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venerdì 11 dicembre 2020

Storie di ordinaria Covid

Spoiler: la morale non è gettare la croce addosso a chi, nel marasma del settore sanitario in particolare e di quello pubblico in generale, prova in qualche modo a fare il suo mestiere e anche più del suo mestiere. La morale è che forse è giunta l'ora di smettere di riempirsi la bocca con eccellenze che non esistono (più) e prendere serenamentre atto che il Covid non è, di per sé, un'emergenza, ma la situazione del SSN assolutamente sì.


È mercoledì 21 ottobre e, dopo una normale giornata di metà autunno, verso le nove di sera, una persona a me molto cara - che per comodità chiameremo Anna - è preda di un attacco di tosse stizzosa e insistente. La mattina successiva, giovedì 22 ottobre, dopo una notte in bianco anche per i dolori articolari sempre più forti, le entra pure un po' di febbre.

La diagnosi è bell'è fatta. Alle nove del mattino Anna, che ha settant'anni compiuti e dunque un po' di preoccupazione ce l'ha, entra al pronto soccorso di una ridente cittadina toscana. Visita, prelievo di sangue, RX torace e a mezzogiorno (sono passate solo tre ore, in una specie di tenda da campo di rara comodità) il tampone rinofaringeo. Risultato? Alle quattro del pomeriggio ancora ignoto, per cui Anna - che nel frattempo sta piuttosto male - firma per lasciare l'ospedale, riprende la propria auto e, con una certa difficoltà, se ne torna a casa. In mano ha solo il referto del pronto soccorso; rassicurazioni - ma che dico: spiegazioni - da parte di medici, infermieri, portantini, chi volete voi, zero. Un solo imperativo: barricarsi in casa e attendere gli eventi.

I risultati degli esami del sangue paiono incoraggianti, mentre il referto della RX al torace parla di una “accentuazione della trama interstiziale polmonare senza evidenza radiografica di lesioni addensanti a focolaio in atto a carico del parenchima polmonare esplorabile”. Diagnosi: bronchite. Si scoprirà poi che le cose non stanno proprio così. Dai e dai, si sono fatte quasi le sette e mezzo (siamo a dieci ore e mezzo dall'accesso al PS, per i precisini che vogliono tenere i conti): una telefona dall'ospedale informa Anna che il tampone è positivo (ma vedi un po') e che deve contattare subito il suo medico di base. Vista l'ora non proprio antelucana, Anna può giusto mandare un Whatsapp con la foto del referto del tampone. E preparasi a un'altra notte in bianco senza cure e da sola.

Il Covid è un po' come una sonata in cui agli alti e bassi della malattia si accompagnano solitudine e incertezza terapeutica, che ne rappresentano l'inquietante e perturbante basso continuo. Penso di non andare lontano dal vero, se dico che molti morti sono da mettere in conto all'abbandono, più che al virus in quanto tale.

Ad ogni modo, la mattina seguente il medico di base si fa vivo e ordina a Anna di assumere tachipirina (in anticipo sulle illuminanti linee guida del CTS), di acquistare subito saturimetro, termometro e macchinetta misura pressione, di fare tutte le misurazioni d'ordinanza tre volte al giorno e mandare i risultati per Whatsapp. Anna - che ha letto dei mirabolanti servizi della sanità e del volontariato toscani - telefona subito alla farmacia, che però risponde che - Covid o non Covid - non possono recapitare nulla a domicilio. Anna, allora, prova con la Croce Rossa, ma il centralinista non ne sa niente. Comunque, siccome è un tipo umile, le suggerisce di riprovare nel pomeriggio; chissà, magari nel frattempo è passato Babbo Natale. Anna non si dà per vinta, telefona alla badante di sua mamma novantasettenne e a metà mattinata finalmente ha tutto l'occorrente.

Ha anche la seconda lezione gratis della pandemia: quando sei malato, o sei in quarantena, se hai bisogno di qualcosa, hai sempre una persona su cui contare, cioè te stesso. Come dite?, anche quando non sei in quarantena? Sì, in effetti...

Nel frattempo anche la sullodata badante abbandona la truppa e si mette in auto-isolamento. Inizia così per la madre di Anna, che chiameremo per comodità Zita, una specie di malattia per procura, quasi peggiore della malattia della figlia. Per dieci giorni, infatti, si trova a gestire, da sola, una casa, a doversi lavare, farsi da mangiare, pulire spazzare dare lo straccio. Le due donne non riescono a trovare un'istituzione pubblica o un'associazione privata - una che sia una - che le possa aiutare. In oltre un mese di isolamento tombale, tipo i lebbrosi ai tempi di Ben Hur, l'unico contatto umano sarà, al di là del portoncino di casa, con gli uomini della netterzza urbana, che di tanto in tanto arrivano, vestiti tipo gli scienziati cattivi di ET, a prelevare i rifiuti.

Questo è il modo con cui il governo dei DPCM vuole salvare gli anziani, una vergogna che non sarà perdonata.

La giornata si chiude con la telefonata dell'USCA per le misure di isolamento domiciliare e il tracciamento delle persone incontrate da Anna nei tre giorni precedenti. Tutte messe in quarantena e tutte con tampone negativo. Il virus, come si sa, è infatti contagiosissimo. Anna, a dirla proprio tutta, avrebbe anche Immuni, che però riscuote presso le strutture sanitarie la stessa simpatia dell'aglio presso i vampiri. Il diktat è uno solo: mai caricare i codici, Dio ci scampi. 

Nei due giorni successivi, sabato e domenica, la tosse di Anna si fa sempre più insistente, le bruciano gli occhi, ha forti dolori a tutto il corpo, mal di testa, fatica a respirare per il naso completamente chiuso. L'USCA, contattata telefonicamente, insiste per la solita tachipirina. Fortunatamente interviene il medico di base, che richiede all'USCA almeno una visita domiciliare: siccome la dottoressa che si presenta sente "qualcosa" al torace, bontà sua prescrive tre (tre, eh) giorni di antibiotico. A sera, però, il medico di base rettifica la terapia: Zitromax fin quando ce ne sarà bisogno (ce ne sarà bisogno per un mese) e cortisone.

La situazione, frattanto, peggiora di giorno in giorno. Anna cerca di tenersi in contatto con l'USCA ma, a partire dal settimo giorno di malattia, non riesce più a parlare con nessuno. Il telefono squilla, squilla, ma all'altro capo nessuno risponde. Solo la settimana successiva - con la satuazione a 94 - riesce finalmente a farsi rispondere, salvo sentirsi dire che c'è chi satura anche a 90 e dunque non la faccia tanto lunga, che rischia di compromettere la salute di qualcuno. Sia chiaro, non è colpa degli operatori: i casi crescono di giorno in giorno, nell'ufficio sono pochi e l'educazione chi non ce l'ha non se la può dare. Quello che innervosisce sono più che altro le parate autocelebrative di Giani sui giornali, proprio durante quei drammatici giorni. 

Anna, che è sempre da sola a casa, cerca rifugio nelle telefonate agli amici, anche di vecchia data. Un ex compagno, medico, che fa parte della commissione tecnica Covid per il Piemonte, si interessa ovviamente al suo caso: quando scopre che in Toscana non c'è, in pratica, un protocollo regionale per le cure domiciliari cade dalle nuvole e allibisce quando capisce che ad Anna nessuno ha segnato l'eparina. Il medico di base, informato, pur controvoglia la segna, con grande senso di responsabilità.

Se Anna oggi è viva e, dopo oltre un mese di malattia si è finalmente negativizzata, probabilmente è perché si è imbattuta in un medico che ha derogato ai demenziali protocolli di cura domiciliare della Regione Toscana. Se la sua mamma è viva, è invece grazie a una straordinaria fibra e un ottimismo incrollabile di rivedere, prima o poi, la figlia. Nessuno, nessuno, le ha aiutate.

* * * * *

Lasciamo Anna alla sua lunga lotta col virus ed alla sua convalescenza e passiamo invece alla fase farsesca della vicenda.

Sono passate circa due settimane dall'iniizio della malattia. Il 5 novembre l'USCA telefona per fissare al giorno seguente il tampone di controllo, nonostante che Anna avesse ancora tutti i sintomi della malattia. Misteri della virologia e della burocrazia. La mattina di sabato 7 novembre si presentano, bardati come da ordinanza, due infermieri, che prendono il tampone e asseriscono che, in caso di nuovo positivo, si sarebbero fatti vivi entro le 24 ore successive. Domenica a pranzo Anna esulta: nonostante che non stia bene, evidentemente si è negativizzata! No. Semplicemente non ha, come al solito, telefonato nessuno: il referto appare su internet alle sei di sera e riporta ancora la positività.

In questa situazione (abbandono, saturazione bassa, malessere generale), martedì 10 novembre arriva a Anna una telefonata di SEI Toscana (la ditta che gestisce i rifiuti nella nostra meravigliosa Regione) per dirle che la USL ha comunicato il suo nominativo come nuovo caso! Anna, allibita anzichenò, prova sommessamente a far notare che è proprio SEI che da due settimane le si presenta alla porta di casa per ritirare la spazzatura. L'operatore prende atto, ma dura procedura sed procedura.

Il delirio burocratico-amministrativo tocca il suo apice fra giovedì 12 e venerdì 13. Prima giunge ad Anna una telefonata non identificata che le intima di recarsi, il giorno successivo, a fare il tampone presso il drive in cittadino. Anna fa presente di avere ancora tutti i sintomi e di avere qualche problema a guidare (oltre che a eventualmente spiegare alle forze dell'ordine perché si aggiri malata per le strade di una zona rossa), ma la voce anonima è categorica: "qui sta scritto così". Versione aggiornata del forse più noto vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare.

Anna, a cui mancano le forze ma non il tempo, prova a telefonare allora alla struttura sanitaria per far cancellare l'assurdo appuntamento e ci riesce così bene che il giorno successivo, dopo cena, le arriva una PEC da parte dell'USL, il cui oggetto è già tutto un programma: "ATTESTAZIONE TERMINE ISOLAMENTO SANITARIO DA COVID-19". Che sarà? Anna apre e legge, con costernazione, di una sua presunta "AVVENUTA  GUARIGIONE CLINICA PER RISOLUZIONE DELLA SINTOMATOLOGIA CLINICA DA ALMENO 7 GIORNI". Se non fosse davvero molto tragico, sarebbe comico.

Anna si infastidisce leggermente e prova a contattare l'USCA, dieci quindici venti volte, ma non c'è nulla da fare. Per parlarci si deve rivolgere addirittura ai carabinieri: grazie ai buoni uffici del maresciallo, riceve una telefonata dal 118, che le consiglia, molto gentilmente, di restare in casa fino a futuro tapone negativo. Finalmente il 18 novembre, con grandissima difficoltà, Anna si reca a fare il nuovo tampone, che dà il sospirato esito negativo. Lei è fisicamente a pezzi, ma può iniziare a ridurre le medicine e vede la luce in fondo al tunnel. Resta solo da spiegare a SEI Toscana - meglio: ai mille operatori diversi del call center di SEI Toscana - che sebbene lei si sia negativizzata, i rifuiti dei giorni precedenti continuano ad essere potenzialmente infetti e, quindi, devono essere ritirati con attenzione. Alle ennesima telefonata, il colpo di genio, cioè - al solito - la minaccia di buttar tutto nel cassonetto sotto casa. Basta questo per far materializzare, per l'ultima volta, i marziani spazzini.

* * * * *

Anna, che continua ad avere male agli occhi e una tosse stizzosa, si reca infine dal pneumologo, il quale le dimostra che la "bronchite" diagnosticata al Pronto Soccorso era in realtà una bella polmonite interstiziale e le consiglia di ringraziare il coraggio del medico di base, che l'ha curata - prendendosi qualche responsabilità - in modo corretto (Zitromax + cortisone + eparina).

Poi aggiunge: "meno male che non si è fatta ricoverare signora! Sa, siamo pochi e stiamo andando in confusione". Ditelo a Giani e a Conte.

martedì 13 ottobre 2020

Acqua salata


Ricorderete i referendum “sull’acqua pubblica” del 2011
, in cui gli italiani votarono compattamente per l’abrogazione di alcune disposizioni che imponevano sia la privatizzazione della gestione del servizio idrico o comunque la sua gestione mediante società pubblico-private con capitale privato non inferiore al 40%, sia che il calcolo delle tariffe all’utenza tenesse conto della “adeguatezza della remunerazione del capitale investito”.

Ad oggi la situazione in Toscana è però totalmente diversa da quella che ci si aspetterebbe, e chissà cosa ne penseranno i grillini del nuovo corso filo-piddino. Publiacqua – che gestisce il servizio in provincia di Firenze, Prato, Pistoia e parzialmente Arezzo – è partecipata al 40% da Acque Blu Fiorentine, detenuta a sua volta, per il 75%, da Acea. Acea, come è noto, è la multiutility di Roma, che ne detiene metà capitale, mentre il 30% è di proprietà di Suez (i.e. francese) e di Caltagirone, mentre la restante parte è in mano ai risparmiatori. Acquedotto del Fiora – attiva nelle province di Siena e Grosseto – è partecipata al 40% da Ombrone S.p.A., il cui principale azionista è, di nuovo, Acea. In provincia di Arezzo, dove agisce Nuove Acque, il socio privato (al 46%), che si chiama Intesa Aretina e che fu per un breve periodo alla ribalta delle cronache per aver finanziato una Leopolda, è controllato sia da Acea (tanto per cambiare) – che ha comprato da Iren, che si è disimpegnata in Toscana – sia direttamente da Suez. Poi c’è Acque S.p.A., a Pisa, Empoli, in Val d’Elsa, in cui il socio privato ABAB ha il 45%. Sorprendentemente, i soci di ABAB sono Acea Spa, Suez Italia Spa, Vianini Lavori e CTC (che è pure dentro Acque Blu).

Fa eccezione Gaia, che serve Massa e Lucca, interamente pubblica, mentre per quanto riguarda Publiacqua i Consigli comunali di Firenze e Prato hanno disdetti il patto parasociale con Acea, primo passo (pare) verso la gestione nuovamente pubblica delle reti idriche comunque dopo il 2024, anno in cui scade l’attuale concessione. Sì, perché mentre ci stracciamo le vesti per le proroghe a favore dei pericolosissimi gestori di bagnetti marittimi, qui abbiamo una concessione a Acquedotto del Fiora che scade nel 2032 e una a Nuove Acque che scade nel 2028. Per dire.


Non bastando tutto questo, con l’approvazione dei bilanci 2019 si è scoperchiato il vaso di Pandora. Nuove Acque ha distribuito ai soci 2.800.000 euro su un utile di 6.645.785 euro (cioè il 42% del totale), di cui 1.292.480 ai soci privati; Acquedotto del Fiora ha distribuito una cifra più modesta (e congrua, direi), 2.000.000 di euro su un utile di 13.657.744 euro (14,6%); Acque S.p.A., invece, a quel che mi risulta, non ha (ancora) distribuito alcunché per decisione del Comune di Pisa, a guida leghista, scatenando le ire del sindaco di San Giuliano, ovviamente piddino, che ipotizzava un dividendo complessivo di 5.800.000 euro. Poi però è intervenuto l'ormai mitologico comunicaro stampa di Publiacqua: "assecondando le richieste dei 45 comuni soci, le cui casse sono state pesantemente penalizzate dall'emergenza coronavirus, la società ha distribuito ai suoi azionisti - compreso il socio privato Acea che detiene il 40% - tutti i 37 milioni di euro di utile conseguito nel 2019". In pratica, per fare un piacere ai comuni del medio Valdarno, 14.911.510 euro pagati da cittadina toscani hanno preso la strada di Roma o di Parigi. Veramente un grande risultato. Ma non basta: la distribuzione è subordinata al rilascio di un finanziamento bancario di pari importo a una società che ha già un indebitamento verso le banche di circa 140 milioni di euro. Dove finiranno, e a carico di chi, i connessi oneri finanziari lascio immaginare.

Ora, è evidente che l’utile di un gestore del servizio idrico, per la parte non reinvestita nella attività, rappresenta una forma di “imposizione” nei confronti dei cittadini sotto forma di “tariffa troppo elevata”, ma se da un lato questa “imposizione” (per la quota parte di dividendi pagati ai Comuni) perde il connotato di “tassa” per assumere quello di “imposta” afferente comunque alla fiscalità generale dell’ente territoriale (sia pure con distorsioni per gestori che agiscono non solo in ambito sovra-comunale, ma addirittura ultra-provinciale), dall'altro essa (per la quota parte di dividendi pagati ai soci privati o comunque estranei al territitorio di riferimento) diviene una forma di remunerazione del capitale (o, meglio, una rendita di posizione monopolistica) difficilmente compatibile col risultato del referendum ricordato all’inizio.

Concludo con un'ultima considerazione che attiene all'incapacità toscana (in controtendenza con quanto successo in Emilia Romagna, Lombardia, Lazio) di creare una propria multi-utility veramente efficiente. La società ideale già esiste, Estra S.p.A., che però non è ancora andata oltre i proclami ("Estra si candida[va] a gestire anche acqua e rifiuti" già l'11 luglio 2018 sul Sole24Ore ed era "a disposizione per gestire il servizio idrico" anche il 22 marzo 2019). Su questo sarebbe necessario lavorare in modo approfondito e a 360 gradi, a partire dalla governance di Estra.

domenica 13 settembre 2020

Col favore delle tenebre

Abbiate la pazienza di seguire fino in fondo.

L'art. 17-bis, introdotto nel D.L. n. 76 del 2020 (il c.d. "semplificazioni") dalla relativa legge di conversione, stabilisce che, "al fine di semplificare il processo di riscossione degli enti locali, all’articolo 1, comma 791, lettera a), della legge 27 dicembre 2019, n. 160, dopo le parole: “nell’Anagrafe tributaria” sono inserite le seguenti: «ivi inclusi i dati e le informazioni di cui all’articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605»”.

Chiaro e semplificante, no? Forse no. Proviamo a leggerlo andando a recuperare il comma 791 dell'unico articolo della finanziaria 2020: "al fine di facilitare le attività di riscossione degli enti [locali], si applicano le disposizioni seguenti in materia di accesso ai dati: a) ai fini della riscossione, anche coattiva, sono autorizzati ad accedere gratuitamente alle informazioni relative ai debitori presenti nell’Anagrafe tributaria, ivi inclusi i dati e le informazioni di cui all’articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, gli enti e, per il tramite degli enti medesimi, i soggetti individuati ai sensi dell’articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo n. 446 del 1997 e dell’articolo 1, comma 691, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ai quali gli enti creditori hanno affidato il servizio di riscossione delle proprie entrate...".

Meglio? Insomma. Cerchiamo di sostiuire qualche ulteriore riferimento normativo: "al fine di facilitare le attività di riscossione degli enti [locali creditori], si applicano le disposizioni seguenti in materia di accesso ai dati: a) ai fini della riscossione, anche coattiva, gli enti e, per il tramite degli enti medesimi, i soggetti individuati ai sensi dell’articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo n. 446 del 1997 e dell’articolo 1, comma 691, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ai quali gli enti creditori hanno affidato il servizio di riscossione delle proprie entrate sono autorizzati ad accedere gratuitamente alle informazioni relative ai debitori presenti nell’Anagrafe tributaria, ivi inclusi i seguenti dati: i dati identificativi, compreso il codice fiscale, di ogni soggetto che intrattenga con banche, posta e altri intermediari finanziari qualsiasi rapporto o effettui, per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi, qualsiasi operazione di natura finanziaria ad esclusione di quelle effettuate tramite bollettino di conto corrente postale per un importo unitario inferiore a 1.500 euro; l'esistenza dei rapporti e l'esistenza di qualsiasi operazione di cui al precedente periodo, compiuta al di fuori di un rapporto continuativo e l'esistenza di qualsiasi operazione di cui al precedente periodo, compiuta al di fuori di un rapporto continuativo, nonché la natura degli stessi; i dati anagrafici dei titolari e dei soggetti che intrattengono con gli operatori finanziari qualsiasi rapporto o effettuano operazioni al di fuori di un rapporto continuativo per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi e dei soggetti che intrattengono con gli operatori finanziari qualsiasi rapporto o effettuano operazioni al di fuori di un rapporto continuativo per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi...".

Già è un po' più chiaro. Finiamo la via crucis (salto qualche passaggio per non tediare troppo il lettore): "al fine di facilitare le attività di riscossione degli enti [locali creditori], si applicano le disposizioni seguenti in materia di accesso ai dati: a) ai fini della riscossione, anche coattiva, gli enti [locali creditori] e, per il tramite degli enti medesimi, le aziende speciali e le società pubblico-private a prevalente capitale pubblico locale ..., ai quali gli enti creditori hanno affidato il servizio di riscossione delle proprie entrate, sono autorizzati ad accedere gratuitamente alle informazioni relative ai debitori presenti nell’Anagrafe tributaria, ivi inclusi i seguenti dati: i dati identificativi, compreso il codice fiscale, di ogni soggetto che intrattenga con banche, posta e altri intermediari finanziari qualsiasi rapporto o effettui, per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi, qualsiasi operazione di natura finanziaria ad esclusione di quelle effettuate tramite bollettino di conto corrente postale per un importo unitario inferiore a 1.500 euro; l'esistenza dei rapporti e l'esistenza di qualsiasi operazione di cui al precedente periodo, compiuta al di fuori di un rapporto continuativo e l'esistenza di qualsiasi operazione di cui al precedente periodo, compiuta al di fuori di un rapporto continuativo, nonché la natura degli stessi; i dati anagrafici dei titolari e dei soggetti che intrattengono con gli operatori finanziari qualsiasi rapporto o effettuano operazioni al di fuori di un rapporto continuativo per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi e dei soggetti che intrattengono con gli operatori finanziari qualsiasi rapporto o effettuano operazioni al di fuori di un rapporto continuativo per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi...".

Riscriviamo tutto in italiano: "per rendere più facile la riscossione coattiva dei tributi non pagati dai contribuenti, i Comuni e le Regioni - nonché le società concessionarie del servizio di riscossione - sono autorizzati, senza limitazioni né soggettive né procedurali, ad accedere all'anagrafe tributaria, ivi compresi i dati relativi ai conti correnti e a tutte le movimentazioni finanziarie di cittadini e imprese". Così lo capiscono tutti: in teoria, non ci sarà impiegato regionale o comunale che non possa, più o meno legittimamente, farci i conti in tasca.

Chiaro perché il governo va mandato velocissimamente a casa?

mercoledì 15 luglio 2020

Autostrade for dummies

Cerchiamo di fare un minimo di chiarezza sulla questione Autostrade, in modo da uscire dal teatro delle dichiarazioni roboanti (con i 5 stelle che - per iperbole - hanno oscurato non soltanto il PD, ma anche veri e propri pesi massimi dell'autocompiacimento come Conte e Renzi) per limitarsi ai fatti come almeno appaiono oggi.

Aspi (sigla di Autostrade per l'Italia S.p.A.) è la società concessionaria autostradale - quella cioè che ha sottoscritto la Convenzione col Ministero - ed è controllata all’88,06% da Atlantia, holding industriale con varie partecipazioni, quotata in borsa, di cui i Benetton posseggono - tramite una loro ulteriore sub-holding - il 30,25%. Il restante capitale di Aspi è detenuto dal fondo cinese Silk Road (5,00%) e da una controllata di Allianz (6,94%).


Quanto ad Atlantia, invece, gli altri soci forti sono un fondo sovrano di Singapore (8,3%), la Fondazione Cassa di Risparmio di Torino (4,9%) e due partner finanziari (Lazard e HSBC, entrambi con quote attorno al 5%.


L’accordo col governo prevede un aumento di capitale di Aspi tale per cui Cassa Depositi e Prestiti (CDP) avrà circa il 33% di Aspi stessa. In questo modo Atlantia scenderà prima a circa il 59% di Aspi e poi, cedendo a investitori istituzionali - per lo più ancora lo Stato, a quel che par di capire: Fondo F2i, o Poste - un'ulteriore quota del 22%, si attesterà a circa il 37% (di conseguenza, la famiglia Benetton avrà, in via mediata, l'11% di Autostrade). “In questo modo la famiglia Benetton non potrà più eleggere un membro in C.d.A.”, come dicono i giornali, è ovviamente una sciocchezza finché Atlantia resterà come tale in Aspi. Solo quando le azioni di Aspi di proprietà di Atlantia – tramite scissione della holding contestuale alla quotazione in borsa di Autostrade – saranno attribuite direttamente agli attuali azionisti di quest’ultima, allora i Benetton usciranno dalla stanza dei bottoni (ma, a seconda delle condizioni politiche future, non mi stupirebbe di vederli rientrare dalla finestra di un patto di sindacato).

L'accordo prevede anche alcuni punti ulteriori, che potremmo definire di blanda giustizia sociale:
  • i proventi dell’operazione di scissione o di vendita delle azioni di Aspi non saranno utilizzati da Atlantia per pagare dividendi ai propri azionisti (in che termini sia strutturata la clausola, e per quanto tempo valga, non mi è dato sapere);
  • misure compensative per il crollo del ponte di Genova, a esclusivo carico di Aspi (e non di Atlantia), per complessivi 3,4 miliardi di euro;
  • la modifica della convenzione unica tra Aspi e Ministero, al fine di adeguarla a quanto previsto nel Decreto Milleproroghe (riduzione delle tariffe, revoca più facile, ecc.).
Ciò premesso, considerando l'indebitamento di Aspi (8.392 miliardi di euro, tra debiti verso le banche e bond a medio e lungo termine), l’aumento di capitale di CDP, più che come revoca della concessione, mi pare che assuma i contorni di un salvataggio di una impresa che, anche a causa lock-down, è in grave (ancorché temporanea) tensione finanziaria. Se poi questo salvataggio vada a favore dei lavoratori e dei creditori (banche e fondi, per intendersi), oppure anche (o soprattutto) a favore di Atlantia, dipende dal prezzo di sottoscrizione delle nuove azioni. Ad oggi, si parla di un valore post-money di Aspi di circa 9 miliardi, con un incasso, pertanto, per Atlantia di circa 2 miliardi di euro, nonché l'accollo integrale in capo ai nuovi soci del debito di Autostrade (ivi compresi i 5 miliardi garantiti da Atlantia).

Uscire da un crollo epocale e 43 morti con 600 milioni di Euro, il 10% di Autostrade e tanti problemucci legali in meno, mi pare un buon affare. Quello che è chiaro fin da ora è che, sia come sia, lo Stato pagha soldi freschi per gestire ciò che sarebbe già suo e che, tanto per cominciare, Atlantia ieri ha aumentato di un quarto il proprio valore (facendo felici sia i propri azionisti, Benetton compresi, sia eventuali speculatori, più o meno informati ovviamente).

mercoledì 3 giugno 2020

Le Fondazioni di origine bancaria: un dibattito surreale

Fondazione Cariplo
I Signori delle città, di Alessandro di Nunzio e Diego Gandolfo, è un libro profondamente sbagliato. Dispiace, perché il punto di partenza è assolutamente corretto: i patrimoni delle fondazioni di origine bancaria (f.o.b.) sono patrimoni pubblici e, pertanto, non possono essere amministrati con logiche strettamente private da singoli individui o da conventicole che si rinnovano continuamente per cooptazione. Purtroppo, se si può convenire con la diagnosi (al netto di un completo fraintendimento dei problemi del sistema bancario italiano, di alcuni non secondari cedimenti al grillismo degli stipendi d'oro, di qualche passaggio a oggettivo rischio querela), non si può assolutamente concordare con la cura proposta. Pensare di risolvere il problema della gestione delle f.o.b. con misure burocratiche, ad esempio sottoponendole al controllo dell'Anac è, prima che assolutamente inefficiente, soprattutto inutile, perché si limita ad assicurare una generica parità di trattamento nella gestione degli appalti o, in taluni casi (ma non nella maggior parte), della scelta dei beneficiari delle erogazioni. Ci sarebbe bisogno di ben altro.
Di cosa, dirò però alla fine di questo breve intervento.
Compagnia di San Paolo
È da un paio di mesi, infatti, che si sta sviluppando sulle f.o.b. un dibattito interessante, ancorché a tratti surreale. Tito Boeri e Luigi Guiso, in un articolo sulla Voce.info, hanno proposto alle fondazioni di impegnare la totalità del loro patrimonio "a garanzia per contrarre direttamente prestiti sul mercato... oppure come complemento alle garanzie offerte dallo stato per la concessione dei prestiti bancari", così da "finanziare realisticamente fino a 120 miliardi di investimenti per contribuire al salvataggio del tessuto economico, sociale e sanitario del paese". Le fondazioni bancarie, in questo modo, ovvierebbero al tradimento della loro missione, poiché - nate per svolgere attività di utilità sociale - hanno in realtà svolto ruoli centrali nella governance delle banche. Chi non voglia accedere alla tesi dell'incomprensione, da parte di professori di chiara fama, della differenza fra provvista e scopi erogativi, potrebbe forse più convenientemente concludere che il senso profondo del ragionamento degli autori dell'articoletto stia nell'ovvia circostanza che, laddove le f.o.b. fallissero, certamente cesserebbero di avere interessenze nelle banche. Uno dei loro tanti corifei, spesso distintosi in passato per solerzia nella distruzione della coscienza democratica del popolo italiano, su Repubblica, si è spinto oltre, parlando di una "natura pubblicistica è rafforzata dai meccanismi di designazione dei vertici, in larga misura prerogativa degli enti locali".
A Boeri & co. (cui non è chiaro che la costituzione di un fondo come quello proposto cozzerebbe contro le principali norme della Legge Ciampi: art. 3, c. 2, e art. 5, c. 1, D. Lgs. n. 153 del 1999) ha risposto "a rime baciate" il molto presidente e poco emerito Guzzetti prima lo scorso 18 maggio in una lunga intervista, quindi in un ulteriore intervento ancora su Repubblica: "il risultato di una tale operazione è distruggere i patrimonio delle f.o.b.", di cui "verrà meno la ragione di esistere". Quanto alla tesi "pubblicistica" di Rizzo, ulteriore levata di scudi, con tanto di richiamo alla sciagurata sentenza n. 301 della Corte Costituzionale ("persone giuridiche private, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale"), e fine dei giochi.
Fondazione Mps
Ecco, a chi scrive il dibattito fra Rizzo e Guzzetti pare il frutto di speculari (e forse interessati) fraintendimenti. Dire che "il patrimonio [delle f.o.b.] non appartiene alla collettività, intendendo che si tratti di un patrimonio pubblico, ma ai cittadini... dei territori di elezioni" delle diverse fondazioni non solo presuppone una visione anacronistica dello Stato come soggetto terzo rispetto ai cittadini (e non come ordinamento giuridico all'interno del quale quei cittadini operano, per sé considerati oppure ordinati in altri ordinamenti, variamente collegati a quello statuale), ma soprattutto denota un arroccamento nei particolarismi contrario non solo allo spirito, ma anche alla norma (art. 2, art. 5) della nostra Carta Costituzionale. Ugualmente, dire che gli organi delle f.o.b. sono nominati dalle amministrazioni locali è segno di una certa ignoranza, tanto più sorprendente in chi ha costruito le sue fortune sull'allontanamento della politica da qualsiasi ambito della società.
Torniamo allora al punto di partenza.
La cura per le f.o.b. non è un'altra circolare Anac che stabilisca qualche soglia per gli appalti gestiti dalle fondazioni, come se davvero il problema della loro gestione sia qualche favore spartitorio, la cura vera sta proprio in quello che Rizzo pensa che già esista e che invece manca, cioè l'inserimento delle fondazioni di origine bancaria entro il circuito democratico attraverso un collegamento standardizzato fra organi di amministrazione degli enti e luoghi di formazione dell'indirizzo politico (in senso molto ampio). Il punto non è l'appalto per le pulizie della sede o per la ristrutturazione del palazzo storico, né può essere la loro devoluzione una tantum a favore del sistema imprenditoriale; il punto è un controllo popolare degli indirizzi strategici di lungo periodo. Né le sentenze scritte dal prof. Zagrebelsky - in quel periodo di antiberlusconismo militante - paiono insuperabili rispetto a una legge ben scritta, che riveda completamente il volto di questo enti così spesso deturpati. Se poi fosse necessario abolire l'art. 118, c. 4, Cost., nessuno se ne darebbe pena.

giovedì 28 maggio 2020

Due parole due sul Recovery Fund e sulla sua pericolosità

Due parole sul Recovery Fund (anche detto, nel linguaggio aulico della Commissione, Next Generation EU, quadro generale entro cui si situa una costellazione di misure in cui la "parte del leone" è demandata alla Recovery and Resilience Facility, circa 560 miliardi di prestiti e contributi a fondo perduto, così perduto che devono essere rigorosamente rendicontati e comunque in cambio delle solite riforme secondo il consueto sistema del Semestre europeo).
Non voglio entrare né nei "numeri" né nelle tecnicalità della proposta della Commissione. Per comprendere quanto sia conveniente basta ascoltare Borghi, o leggere gli articoli di Liturri o almeno i tweet di Zanni, che ne hanno parlato prima e meglio di come potrei fare io. Una considerazione, tuttavia, la vorrei comunque aggiungere.
Il Recovery and Resilience Facility (RRF) si differenzia dalla proposta Borghi & Bagnai (emissioni di titoli di Stato nazionali acquistati dalla BCE) o da quella Tabellini & Giavazzi (emissione di Eurobond, eventualmente perpetui, acquistati dalla BCE) perché comporta un finanziamento sul mercato e, dunque, una restituzione dei fondi agli investitori ancorché con scadenze molto lunghe. Pertano impone, logicamente, un'espansione del bilancio della UE sia tramite entrate proprie ulteriori (leggi: nuove tasse europee) sia tramite incremento dei trasferimento dagli Stati membri (che, a loro volta, imporranno nuove tasse nazionali per coprire la spesa).
(Classifica dei Paesi beneficiari del RRF)
Cosa significa questo? Significa imboccare la strada per una sempre maggiore armonizzazione di uno dei pochissimi settori ancora a competenza nazionale, cioè quello fiscale; significa, in altri termini, una ulteriore cessione di sovranità in un campo cruciale tanto quanto il governo della moneta (con cui è insolubilmente legato: ask Karlsruhe, ultima tappa di una linea interpretativa del diritto ben analizzata, per esempio, da Chessa). Et pour cause, visto che da un lato il meccanismo potrebbe comportare un parziale trasferimento di fondi da un Paese membro ad altri.
Ora, questa ulteriore cessione di sovranità si tradurrà in una ancor più pressante compressione dello spazio (anche giuridico) per politiche nazionali non si dice keynesiane, ma quantomeno anticicliche, con effetti probabilmente più profondi e certamente più duraturi di quelli che si avrebbero avuti con una adesione al MES, senza (presumibilmente) alcun vantaggio neppure dal punto di vista di una riduzione dei casi di dumping fiscale presenti nella UE (le sconce trattative sui rebates mi paiono un indizio assai chiaro, in effetti).
Timeo Danaos et dona ferentes. Speriamo che le poche voci libere di questo Paese non facciano la fine di Laocoonte. Speriamo che l'Italia non faccia, definitivamente, la fine di Troia.

martedì 5 maggio 2020

Sulla pronuncia della Corte Costituzionale tedesca - post espresso

"The ECB Governing Council’s Decision of 4 March 2015 (EU) 2015/774 and the subsequent Decisions (EU) 2015/2101, (EU) 2015/2464, (EU) 2016/702 and (EU) 2017/100 must be qualified as ultra vires acts, despite the CJEU’s judgment to the contrary, [because] ... the Federal Constitutional Court must respect the decision of the CJEU, even when it adopts a view against which weighty arguments could be made, [only] as long as the CJEU applies recognised methodological principles and the decision it renders is not arbitrary from an objective perspective".
"La decisione del Consiglio direttivo della BCE del 4 marzo 2015 (UE) 2015/774 e le successive decisioni (UE) 2015/2101, (UE) 2015/2464, (UE) 2016/702 e (UE) 2017/100 devono essere qualificate come atti viziati da eccesso di potere, nonostante la sentenza contraria della CGUE, [in considerazione del fatto che] ... la Corte costituzionale federale deve rispettare la decisione della CGUE, anche quando adotta un'opinione contro la quale potrebbero essere sollevati argomenti pesanti, [soltanto] a condizione che la CGUE si applichi principi metodologici riconosciuti e la decisione che prende non sia arbitraria da una prospettiva oggettiva".

In altri termini, il PSPP sarebbe in contrasto (non con, o non soltanto con, l'ordinamento tedesco, bensì in primo luogo) con il diritto dell'Unione Europea. Immerso in un mare di parole, mi pare questo l'unico punto veramente dirimente della pronuncia della Corte di Karlsruhe, perché di fatto apre una ferita profonda non tanto rispetto al principio dell'indipendenza della BCE, almeno formalmente salvaguardato, quanto piuttosto rispetto al ruolo che tradizionalmente è stato attribuito alla Corte di Giustizia UE nel quadro dell'architettura dei Trattati.

Per restare all'ambito italiano, già C. Cost. n. 113 del 1985 riconosceva alle sentenze interpretative della CGCE (ivi comprese quelle rese in sede di procedura di infrazione: cfr. C. Cost., n. 389 del 1989), il rango di fonte di diritto, così che le statuizioni e i principi da esse ricavabili si sarebbero integrate con le singole norme interpretate o anche con l'ordinamento nel suo complesso, assumendo un significato cogente. Secondo Cass. pen. n. 13810 del 2008, il giudice nazionale "deve attenersi alla conclusione vincolante resa dalla Corte di Giustizia che ha il ruolo di qualificato interprete del diritto comunitario di cui definisce autoritariamente il significato con la conseguenza che una sentenza interpretativa di una norma si incorpora nella stessa e ne integra il precetto con immediata efficacia (v. per tutte sentenze Corte Cost. 13/1985, 389/1989, 168/1991; Cass. sez. 3, 1.7.1999 n. 9983, Valentini)". E ciò perché, "l'interpretazione del diritto comunitario della Corte di Giustizia ha efficacia vincolante per tutte le autorità (giurisdizionali o amministrative) degli Stati membri anche ultra partes".

È evidente che questo ruolo di unico inteprete del diritto dell'Unione è, nell'ottica della Corte di Giustizia, il riflesso della primauté del diritto europeo su quello interno (Simmenthal, 9 marzo 1978, C-106/77; F.lli Costanzo, 22 giugno 1989, C-103/88), ma il principio svolge un ruolo fondamentale anche nel quadro della teoria degli ordinamenti distinti ma coordinati (si veda la notissima C. Cost. n. 170 del 1984, sentenza La Pergola). Se viene meno l'idea che la CGUE sia l'unico custode della intepretazione dei Trattati - e chi scrive lo auspica - viene meno anche l'applicazione uniforme dei Trattati medesimi e, in ultimo, la stessa efficacia diretta delle norme dell'Unione nei diversi ordinamenti (secondo una linea sempre meno federalista e sempre più interstatale, si potrebbe aggiungere). Ben diversa (eppure con risultati assai più significativi, fino all'improvvida riforma Bonafede) era stata la strategia della Corte Costituzionale italiana nel caso Taricco, che per raggiungere il proprio scopo non si era scontrata direttamente con al CGUE, ma ne aveva provocato una seconda pronuncia interpretativa volta a "tarare" la precedente (resa su domanda del GUP di Cuneo: per la ricostruzione dei fatti cfr. questo articolo) sulle richieste dei giudici nazionali di maggiore conformità alla Costituzione Repubblicana.

Ma questo era diritto, quello tedesco politica. Non a caso un altro passaggio significativo del comunicato stampa tira in ballo il MES: "in particular, the PSPP could have the same effects as financial assistance instruments pursuant to Art. 12 et seq. ESM Treaty" ("in particolare, il PSPP potrebbe avere effetti analoghi a quelli degli sttumenti di assistenza finanziaria ai sensi degli artt. 12 ss. del Trattato MES, [ma senza le relative stringenti condizionalità]"). Non che all'Italia cambi molto, visto che da mesi è chiaro che al MES accederemo, in ogni caso; tuttavia lo scontro cieco e furioso fra Corti supreme potrebbe avere effetti molto diversi da quelli auspicati dai protagonisti, ed anche da quello che potrebbe apparire più probabile oggi.

venerdì 17 aprile 2020

La politica del gregge

Ora basta. Nel momento della necessità ci siamo stretti attorno alle Istituzioni, per aiutare - nei limiti del possibile - ospedali sull'orlo del collasso e medici cui lo Stato ha saputo dare grandi pacche sulle spalle, ma non camici e mascherine abbiamo accettato due mesi di quarantena. Ma ora, di fronte ad una sempre più penetrante compressione delle libertà costituzionali, di circolazione, di culto, di impresa, di parola, cui si aggiunge una progressiva estromissione del Parlamento dalla funzione legislativa ed una frantumazione di quella di indirizzo dal governo in una congerie di organismi extra ordinem, il più delle volte rivestiti di nomignoli stranieri, non si può più stare a guardare.
Non voglio ripercorrere qui tutte le forzature all'assetto costituzionale che questo esecutivo, spesso addirittura attraverso atti amministrativi, si è concesso a causa, o con l'occasione, dell'epidemia di Coronavirus, poiché c'è stato chi lo ha fatto prima e assai meglio di me (giudici costituzionali, giuristi, magistrati e avvocati); voglio soltanto rimarcare un punto che è, a mio avviso, particolarmente significativo, perché dà ragione del percorso che ha reso possibile questa deriva e rappresenta uno dei semi avvelenati che potrebbero ulteriormente germogliare in futuro: il rappprto fra libertà di circolazione di cui all'art. 16, Cost. (e, più in generale, libertà personale ex art. 13, Cost.) e tutela della salute (art. 32, Cost.).
In passato, infatti, la dottrina compatta ha riscontrato nell'art. 13, Cost. il primo (e non solo per posizione) dei diritti fondamentali della persona, e nell'art 16, Cost. una sua particolare declinazione, giungendo pertanto a limitare rigorosamente le accettabili "limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità". Secondo Mortati, "occorrono... delle precisazioni circa l'ambito da assegnare alla  norma: ciò che porta a distinguere le ipotesi di malattie lesive solo della sanità di chi ne è colpito da quelle relative a morbi infettivi o contagiosi. Se le prime non consentono interventi coattivi..., le seconde invece non potrebbero in nessun caso rimanere ad essi sottratti". Il che significa - tralasciando il richiamo fermo del costituente al necessario intervento giurisdizionale a tutela del singolo - che le limitazioni cui fa riferimento la Carta sono quelle che riguardano il singolo malato (o una comunità di malati) e non la generalità delle persone sane. Non a caso ormai da due mesi utilizziamo a sproposito il termine "quarantena" e ci prepariamo, nella più completa tranquillità pare, a vedere la nostra privacy travolta da un generalizzato braccialetto elettronico sottoforma di app.
Da dove deriva dunque questo cambio di rotta?
Evidentemente da quell'ingenuo scientismo positivistico che ha fatto facilmente breccia non solo nel senso comune, ma anche nell'elaborazione giuridica, secondo il quale le magnifiche sorti e progressive della medicina potrebbero (dovrebbero?) non solo ritardare quasi indefinitamente la morte (attraverso il farmaco), ma addirittura prevenire la malattia (attraverso la moderna pozione magica, somministrata sottoforma di vaccino).
Si tratta del ribaltamento dei valori proprio dell'ideologia vaccinale dell'immunità di gregge: lo Stato non ritiene più di dover tutelare le persone fragili, per esempio perché anziane, attraverso politiche attive saldamente ancorate ai diritti costituzionalmente garantiti (per dire, abbassando l'età per la pensione di vecchiaia, così da evitare agli ultrasessantenni di stare a continuo contatto con una grande quantità di persone), bensì conculcando le libertà (i diritti fondamentali!) dei sani, il gregge che - in quanto astrattamente passibile di malattia - è perciò stesso immediatamente considerato malato, ove non sia intervenuta a monte la panacea in una siringa. O anche solo conculcando i diritti fondamentali di chi si ritiene di voler proteggere: perché l'idea demente di obbligare a un'ulteriore quaratena forzosa gli ultrasettantenni stride in maniera sorprendente con il diritto (individuale) negativo alla salute.
Questo percorso è chiarissimo nella sentenza della Corte Costituzionale sulla legge Lorenzin, secondo cui l'obbligatorietà dei trattamenti vaccinali (con le conseguenti sanzioni draconiane previste) è giustificato dalla "duplice garanzia, sul piano formale, della riserva di legge in materia di trattamenti sanitari imposti e, sul piano sostanziale, del rispetto in tutti i casi dei «limiti imposti dal rispetto della persona umana», a propria volta riflesso del fondamentale principio personalista (art. 2 Cost.)". Senonché l'argomento prova troppo, perché proprio il principio personalistico non permette di espandere il contenuto dei "doveri" oltre un limite tale che svuoterebbe i relativi "diritti" di "quella autonomia da cui traggono la loro caratteristica" (ancora Mortati).
Checché ne dica la Corte, non c'è alcun dovere a essere gregge. Forse è l'ora di tornare uomini.

sabato 11 aprile 2020

La strategia dell'esasperazione

Il prof. Angelo Ventrone ha proposto di ribattezzare la "Strategia della tensione" con l'espressione "Strategia della paura". C'è del vero in entrambe le formule, che hanno il minimo comune denominatore nell'idea di una destabilizzazione dell’ordine pubblico al fine di ristabilire l’ordine politico in chiave strettamente autoritaria; il quid pluris di quella di Ventrone è la sottolineatura della valenza del terrorismo non più come strumento per mostrare la propria forza e colpire il nemico, ma come strumento per condizionare l’opinione pubblica.
Nel quadro di questa linea interpretativa, il prof. Ventrone, in una recente intervista, propone alcune osservazioni interessanti: gli ideologi della strategia della paura "avevano i mezzi e le conoscenze tecniche per manipolare [l'opinione pubblica]. Soprattutto a livello emotivo e psicologico. La paura di morire, l'istinto di sopravvivenza, sono stati d'animo sui quali è più facile lavorare... Si immaginarono l’organismo sociale come se fosse aggredito da un virus, quello comunista. Divenne importante intervenire sull'intero organismo sociale, non bastava più asportare solo la parte malata. E si studiarono due modi per intervenire, con termini che all'epoca usavano gli attori della strategia della tensione. Quello dei vaccini o delle contro-infezioni, cioè una dose controllata di veleno per costringere l’organismo a rendersi conto del pericolo e a produrre gli anticorpi".
La criminalizzazione dei movimenti di lotta è il prodotto della creazione di una società "ansiosa e impaurita, nonché mobilitata sulla base della paura..., che tira la carretta a capo chino, più disposta a delegare scelte cruciali, più disposta ad accettare [qualsiasi] politica [purché] si annunci ansiolitica", che "addita all'opinione pubblica" i "piantagrane contrari al blocco d'ordine, pardon, alla concordia nazionale" (cito Wu Ming, non dico altro).

Stasera è la sera dell'attacco del Presidente Conte alle opposizioni, senza contraddittorio e sul servizio pubblico. Un gesto che è la discesa di un ulteriore gradino verso la completa torsione autoritaria della nostra democrazia, lungo una scala ormai lunghissima. Basti ricordare la sostituzione dei politici con i tecnici, prima in situazioni più o meno realmente emergenziali, poi come stabile modus operandi per i ministeri chiave di esecutivi non graditi, infine - notizia freschissima - come poteri surrogati rispetto a quelli costituzionalmente previsti; la parallela delegittimazione della classe politica, prima tutta accumunata nello stigma della "casta" e della "cricca" e posta sotto tutela della magistratura a partire da Tangentopoli, poi vilipesa tramite la sostituzione della competenza specifica con l'incompetenza generale, secondo il principio per cui uno varrebbe uno e invece finisce che uno vale l'altro; da ultimo, le proposte di legge non annunciate, i testi in commissione modificati dopo la loro approvazione, il Parlamento ignorato.
Manca l'ultimo passo, che deve tenere conto che in Italia abbiamo ormai gli anticorpi per rispondere a qualsiasi avventura dal sapore sud-americano. Qui bisogna essere più dolci. Bruto è uomo d’onore; così sono tutti, tutti uomini d’onore. Se negli Anni Settanta la strategia della tensione aveva l'obiettivo di sterilizzare il pericolo comunista in funzione di una consolidamento conservatore in senso filo-atlantico, oggi pare dunque profilarsi una nuova strategia, tesa a marginalizzare i partiti sovranisti (absit iniuria verbis) nel quadro di una stabile subordinazione dell'Italia al progetto unionista germanocentrico.
Potremmo definirla la Strategia dell'esasperazione.

Il piano del PD (del PD: i 5 stelle sono solo interessati a mantenere lo stipendio da parlamentari fino alla fine della legislatura) è chiarissimo. Non permettere allo Stato italiano di sovvenire in alcun modo lavoratori e imprese in questa catastrofe economica, da aggravare prolungando, per quanto possibile, la quarantena imposta a colpi di Decreti del Presidente del Consiglio.
I cittadini dovranno superare la crisi con i propri risparmi, ciascuno secondo le proprie possibilità: altro che proposte, la patrimoniale, nei fatti, c'è già. La classe media verrà sospinta verso la povertà, i poveri avranno difficoltà a mettere insieme il pranzo con la cena, gli asset italiani drenati verso Francia (in primo luogo) e Germania (a seguire). La rabbia, esponenzialmente incrementata da questa reclusione forzata, esploderà in gesti spontaneistici e isolati, ma utili per ridurre ulteriormente gli spazi del dibattito democratico. E, per chiarezza, in modo non immediatamente controvertibile.
Si comincerà ovviamente dai social: la "Unità di monitoraggio per il contrasto della diffusione di fake news relative al Covid-19 sul web e sui social network" (ma non in TV o sui giornali, si noti) presto perderà qualsiasi riferimento alla pandemia, per diventare un protagonista della censura e della repressione del dissenso. Poi chissà, si continueranno a impedire gli assembramenti, soprattutto per evitare proteste quando, attraverso l'adesione al MES (quello vero), finalmente le elezioni saranno ridotte a meri ludi cartacei. È dai tempi di Carlo VIII, in fondo, che le fazioni italiane non prevalgono per i loro meriti, ma per gli appoggi internazionali. A cosa porti questa carità pelosa ce lo ha insegnato il Manzoni dell'Adelchi, ma il Manzoni - come la storia - insegna molto, ma non ha più scolari (soprattutto in epoca di lezioni via web).
Si finirà con un mutamento addirittura antropologico: il distanziamento sociale al posto della socializzazione, lo smart working al posto della fabbrica o dell'ufficio come luogo anche aggregativo, il commercio elettronico al posto dell'esercizio di prossimità, il denaro elettronico al posto di quello cartaceo. Un mondo di pervasivo controllo, a prova di click.

Un ultimo punto, non secondario. Se tutto questo sarà possibile (e lo sarà, a meno di tanta fortuna e di una nostra diuturna, attenta, disciplinata, instancabile spinta a Claudio Borghi e Alberto Bagnai, senza i quali oggi anche chi scrive ancora continuerebbe a informarsi guardando il Tg1, ed a Matteo Salvini, che ha avuto il merito storico, storico!, di dare loro una tribuna nazionale) sarà grazie alla mutazione antropologica dell'uomo moderno.
La scristianizzazione della società, la perdita del senso di eterno che è propria del mistero della Resurrezione, hanno portato l'uomo a una tale angoscia verso la morte da rimuoverne completamente la presenza, nel linguaggio, nel quotidiano, nei comportamenti dei giovani che rischiano volontariamente la vita. In questo contesto l'ingenuo scientismo positivistico ha fatto facilmente breccia, dando l'illusione che la medicina potesse non solo ritardare quasi indefinitamente la morte, ma addirittura prevenire qualsiasi malattia attraverso neppure il farmaco, ma la pozione magica somministrata sotto forma di vaccino. Ora però siamo al redde rationem. Di fronte all'impotenza - peggio: di fronte alla gravissima impreparazione planetaria - innanzi al Coronavirus, l'uomo subitaneamente nudo della sua corazza di certezze scientiste è attanagliato dal terrore ed accetta perciò ogni limitazione alla propria libertà, al proprio diritto di movimento, in una parola: alla propria vita.
Questo senso di smarrimento produce poi una pulsione infantilistica (esiste una pagina Facebook, a quanto pare non satirica, che si chiama "Le bimbe di Conte") alla ricerca dell'uomo forte: da questo punto l'immagine del condottiero integerrimo, quasi aspro, costruita da Casalino a colpi di conferenze stampa in prime time e di pubblicità a tappeto su FB è perfetta. Il bravo bambino è quello che segue le regole dei genitori, che non li tradisce, che è sincero e trasparente: ecco allora lo spettacolo abominevole delle delazioni, delle gogne social, delle telefonate alle forze dell'ordine perché magari una mamma e un bambino prendono mezz'ora d'aria.
Queste persone appoggeranno sempre e comunque la Strategia dell'esasperazione, almeno finché anche in loro l'esasperazione non avrà il sopravvento sulla paura. E pian piano questo disgraziato Paese si spaccherà in due in modo irreversibile e Dio solo sa cosa succederà.

Ma la Storia si ricorderà di lei, prof. Conte. E prima della Storia noi, che non lasceremo cadere la memoria di ciò che sta accadendo.