delle scienze della vita, creata da qualche brillante giovanotto appena uscito dall'università e da qualche suo professore, un po' meno giovane ma ugualmente intelligente. A dire il vero, forse i ragazzotti ed il professore sono anche troppo bravi, la loro idea è talmente visionaria che le grandi imprese la snobbano come un sogno impossibile. Loro vanno avanti, con difficoltà, ma poi un bel giorno le cose cambiano: quelli ganzi, quelli che cambiano il mondo nei garage, finalmente si accorgono del business e investono milioni di dollari (messi saggiamente da parte grazie alle paghette di genitori e soprattutto zii).

Alcune multinazionali si avvicinano anche alla nostra start-up, tutte più o meno con le stesse proposte. Vi diamo un bel po' di soldi, ma una buona metà ve la rifatturiamo perché voi zulu sapete una sega come si gestisce un'azienda per cui presidente e amministratore delegato ce li mettiamo noi, e mica vorrete che lavorino gratis, vero? Ok, d'accordo, siamo zulu, ma soprattutto siamo senza una lira, visto che le banche italiane hanno deciso di prestare soldi soltanto a chi non li vuole, dato che ne ha anche troppi. (Il che aprirebbe un discorso più ampio sulla loro utilità sociale e sull'ottima decisione - negli anni Novanta - di privatizzarle, ma non è il momento. Qui siamo nel romanzo.)

Si volta pagina. La multinazionale nomina i vertici aziendali, che ovviamente parlano solo inglese e hanno difficoltà a trovare l'Italia sul planisfero, ma va bene, che sarà mai, think global act local, passiamo all'elaborazione del business plan per i prossimi cinque anni. Grande evento con tutti i soci, il consiglio, i dipendenti: in un anno sul mercato, crescita a doppia cifra, investimenti a sette zeri, c'è un mercato enorme là fuori e voi (noi) siete (siamo) l'unico player. Qualche socio prova timidamente a notare che, insomma, lì sanno tutti fare ricerca e sviluppo, non sono dei piazzisti e neanche esperti di marketing, che senso ha rivolgersi subito e con questa aggressività al mercato. Zulu. Bestie. Ci credo che non attraiamo capitali stranieri.

È così che si lancia un aumento di capitale mostruoso: sotto scroscianti applausi. Diciamo dieci milioni di euro? Diciamolo. A un prezzo che valuta la società una ventina già prima della cura? Diciamo anche questo. Tanto è tutta invenzione, per cui non costa nulla.

All'inizio va tutto bene. I primi milioni sono tutti sottoscritti dalla multinazionale, che diviene il primo socio industriale, e il programma di sviluppo procede a gonfie vele. La start-up macina paper, risultati nella ricerca, finalizza i primi prodotti, ma stranamente i campioni restano nei magazzini e la capogruppo non se ne interessa in alcun modo. Anzi, dopo un annetto modifica radicalmente il piano: non solo ricerca e sviluppo, non solo prodotti, ma anche servizi per la capogruppo e per i terzi. Il che pare abbastanza strano, visto che proprio grazie a quei servizi questi non meglio precisati "terzi" divengono ben precisati "concorrenti". Stranezza che, peraltro, passa abbastanza un secondo piano, visto che soci e dipendenti sono tutti impegnati a lavorare e, neppure tanto in subordine, a prendere amaramente atto che la multinazionale, il socio industriale, quella delle magnifiche sorti e progressive, ha chiuso i cordoni della borsa e arrangiatevi. Anzi, no: "trovate un altro partner industriale e noi torneremo a investire come prima, più di prima".

Essere bravi è un problema, soprattutto per gli altri. In sei mesi la start-up imbarca, con quote di minoranza, due nuovi soci statunitensi. Bingo! (America sempre uguale Top Gun, per noi degli anni Ottanta.)  Ora vedrai che la multinazionale torna pesantemente a investire! Ah, no? (cit.) No. La multinazionale licenza l'amministratore delegato della start-up e dice chiaro e tondo di non essere più interessata al business. Ah, nel frattempo avete assunto venti persone perché ve lo abbiamo chiesto noi, avete rifatto i laboratori perché ve lo abbiamo chiesto noi e avete fatto un buco milionario sempre perché ve lo abbiamo chiesto noi? Come si dice bankruptcy in italiano?

Nel caso di specie che sono cazzi nostri, ma è una traduzione libera.

È dicembre e il nuovo consiglio di amministrazione, tutto italiano, si insedia. In un mese raccoglie un bel po' di contratti, abbastanza per andare avanti un semestre senza peggiorare ulteriormente il cratere finanziario. È la mossa disperata: o si trova un salvatore o si finisce tutti al gabbio per bancarotta semplice. Passa l'inverno, arriva la primavera. I dipendenti sono da mesi in cassa integrazione. Da un certo punto di vista, meno male che c'è il Covid (il Covid c'è sempre, anche nei racconti fantastici). Il peggio si materializza, lo puoi toccare con mano.

E poi, d'un tratto, ecco il nuovo ragazzino prodigio della multinazionale, lungo lungo, rossiccio, occhialini tondi, venti chili di muscoli e duecenti di spocchia. Breve discorso in business english (exciting, it' s a pleasure, discussion) e si arriva al sodo: vi diamo il 10% di quel che vale la società e noi ci prendiamo tutto il cucuzzaro, voi ne uscite puliti e pure con qualche soldo. Che ne pensate? A proposito, o così oppure fallite il mese prossimo, vero? Chiedevo giusto per curiosità. Siamo disposti a trattare, che pensate. Eh, anche noi, come no, ecco le chiavi.

Oggi abbiamo una nuova multinazionale in Italia, che ha investito direttamente nel nostro Paese ed ha contribuito alla crescita della nostra economia. Soci e dipendenti della start-up le sono particolarmente grati e alle prossime elezioni sicuramente voteranno per Calenda, o per quelli come lui.

venerdì 10 settembre 2021

Mi dimetto da traster

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo

To the happy few


Mi dimetto da traster, cioè mi dimetto da me stesso e certifico una sconfitta anche generazionale.

Quando Salvini ha lanciato il progetto di trasformazione della Lega in un partito autenticamente nazionale (quindi anche antiunionista, nella misura in cui l'Unione Europea si pone oggettivamente come strumento di repressione del circuito democratico interno, sia in ordine alla determinazione degli obiettivi strategici da perseguire che alla individuazione dei mezzi per perseguirli) e interclassista (cioè, in sostanza, post-keynesiana dal lato economico e moderatamente liberale sul fronte dei diritti civili), io ci ho creduto, eccome se ci ho creduto.

Il progetto, però, è spettacolarmente fallito in soli tre anni. A posteriori, mi rendo conto che le cose non sarebbero potute andare altrimenti, trattandosi di un'operazione velleitaria in quanto intimamente contraddittoria; come d'altronde erano contraddittorie le mie aspirazioni. Oggi la Lega si pone oggettivamente come elemento di depotenziamento del dissenso di una parte importante del Paese e svolge, rispetto a classi sociali differenti, un ruolo analogo a quello del Movimento 5 stelle; e ciò indipendentemente dalla - o forse grazie alla - assoluta buona fede e integrità di alcuni suoi dirigenti e di molti suoi militanti (quorum ego).

Tuttavia le modalità con cui si raggiunge questo risultato mi paiono significativamente diverse rispettto a quelle del Movimento. Se nel campo grillino - complice lo stesso vizio genetico del partito, eversivo nella comunicazione e stabilizzatore nei fatti - è chiara la metamorfosi dei comportamenti attraverso la perversione dei significati delle stesse tradizionali parole d'ordine, così da favorire una lenta assuefazione dell'elettorato a nuove liturgie e nuove retoriche (il modello della "rana bollita"), a me sembra che nel campo leghista si stia assistendo a una certosina ed organizzata umiliazione di Salvini e della sua classe dirigente, secondo il noto adagio militare che ritiene essenziale, per vincere la guerra, fiaccare prima di tutto il morale del nemico (e poi spargere il sale sulle rovine).

Accade così che un ministro risponda sprezzantemente a militanti della prima ora parlando di cinema e altre attività connesse, o che un altro addirittura anticipi Draghi nell'annunciare urbi et orbi che il greenpass, invece di essere seppellito fra le immondizie della storia, sarà esteso nel suo utilizzo.

Accade che il Presidente del Consiglio utilizzi lo spauracchio della questione di fiducia come una clava, che vari esponenti del governo - in modo alquanto irrituale - si vantino di aver approvato tutti i provvedimenti più liberticidi della storia della Repubblica "all'unanimità", che il segretario di un partito della maggioranza la mattina rilasci una dichiarazione e il pomeriggio sia smentito - in modo scientifico - da tutti i suoi governatori.

Questa dinamica oggettiva - per dirla col nostro amico di Twitter (amico nonostante ci rimproveri la mancata lettura di Heidegger) - dovrebbe far riflettere coloro che ancora insistono a giustificare la scelta di far parte del governo Draghi. Errore certamente frutto di altri due errori (il governo giallo-verde e la rottura di esso), il secondo dei quali a sua volta frutto del primo, ma comunque errore gravissimo. Poiché questo governo è nato proprio per umiliare la Lega (rectius: la Lega di Salvini), starci dentro non significa fare da catechon alle derive del M5s e del PD, bensì alimentarle. Come il buttare ossigeno dentro al fuoco attizza l'incendio, anziché spegnerlo. Con buona pace di chi, in estrema buona fede, crede ancora che Garavaglia e Giorgetti si batteranno a petto nudo contro l'inasprimento dell'IMU. Forse su quella sui capannoni, diciamo.

D'altronde, abbiamo visto la parabola in merito all'Unione Europea.

Abbiamo combattuto una difficilissima battaglia sul MES per poi accettare senza battere ciglio il PNNR, che anzi eccita i governatori nordisti preoccupati solo di essere coinvolti nella ‘messa a terra’ dei progetti (Zaia dixit). Per dirla in modo brutale: siamo passati da Basta Euro a confrontiamoci sulle regole del Patto di Stabilità, in attesa della federazione con Forza Italia e le sue inevitabili ricadute. Ah, per chi fosse incerto: il momento non è diverso. Sono, semmai, diverse le persone, visto che - almeno per la mia basica esperienza - molti dei quadri intermedi del partito sono saldamente europeisti, vaccinisti, iper moderati, insomma piddin-forzitalioti e chi alza un sopracciglio è messo all'angolo.

Ma non è questo il punto. Il punto è che, come dicevo, a posteriori ammetto che non poteva andare diversamente. Quello che io chiedevo, che milioni di elettori chiedevano, è infatti profondamente contraddittorio, dunque destinato alla disfatta. In questi anni mi sono illuso di poter tenere lontano dalla mia vita privata lo Stato utilizzando i meccanismi di funzionamento dello Stato e, al contempo, di poter essere tutelato come cittadino dallo Stato senza avere in mano le leve dello Stato. Purtroppo non funziona. Non ha mai funzionato. Il che sarebbe al limite una catastrofe politica personale, se non fosse che essa riverbera sulla vita, sulla stessa esistenza, di moltissime persone, messe di fronte alla libera scelta fra la fame propria e della famiglia (aka licenziamento, perché di questo si parla) e la violazione del proprio corpo, o - anche peggio - fra l'esclusione dalla socialità (quella riprovazione del gruppo che pensavamo tipica di ere preindustriali) o la violazione del corpo dei propri figli.

Allora, diceva quello, che fare? L'ipotesi più ovvia è evidentemente la rivolta. Astensione rispetto ai riti inutili della politica (sui temi fondamentali non c'è differenza fra i grandi partiti, dal PD al Movimento 5 stelle alla nuova/vecchia Lega, e secondo me non è diverso neppure FdI e comunque insomma a tutto c'è un limite) e quotidiana, sotterranea opera di mimetizzazione, sabotaggio, opposizione anche irrazionale. Become ungovernable. È un'opzione, in attesa di tempi migliori, che ha quantomeno il pregio dell'integrità personale, ma che per chi - come me - è stato abituato da tutti (famiglia, insegnanti, amici) a pensare che la propria opinione conta, che il proprio voto è importante, è una strada troppo difficile da seguire.

Ma vota per Riconquistare l'Italia (Italexit, ecc.)! Ma anche no, sinceramente proprio no. Per due ragioni fondamentali. La prima, che continuo a credere che - nelle condizioni date e in mancanza di uno shock esterno fortissimo - sia impossibile far nascere ed affermare un nuovo movimento dal nulla e che, quando ciò accade, è perché quel movimento è funzionale alle élite, non antagonista. La seconda, che normalmente questi partiti basano le loro linee programmatiche una contrapposizione fra un (supposto) socialismo costituzionale e un (altrettanto supposto) liberismo che avrebbe, per motivi contingenti, colonizzato il sistema politico e istituzionale. Io sono invece convinto che la tradizione liberale che innerva anche la nostra Carta vada anzi riscoperta, pena uno schiacciamento ermeneutico dei suoi contenuti che finirebbe per giovare ai nostri (ai miei) avversari. Salute collettiva: fatti il vaccino. Funzione sociale della proprietà privata: consumi troppa CO2 e dunque ti sequestro la macchina. Eccetera eccetera eccetera. In effetti, ho difficoltà a pensare di essere rappresentato da chi non capisce che se l'intepretazione ultima delle regole del gioco è in mano a un gruppo relativamente ristretto di persone, non elette dal corpo elettorale, quelle persone saranno per definizione preda delle élite.

Cosa resta, pertanto? Nulla. O meglio, resterebbe un'azione di popolo che cambi le regole del gioco politico, ma quest'azione non ci sarà. Abbiamo ancora troppo da perdere e troppo poco in cui credere. Dovremo sentire stringere il cappio, farci togliere il cibo (mangia il bruco), la casa (vivi nel buco), i mezzi di trasporto, dobbiamo finire chiusi dentro la gabbia di Skinner per svegliarci, dopodiché piegheremo comunque il capo perché non saremo capaci di portare avanti una visione alternativa del mondo, che non sia quella plastificata che hanno creato per noi nella silicon valley. Nulla però è passato invano: questi anni mi hanno permesso di conoscere - davvero, non (solo) su una chat - tante persone meravigliose, che mi hanno aiutano e giornalmente mi aiutano a non sentirmi solo ed a farmi crescere nella comprensione del reale. Ripartiamo da qui.

mercoledì 5 maggio 2021

Due parole due sul DDL Zan


Siccome ormai del DDL Zan parlano cani e porci, dico due parole anche io. L'ho anche letto, figurarsi.

L'articolato può essere diviso in due parti: una precettiva e una repressiva. Il dibattito si è concentrato più sulla seconda, quando invece è soprattutto la prima che deve essere rigettata come irricevibile.

I.

Iniziamo dalle norme penalistiche. In sostanza il disegno di legge mira ad ampliare il contenuto dei reati di propaganda e istigazione, nonché la relativa aggravante (già all'art. 3 della L. Reale-Mancino e ora agli artt. 604-bis e 604-ter, c.p.), anche alle discriminazioni fondate "sul sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale, sull'identità di genere o sulla disabilità".

Pertanto, una valutazione in quest'ottica del DDL Zan si risolve in una valutazione, nel merito delle originarie norme incriminatrici, fermo restando che l'art. 4 del DDL - che tante polemiche ha sollevato - più che un tentativo volto alla penalizzazione di condotte lecite pare a chi scrive un pedestre tentativo di trasformare un reato di pericolo presunto in un reato di pericolo concreto (non sarebbero cioè le condotte "legittime" a divenire delittuose se "idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori" ma, al contrario, sarebbero le condotte "non [concretamente] idonee" a diventare, per ciò stesso, "legittime").

Ciò, presumibilmente, in ossequio al costante orientamento della Corte Costituzionale (e della CEDU) sin dalla sentenza n. 65 del 1970, che reinterpreta l'oggetto del reato di "apologia" alla stregua di una "istigazione indiretta".  La Corte, infatti, ha sempre cercato di "salvare" le tante fattispecie incriminatrici incidenti sulla libertà di pensiero e parola disseminate nel codice, valorizzandone i (più o meno reali) profili di offensività: è il caso p.e. della sent. n. 108 del 1974 sull'art. 415, c.p., in materia di "teorie della necessità del contrasto e della lotta tra le classi sociali" (tempi che vai, idee bandite che trovi).

Tuttavia, norme incriminatrici la cui lettera deve essere oggetto di lettura costituzionalmente orientata per essere compatibili con un sistema pluralistico sono in sé pericolose, perché permettono di essere intepretate per gli amici ed applicate contro i nemici. Non è un caso che la giurisprudenza sia molto divisa, tra intepretazioni formalistiche del dato letterale (Cassazione, nei confronti di un consigliere comunale che voleva guidare una protesta in un campo rom), posizioni teoricamente più vicine alle pronunce della Corte Costituzionalema ma in sostanza tali da annacquare il pericolo concreto fino a renderlo non molto distante da quello presunto (Cassazione, nei confronti di un sindaco che - in relazione all'omicidio di un tunisino pregiudicato - aveva giustificato il delitto), sentenze invece rispettose del principio pluralistico (molto casualmente, nei confronti di Erri De Luca, assolto dopo alcune dichiarazioni in relazione al TAV).

Da questo punto di vista, queste fattispecie delittuose - che, molto significativamente, proliferano nel duplice campo della "lotta" al terrorismo e della "lotta" all'odio, cioè in ambiti in cui il diritto penale è piegato alla "prevenzione" contro un più o meno esistente "nemico", anziché alla repressione dei reati - andrebbero puramente e semplicemente abrogate. Indipendentemente dal DDL Zan, che non è peggio - anzi - della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (1965) o della Decisione Quadro della UE su razzismo e xenofobia (2008).

II.

Tuttavia le disposizioni assolutamente irricevibili del DDL Zan sono altre. Si trratta, in particolare, dell'art. 1 e dell'art. 6, c. 3.

L'art. 1, infatti, dà - per la prima volta in Italia, a quel che mi consta - una definizione legale espressa di "genere" e di "identità di genere", in contrapposizione al "sesso" (biologico), a sua volta distinto dalla "identità sessuale".

Tutte nozioni già desunte dalla giurisprudenza sulla base di elaborazioni internazionali (si vedano le intepretazioni dell'art. 8 della CEDU) e fatte proprie dalla Corte costituzionale, che nella sent. n. 161 del 1985 ha ricondotto nell’alveo dei diritti inviolabili "il diritto di realizzare, nella vita di relazione, la propria identità sessuale" e nella sent. 180 del 2017 ha riconosciuto che l’acquisizione di una nuova identità di genere possa essere il risultato di un processo individuale che non postula la necessità di un intervento, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell’approdo finale siano oggetto di accertamento anche tecnico in sede giudiziale.

Ma, certo, vedere asserzioni del genere in un testo di legge fa un effetto molto diverso.

Ancora peggio l'art. 6, c. 3, che "in occasione della" neoistituita "Giornata nazionale contro l'omofobia" ed altre fobie assortite prevede che "siano organizzate cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile" contro pregiudizi e discriminazioni, all'uopo coinvolgendo "le scuole nel rispetto del piano triennale dell'offerta formativa". In questo modo le aberrazioni del DDL Zan si saldano alle aberrazioni della "Buona scuola" renziana, ben descritte nel libro "Malascuola" di Elisabetta Frezza.

Non contenti di rendere penalmente illecita la polemica, anche aspra, sui temi della famiglia, dell'identità sessuale e di tutto ciò che vi gira intorno (matrimoni omosessuali, adozioni, utero in affitto o comunque si chiami al giorno d'oggi), i propugnatori del disegno di legge non resistono a una tentazione tipica di tutti i totalitarismi, andare a corrompere i bambini direttamente nelle scuole, fra una sessione di educazione sessuale e un vaccino, si immagina.

P.S.: dopo l'approvazione del DDL questo commento non potrà più essere scritto.