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giovedì 9 giugno 2016

L'impiego pubblico, l'art. 18 e i capponi di Renzo

Non era passata inosservata, qualche tempo fa, la sentenza della Cassazione n. 24157 del 2015, che molti avevano più o meno maliziosamente interpretato nel senso della applicabilità della "Legge Fornero" anche ai dipendenti pubblici.
La sentenza conteneva però soltanto quatto righe, peraltro piuttosto generiche, che certo non meritavano tutto il dibattito nato loro intorno: "è innegabile che il nuovo testo dell'art. 18, L. n. 300 del 1970, come novellato dall'art. 1, L. n. 92 del 2012, trovi applicazione ratione temporis al licenziamento per cui è processo e ciò a prescindere dalle iniziative normative di armonizzazione previste dalla legge c.d. Fornero di cui parla l'impugnata sentenza".
Certo, il periodo è piuttosto pedestre, ma il significato - letto nel contesto della sentenza - è invece molto chiaro. La Cassazione voleva semplicemente dire che, nel caso di specie, il licenziamento era nullo comunque e in ogni caso, sia che si applicasse il vecchio art. 18, sia che si applicasse la "Legge Fornero" (o,volendo esagerare, anche il Jobs Act), dal momento che era stato violato l'art. 55-bis, D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (cioè la disposizione che indica l'ufficio competente per l'irrogazione delle più gravi sanzioni disciplinari). La pronuncia, anzi, proprio perché riferita all'art. 55-bis, D. Lgs. n. 165 del 2001, riconosce - ribadisce! - che al lavoro nelle pubbliche amministrazione si applica un diritto speciale e diverso, rispetto a quello del lavoro privato. Non c'è una privatizzazione e tanto meno un'unificazione.
Insomma, tanto rumore per nulla.
Proprio per questo è altrettanto assurdo tutto il clamore sulla nuova pronuncia (sent. 11868 del 2016), che a chiare lettere ha ribadito l'ovvio.
Tuttavia, mi pare che certe polemiche un senso ce l'abbiano (i più attenti commentatori hanno infatti evidenziato che, in questo caso, la Cassazione "abbia dato ragione al governo"). E il senso è sempre il solito: sollecitare l'opinione pubblica, trattata al pari dei noti capponi di Renzo, a indignarsi per questa "discriminazione" a favore del dipendente pubblico (programmaticamente descritto, anche grazie a media compiacenti, come fancazzista e ipertutelato), in modo da dare al governo la "forza politica" di estendere anche agli statali la devastazione del diritto portata nel settore privato prima dalla Iena piagnens, poi da Matteo nostro.
Non è un caso se sia la Legge Fornero sia il Jobs Act escludono sempre l'applicazione delle nuove norme all'impiego pubblico, ma mai chiaramente, come in tralice, tramite rimandi percepibili soltanto dagli addetti ai lavori (impagabile il Jobs Act, che sostanzialmente limita alle aziende private la sua sfera di influenza facendo un fugace riferimento ai "Quadri", figura che non esiste nel pubblico).
Michele Miscione, noto professore di diritto del lavoro, proprio sull'argomento vaticinava, un po' di tempo fa: oportet ut scandala eveniant, affinché si definisca, una volta per tutte, la questione.
A vantaggio di chi, lascio immaginare.

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