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domenica 29 dicembre 2019

Quando si prescriverà Bonafede?

Dunque il primo gennaio dovrebbe entrare veramente in vigore la riforma Bonafede della prescrizione in materia penale.
Quello che nessuno pensava possibile, sta invece per succedere, complice un governo che - pur di galleggiare - accetta tutti i diktat del proteiforme ma sempreverde partito delle manette (ve la ricordare La Rete di Orlando e Dalla Chiesa? E poi l'Italia dei Valori di Di Pietro? I 5 stelle sono gli eredi naturali di questi movimenti). Di un partito che, sia detto per incidens, nella sua diuturna lotta contro la verità e l'onestà intellettuale ha il coraggio di attaccare chi si oppone alla riforma definendolo un mariuolo che non vuol farsi processare, che si attacca a cavilli e eccezioni, come se le eccezioni processuali non fossero proprio la principale garanzia del diritto di difesa e trovino spesso spazio grazie alla sciatteria di chi dovrebbe amministrare con competenza e puntualità la giustizia.
In Grecia i Colonnelli, appena giunti al potere, eliminarono gli ordini degli avvocati.

Di cosa si tratta?

La L. n. 3 del 2019 ha modificato gli artt. 158, 159 e 160, c.p., peraltro già toccati dalla riforma Cirielli prima (correva l'anno 2005) e dalla riforma Orlando poi (L. n. 103 del 2017). Se l'impianto generale delle disposizioni è rimasto lo stesso, una novità rivoluzionaria riguarda il profilo (centrale) del decorso del termine di prescrizione del reato, oggetto di modifiche sia sul lato del dies a quo sia, soprattutto, su quello del dies ad quem.
Quanto alla determinazione del dies a quo, la novella reintroduce la disciplina - abrogata dalla Legge Cirielli - che fa decorrere la prescrizione del reato continuato dal momento in cui è cessata la continuazione, col bel risultato di rendere un istituto, che dovrebbe ispirarsi al principio del favor rei, uno strumento del giudice - per di più discrezionale - per allungare i termini prescrizionali.
Ma è in merito al dies ad quem che la riforma mostra il suo lato più repressivo: il termine è infatti anticipato (tra l'altro surrettiziamente, attraverso l'introduzione di una ipotesi di sospensione del corso dela prescrizione nell'art. 159, c.p., anziché mediante una modifica dell'art. 158, c.p.) dalla pronuncia della sentenza definitiva di condanna (dopo la quale, già adesso, la prescrizione non corre più) alla pronuncia della sentenza di primo grado.
In sostanza, siccome un processo su quattro in Appello si prescrive, Bonafede ha semplicemente pensato di eliminare la prescrizione dal secondo grado di giudizio. Con una riforma abborracciata, confusionaria, sbagliata e incostituzionale. In perfetto stile grillino.

Perché la disciplina è tecnicamente sbagliata?

In effetti, la nuova prescrizione - che entrerà in vigore senza alcuna norma transitoria, secondo un costume particolarmente apprezzato dagli operatori del diritto inaugurato su larga scala, guarda tu i caso, da Renzi con il Jobs Act e con l'anticipazione del Bail-in poi - non solo con ongi probabilità on funzionerà ma, se applicata, rischierà di creare enormi problemi di applicazione intertemporale.
In Italia la prescrizione è un istituto di diritto sostanziale e non processuale, pertanto la nuova disciplina - sfavorevole all'imputato - non sarà applicabile per i reati compiuti (non: per i processi iniziati) prima del 1° gennaio 2020, giusta l'ordinanza della Corte costituzionale n. 24 del 2017 (caso Taricco: vedi cosa ne abbiamo scritto qui); per quanto diremo in seguito, dunque, ci sono altissime probabilità che questo pastrocchio non entri mai effettivamente in vigore.
Ma se anche, tra tre o quattro anni, nessuno avesse ancora fatto giustizia di questo obbrobrio, si porrà immediatamente la questione della disciplina applicabile ai reati compiuti nel 2019: se infatti, da un lato, la riforma non era ancora in vigore nell'anno appena trascorso, purtuttavia era ben conoscibile dopo l'approvazione della L. n. 3 del 2019, sicché l'imputato non potrà invocare l’esigenza - costituzionalmente garantita - di vedersi assicurata la prevedibilità della legge penale più sfavorevole.
Mi avete seguito? No? Non vi preoccupate. Non mi ha seguito neppure il Guardasigilli.

Perché la disciplina è incostituzionale?

Ma la norma non solo è scritta con i piedi, o con altre parti del corpo comunque diverse sia dalle mani che dalla testa; è anche clamorosamente incostituzionale (nonostante i tentativi acribatici di difesa da parte di penalisti anche di chiara fama, come Gian Luigi Gatta).
Facilmente si può ricordare l'art. 111, c. 2, Cost., ai sensi del quale "la legge assicura la ragionevole durata" del processo, o l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, secondo cui "ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale".
Ma non ci vuole troppo sforzo neanche perc vedere il contrasto col principio di presunzione di innocenza (la prescrizione si blocca dopo la pronuncia di primo grado anche in caso di assoluzione dell'imputato), col diritto di difesa (che verrrebbe vanificato in caso di processo tenuto artatamente in vita, senza addivenire ad alcuna conclusione) e alla finalità rieducativa della pena (che richiede logicamente un collegamento temporale fra reato e punizione).
Per dirla con l'avv. Valerio Donato, "punire dopo un lasso di tempo notevole, come vorrebbe l’abolizione della prescrizione, non solo non è utile ma è addirittura dannoso. Il colpevole infatti sarà una persona completamente diversa da quella che ha commesso l’illecito (vanificando quindi la funzione rieducativa della pena) e/o avrà potuto continuare a delinquere (vanificando quindi la funzione special preventiva della pena) e nelle persone offese il ricordo del torto subito sarà stato dimenticato (riaprendo quindi ferite ormai curate). Il reo inoltre avrà enormi difficoltà a difendersi avendo perso ogni possibilità di dimostrare la propria innocenza".
Tuttavia, la Corte Costituzionale e la Corte EDU ci hanno abituato alle più straordinarie trasformazioni a seconda della convenienza contingente di coloro da cui dovrebbero essere indipendenti; dunque magari riusciranno, con la stessa penna, a ritenere inumano il "fine pena mai" per i mafiosi accertati, ma assolutamente accettabile il "fine processo mai" per i comuni cittadini.
Anche in questo caso, dunque, come per tante altre controverse materie (l'obbligo vaccinale, le norme sul fine vita, ecc.), non dev'essere cercato un giudice a Berlino, ma un legislatore in Parlamento.
Le norme sbagliate non si impugnano, si aboliscono.

Perché la disciplina è politicamente aberrante?

In effetti, anche volendo astrarre dalla lacerazione che la nuova prescrizione porterebbe al sistema giuridico nel suo complesso, resta un'enorme questione politica che non può essere ignorata. Sono infatti almeno 25 anni che la lotta politica passa per la via giudiziaria: se mettiamo insieme l'obbligatorietà dell'azione penale (che, in un sistema con risorse fate e pubblici ministeri che non hanno doti soprannaturali, è sinonimo di arbitrarietà dell'azione penale: si veda qui a proposito della c.d. "Circolare Pignatone"), la sostanziale irresponsabilità dei singoli magistrati (che ai sensi dell'art. 101, c. 2, Cost., sono soggetti soltanto alla legge, la quale - come noto - spesso non ha molta voce in capitolo), il nodo gordiano che ancora avviluppa magistratura requirente e giudicante, derive ideologiche alla Patronaggio, si capisce che il pericolo derivante dalla riforma Bonafede non è solo per il singolo cittadino (che sarebbe già troppo), ma per la stessa democrazia.
Il tutto, poi, è reso ancora più drammatico dal fatto che, nell'immaginario collettivo, essere iscritti nel registro degli indagati o - peggio - ricevere un avviso di garanzia corrisponde a una sentenza definitiva di condanna. Con la consguenza che la cancellazione della prescrizione (soprattutto in caso di sentenza di condanna in primo grado) può aprire le porte a una specie di ergatsolo a piede libero in attesa dei successivi gradi di giudizio (che, eventualmente, potrebbero non esserci mai).
Un collega di chi scrive si trova, per esempio, a vivere la seguente edificante vicenda.
A seguito di alcuni fatti avvenuti nel 2007, con grande celerità, nel maggio 2012, ha saputo di una richiesta di rinvio a giudizio avanzata da un solerte PM senese. Siccome i fatti in questione erano ancora troppo freschi, il GIP ha pensato di far passare un altro po' di tempo: la decisione di andare a processo infatti è di aprile 2013. Inizia il dibattimento, anzi: tenta di iniziare. Tra gli imputati ci sono anche cittadini stranieri, per cui ci vogliono un paio d'anni a capire come fare in modo che le notifiche non siano radicalmente nulle (o sbagliate, o tardive, o chessò io). Prima udienza dibattimentale: 26 marzo 2015 (anzi: no; siccome è cambiato il presidente del collegio, a ottobre si ricomincia da capo). Il 26 settembre 2017, finalmente, dopo dieci anni, di cui cinque di processo, il PM chiede la condanna di sette indagati per il reato di “falso”. Nel frattempo, gli imputati sono stati sottoposti per anni alla gogna di media, blog e discorsi da bar.
Il 17 ottobre 2017 il collegio giudicate ha dichiarato l’assoluzione di tutti gli imputati con formula piena. In questi giorni, la Procura ha ricorso in Appello. Le imputazioni si prescriveranno, gli imputati usciranno da un incubo, i solerti magistrati senesi potranno dire di aver, quantomeno, pareggiato. I discorsi dei ben informati continueranno, imperterriti.

Perché anche la proposta del PD non risolve il problema.

Il piccolo fatto di cronaca sopra riportato aiuta a capire perché anche le recenti proposte di "mediazione" del PD non risolvano il problema. Tralasciando la proposta di questi giorni, per lo più dettata da disperazione, di sospendere la prescrizione "ma solo per un pochino", bisogna concentrarsi sull'altra - più concreta - secondo cui alla riforma Bonafede andrebbe accompagnata una più ampia riforma della giustizia che imponga tempi certi ai processi, una volta iniziati.
"Secondo i dati del Ministero della Giustizia, nel 2017 la durata media del processo penale è stata nel giudizio di appello pari a 901 giorni (due anni e mezzo!) mentre, nel giudizio di primo grado, ha oscillato tra i 707 giorni in caso di rito collegiale e i 534 giorni in caso di rito monocratico. Che il nostro sistema della giustizia penale debba fronteggiare un serio problema di lentezza del processo è confermato dall’ultimo report della Commissione Europea per l’Efficienza della Giustizia (CEPJ), costituita nell’ambito del Consiglio d’Europa. Il giudizio penale di primo grado dura in Italia più che in ogni altro paese (la media europea è di 138 giorni). Il giudizio penale d’appello solo a Malta dura di più, a fronte di una media europea di 143 giorni" (così Gatta, citato sopra).
Ora, come si è visto, la durata del processo è solo una parte del problema, essendo non meno grave la durata abnorme delle indagini preliminari (che possono arrivare a due anni dall'iscrizione nel registro degli indagati). Inoltre rendere più celere il processo a parità di pianta organica (visto che i vincoli dell'Unione Europea, madre di parto e di voler matrigna, non ci impongono di assumere altri giudici, né di costruire nuovi tribunali) potrebbe significare, alla fin fine, una riduzione dei concreti spazi di difesa, facendo rientrare dalla finestra ciò che si vorrebbe far uscire dalla porta.
E poi, far riformare la giustizia penale al PD è come chiedere a Mastro Titta una legge per l'abolizione della pena di morte.

mercoledì 4 dicembre 2019

Qualche nota sulla libertà di avere opinioni idiote

Senza entrare nel caso concreto, che non conosco in tutti i suoi termini, ricordo che la Costituzione italiana - proprio perché nata dal tragico fallimento di una terribile dittatura - ha una spiccata connotazione personalista e pluralista (Paladin, Diritto costituzionale, II ed., Padova, 1995, 558 ss.), di cui l'art. 21, Cost., sulla libertà di espressione, è una delle maggiori attuazioni. Stando così le cose, la Corte Costituzionale si è sempre trovata di fronte al dilemma della compatibilità tra tale connotazione e le fattispecie, oggetto di sanzione penale, dell'apologia o dell'istigazione. In effetti, nell'un caso o nell'altro, il soggetto si limita ad esprimere un pensiero (ancorché aberrante), ma non agisce, in latente contrasto col principio di offenisività (fra i tantissimi: Mantovani, Il principio di offensività del reato nella Costituzione, in Aspetti e tendenze del diritto costituzionale. Scritti in onore di Costantino Mortati, Giuffré, Milano, 1977, 445 ss.; Vassalli, Considerazioni sul principio di offensività, in Studi Pioletti, Giuffrè, Milano, 1982, 629 ss.; Merli, Democrazia e diritto penale, Napoli, 2006, 8 ss.), costituzionalizzato all'art. 25, c. 2, della Carta ("nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso").
La Consulta, sulla questione, è stata da sempre molto limpida. Nella sentenza n. 65 del 4 maggio 1970 (ma v. anche Corte cost., 6 luglio 1966, n. 87), si legge: "l'art. 414, u.c., c.p. [istigazione a delinquere], vietando la pubblica apologia di ogni delitto, non può costituire impedimento alla libertà di manifestare il proprio pensiero, garantito dall'art. 21, c. 1, della Costituzione, ove della norma incriminatrice si dia corretta interpretazione. La mera critica della legislazione e della giurisprudenza, l'attività propagandistica diretta alla «deletio legis», l'affermazione che fatti previsti come delitti possono avere positivo contenuto morale e sociale non costituiscono il reato d'apologia di delitto. Contrasta invece contro le basi di ogni immaginabile ordinamento giuridico apologizzare il delitto come mezzo lodevole per ottenere l'abrogazione della legge che lo prevede come tale: l'apologia punibile non è dunque la pura manifestazione di pensiero ma quella che sia concretamente idonea a provocare la commissione di delitti".
Né diversamente ha concluso proprio in relazione all'apologia di fascismo: decidendo sulla compatibilità con la Costituzione dell'art. 4 della Legge Scelba (che, pure, è diretta applicazione di una norma costituzionale: la XII disposizione transitoria), la sent. 26 gennaio 1957, n. 1 ha chiarito che la norma "non prevede come reato qualsiasi difesa elogiativa del fascismo, ma solo l'esaltazione idonea e specificamente rivolta alla riorganizzazione del disciolto partito fascista...". In altri termini, l'apologia si qualifica come forma di "istigazione indiretta" (Contieri, I delitti contro l'ordine pubblico, Milano, 1961, 13; Bognetti, Apologia di delitto e principi costituzionali di libertà di espressione, in RIDPP, 1960, 271; Oliviero, Apologia e istigazione, in ED, II, Milano, 1958, 618). Anche in relazione al delitto di cui all'art. 270-bis, c.p. ("associazione con finalità di terorrismo internazionale"), si è chiaroto che è punibile la condotta di chi fa uso del web e dei social media per pubblicare video relativi a gravi attentati terroristici in quanto volti a "divulgare la chiamata al jihad" (Cass., 21 maggio 2019, n. 22163).
Sulla stessa linea si è mossa anche la Corte Europea dei diritti dell'uomo, "che ha accolto un significato particolarmente garantista della libertà riconosciuta dall'art. 10 CEDU. Le medesima, centrale in ogni società democratica e pluralista, esprimerebbe le sue potenzialità soprattutto per le «informazioni o idee che offendono, indignano o turbano». Ebbene, rispetto alle numerose ipotesi di istigazione e apologia di cui ancora oggi sono dotati la maggioranza degli ordinamenti continentali, i giudici di Strasburgo hanno individuato la soglia di punibilità non valicabile a livello del pericolo concreto. Perciò, analogamente a quanto accaduto nell'ordinamento interno, si ritiene che ai fini dell'incriminazione le condotte debbano presentare un carattere di pericolosità per interessi pubblici significativi, tali da renderle direttamente o indirettamente funzionali alla realizzazione di attività criminali. Altrimenti, qualsiasi interferenza nella libertà di espressione dei cittadini non potrebbe essere consentita..." (Cirillo, Istigazione e apologia nei recenti (dis)orientamenti giurisprudenziali, in Dir. Pen. e Processo, 2019, 9, 1292).
Queste linee intepretative devono essere mantenute anche nell'esegesi dell'art. 604-bis, c.p., ai sensi del quale "è punito: (a) ... chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; (b) ... chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi". La pena è più severa "se la propaganda ovvero l'istigazione e l'incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull'apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli artt. 6, 7 e 8 dello Statuto della Corte penale internazionale".
Qui, è inutile negarlo, ci si avvicina fortemente al reato di opinione, ove si fa riferimento a un "pericolo concreto" che è individuato - in modo tautologico - nella diffusione in quanto tale di messaggi apologetici di determinati crimini.
È probabilmente per questo che il legislatore introdusse a suo tempo la novella (cfr. art. 1, c. 1, L. n. 115 del 2016 e art. 5, c. 1, L. 20 n. 167 del 2017, di adeguamento alla Decisione Quadro del Consiglio UE del 28 novembre 2008) non come fattispecie autonoma, ma come mera aggravante, in modo che "le condotte tipiche debbano innestarsi su quelle «principali» di propaganda, istigazione e incitamento" (Caroli, Aggravante di negazionismo e nuove condotte tipiche, in Dir. Pen. e Processo, 2018, 5, 605, che critica assai perspicuamente l'aggravante).
Tuttavia, poiché un "sistema, così delineato, si presta ad esegesi incerte e fortemente eterogenee, condizionabili dai tipi di situazione portati a giudizio e dal contesto politico-ideologico di contorno" (Cirillo, cit.), il confine invalicabile - sia per la valutazione della sussistenza del reato, sia per l'apprezzamento dell'aggravante - è il rispetto del principio di determinatezza (CEDU, 23 febbraio 2017, de Tommaso c. Italia, che ha sancito l'illegittimità dell'applicazione di misure di sicurezza basate sulla L. n. 1423/1956, in quanto essa non era formulata in termini sufficientemente chiari e precisi; Cass., SS.UU., 27 aprile 2017, n. 40076; C. Cost., nn. 24 e 25 del 2019; rimando invece a questo per il caso Taricco) e del già ricordato principio di offensività (vera "pietra d'angolo" della democrazia).
Si situa perfettamente in questo contesto la pronuncia del GIP del Tribunale di Siena, dott.sa Malavasi, secondo cui nei tweet del prof . Castrucci non ci sarebbero stati gli elementi utili a evidenziare odio razziale, ma soltanto "una rilettura storica e apologetica della figura del dittatore".
Induce invece al pessimismo Cass., 23 marzo 2019, n. 21409, relativa al c.d. delitto di "esibizionismo fascista" di cui all'art. 2, c. 1, D.L. n. 122 del 1993 (che punisce "chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654", ora art. 604-bis, c.p.). Nella pronuncia, infatti, la censura alla sentenza di appello della difesa - incentrata sulla inidoneità di un "saluto fascista" (compiuto dall’imputato) a ledere il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, individuato nell’ordine pubblico in senso materiale (cioè nella "condizione di pacifica convivenza immune da disordine e violenza") - è rigettata sulla base della qualificazione del reato quale "reato di pericolo astratto".
Senonché da una parte il reato in questione è per unanime considerazione un reato di "pericolo concreto" (Zavatti-Trenti, Legislazione italiana in tema di discriminazione razziale, etnica e religiosa, Rass. it. crim., 1995, 579), dall'altra una diversa qualificazione dello stesso non permetterebbe alla fattispecie di reggere alla necessaria valutazione di legittimità costituzionale, nel solco di quanto indicato da C. Cost., 20 giugno 2008, n. 225 ("l'ampia discrezionalità che va riconosciuta al legislatore nella configurazione delle fattispecie criminose si estende alle modalità di protezione dei singoli beni o interessi: rientrano in tale discrezionalità anche l'opzione per forme di tutela avanzata, che colpiscano l'aggressione ai valori protetti nello stadio della semplice esposizione a pericolo, e l'individuazione della soglia di pericolosità cui connettere la risposta punitiva, nel rispetto del principio di necessaria offensività del reato. In tale ambito, spetta alla Corte procedere alla verifica della offensività "in astratto", acclarando se la fattispecie delineata dal legislatore esprima un reale contenuto offensivo, esigenza che, nell'ipotesi di reato di pericolo, presuppone che la valutazione legislativa di pericolosità del fatto risponda all'id quod plerumque accidit. Se tale condizione è soddisfatta, il compito di uniformare la figura criminosa al principio di offensività nella concretezza applicativa resta affidato al giudice ordinario").
Altrimenti piano piano scivoliamo nel contrasto alle c.d. fake news e, di lì, alla Stanza 101.

martedì 3 dicembre 2019

Cronologia sul MES, spiegata a chi non vuol capire

Breve cronologia deglieventi relativi al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) ad uso dei piddini (che non capiranno), dei supersovranisti incompresi (che faranno finta di non capire) e degli intelligentissimi di Twitter (che controlleranno se ci sono errori di battitura).

27 giugno 2018
Comunicazioni del Presidente del Consiglio in vista del Consiglio europeo del 28 giugno 2018.
Inizia la discussione sul MES ed il Conte Zelig si presenta in versione fascioxenoleghista dal populismo arrembante: "Resto ottimista sull'esito della riflessione che ci attende a Bruxelles ma sarò molto chiaro sulle nostre posizioni: se vogliamo impedire il declino dell'Unione e realizzare una Unione in campo economico che sia percepita come realmente vicina ai nostri cittadini, è il momento di fare avanzare la condivisione del rischio finora rimasta troppo indietro.
Però, attenzione, questi meccanismi di condivisione del rischio non debbono contemplare condizionalità che, in nome dell'obiettivo della riduzione del rischio, finiscano per irrigidire processi già naturalmente avviati, con il risultato di ottenere, anziché la riduzione del rischio, l'incremento dell'instabilità bancaria e finanziaria non certo e non tanto in Italia ma semmai in altri Stati membri che sono caratterizzati da sistemi economici più esposti, di più modesta entità. Non vogliamo un Fondo monetario europeo che, lungi dall'operare con finalità perequative, finisca per costringere alcuni Paesi verso percorsi di ristrutturazione predefiniti con sostanziale esautorazione del potere di elaborare in autonomia politiche economiche efficaci. È per questo che siamo contrari ad ogni rigidità nella riforma del meccanismo europeo di stabilità: soprattutto perché nuovi vincoli al processo di ristrutturazione del debito potrebbero contribuire proprio essi all'instabilità finanziaria, anziché prevenirla. Non vogliamo neppure pericolose duplicazioni con i compiti della Commissione europea per la sorveglianza fiscale, che rischierebbero peraltro di delegittimare la base democratica di queste funzioni essenziali per la stabilità finanziaria".
Il governo era appena nato ed i 5 stelle ancora non avevano il calendario della von der Leyen appeso negli uffici parlamentari. Dunque tutto bene.

11 dicembre 2018
Comunicazioni del Presidente del Consiglio in vista del Consiglio europeo del 13 dicembre 2018. Giuseppi, a proposito del MES, si esprime così: "quanto alla riforma della governance del meccanismo europeo di stabilità, manteniamo le nostre riserve su un approccio intergovernativo e ribadiamo che i ruoli attribuiti al meccanismo europeo di stabilità non devono minare irreversibilmente le prerogative della Commissione europea, in particolare in materia di sorveglianza fiscale".
Gli intelligentissimi di Twitter avrebbero sicuramente capito da queste parole che il nostro governo si apprestava a licenziare una bozza di massima della riforma del MES e i supersovranisti - se solo fossero stati in Parlamento, cioè se li avesse votati qualcuno - certamente avrebbero preso spunto da queste cinque righe per invadere le piazze.
Quelli un po' tardi, come chi scrive, si sono limitati a leggere lo dichiarazione dei Capidi Stato e di governo del 14 dicembre 2018 in cui, in sostanza, si parla di riforma del MES soltanto nell'ottica di introduzione di un backstop al Fondo di Risoluzione Unico (SRF: cosa sia è scritto qui), con ciò limitando - almeno sulla carta - le più ampie linee guida inserite nello schema di modifica approvato dall'Eurogruppo il 3 dicembre precedente.

19 marzo 2019
Il nostro esimio Presidente, pur non essendo obbligato, ma sapendo di avere a che fare con trogloditi pontidiani, si sofferma - come dice lui - diffusamente sul tema MES in vista dell'Eurogruppo del 21 e 22 marzo.
Come no: "...rimane... oggetto della nostra attenzione il percorso verso l'Eurosummit di giugno che, con una legittimazione in parte attenuata, a seguito delle elezioni per il Parlamento europeo di fine maggio, dovrà attuare, preparate dall'Eurogruppo, le decisioni dell'Eurosummit dello scorso dicembre. Su questo versante sono in gioco argomenti di fondamentale importanza per il futuro assetto economico e finanziario dell'Unione; mi limito a richiamare, tra gli altri, il budget dell'eurozona, lo schema europeo di garanzia dei depositi, il cosiddetto EDIS, e gli emendamenti al Trattato sul meccanismo europeo di stabilità. In particolare, è aperta la discussione, in seno all'Eurogruppo, sulla definizione di uno strumento di bilancio per la competitività e convergenza, appunto, il budget dell'Eurozona, nell'ambito del prossimo quadro finanziario pluriennale. La questione, vedete, è molto delicata per gli interessi nazionali; come sempre, ogni nuovo strumento può tornare utile ed efficace per rafforzare il nostro sistema economico-finanziario o, al contrario, può rivelarsi molto insidioso, a seconda di come venga concepito e concretamente strutturato. Per l'Italia è senz'altro prioritario che tale strumento [parla del BICC, ma pare riferirsi al MES, N.d.R.] sia di dimensioni adeguate, prevedendo anche una sua capacità di prendere a prestito sui mercati finanziari, offra un vero supporto a investimenti e riforme, abbia funzioni anticicliche e di stabilizzazione e, attenzione, non sia sottoposto a condizionalità che finiscano per penalizzare quegli Stati membri che più hanno bisogno di riforme strutturali e di investimenti".
E che gli vuoi dire? Ha ragione. Il verbale infatti registra "applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Lega-Salvini Premier".
Dice: vedi che fine statista, capisce anche che la vecchia Commissione UE conta oramai come il due di briscola. Sì, ma solo perché glielo ha detto la V Commissione della Camera, la quale,
"rilevato... che per ciò che attiene alle proposte della Commissione europea, pur apprendendo con soddisfazione che il Governo ha rilevato una serie di criticità sulle quali sarà necessario un confronto serrato in fase negoziale, risulta[va] opportuno che il Governo stesso si impegn[asse] sin da [allora], qualora il confronto negoziale non conduca agli esiti auspicati, ad esprimere il proprio voto contrario in seno a tutti i competenti organi dell’Unione, ferma restando l’opportunità, ove possibile, di sospendere ogni determinazione conclusiva nell’ambito dei predetti organi nell’attesa degli esiti delle prossime consultazioni elettorali per l’elezione del Parlamento europeo, delibera[va] di esprimere PARERE FAVOREVOLE con la seguente condizione: siano adottate in tutte le sedi istituzionali dell’Unione europea iniziative volte a sospendere, ove possibile, ogni determinazione conclusiva in merito agli atti di cui in  premessa, nell’attesa degli esiti delle prossime consultazioni elettorali per l’elezione del Parlamento europeo".

12-19 giugno 2019
Man mano che ci si avvicina all'Eurogruppo del 13 e 14 giugno 2019, i nodi vengono al pettine. Non a caso, il 30 maggio, il Direttore del Tesoro dott. Rivera (noto al troglodita con l'elmo cornuto che verga queste rozze note per aver autorizzato la Fondazione Mps a indebitarsi per 600 milioni di Euro e concentrare in un unico asseto oltre l'80% del proprio patrimonio pur di sostenere l'aumento di capitale del 2011 di Montepaschi) oppose il segreto sulla bozza di riforma del MES adducendo che le riunioni dell'Eurogruppo sono segrete.
Già solo un fatto del genere dovrebbe provocare l'indignazione del colto e inclita, ma in un Paese dove ha spazio politico Calenda capisco che sarebbe pretendere troppo.
Per chi volesse sentire come sono andate esattamente le cose, qui c'è il racconto di Bagnai:



Il 12 giugno, come ricorda sempre Bagnai nel discorso qui sopra, finalnente pochi eletti parlamentari possono dare una fugace occhiata a questa fantomatica riforma del MES ("altro che condivisione!"), sia pure in un testo ancora non definitivo. La reazione è ovviamente leggermente infastidita.



Ora, io so benissimo che i supersovranisti a questo punto si sarebbero incatenati alle porte di Palazzo Madama facendo saltare in aria il governo e provocando, tramite il mitologico appello al popolo, una grande sollevazione che dalle piazze si sarebbe spostata sulle colline delle Langhe. E certamente gli Intelligentissimi avrebbero notato a colpo d'occhio il pericolo insito nel Considerando 18 subparargrafo (B) quarta parola. (I piddini non si sarebbero accorti di niente, presi come al solito a spartirsi qualche incarico in aziende di Stato).
Ma purtroppo i supersovranisti non li vota nessuno e gli intelligentissimi (in quanto tali) neanche si presentano.
Comunque, in mancanza di un mandato parlamentare, il mandato politico è molto chiaro.
Ed è qui che casca il ciuco (cioè Giuseppi).
Perché Conte e Tria - nonostante tutto - il 13 giugno prendono e bellamente approvano, in via sostanzialmente definitiva - il nuovo MES. Certo che non firmano nulla (e che dovrebbero firmare?), ma impegnano ufficialmente il governo, cioè l'Italia.
Impegnano.
Ufficialmente.
L'Italia.
E non potevano.

Ma lo dice Tria! No, lo dice l'Eurogruppo.


Notare che Conte e Tria avrebbero potuto chiedere la ratifica di quanto fatto ai sensi dell'art. 7, c. 2, L. n. 234 del 2012.
A questo punto, comunque, si passa direttamente alla farsa, alla presa in giro (del popolo italiano). Perché il Pinocchio di Foggia si presenta, tomo tomo cacchio cacchio, in Parlamento il 19 giugno, in vista dell'Eurosummit del 21 giugno.
Nel frattempo, il 15 giugno 2019 - cioè DOPO tutto questo can can, e non PRIMA, come paiono credere alcuni oppositori dell'aritmetica - il testo di riforma del MES è finalmente reso pubblico senza però che se ne chiarisca la non emendabilità (in spregio a qualsiasi codice istituzionale, sarà trasmesso alle Camere solo il 9 agosto e quindi tradotto in italiano ad uso dei parlamentari solo in questi giorni).
Lega e Movimento 5 stelle si riuniscono dunque con Giuseppi (in versione dott. Jekyll) per trovare la quadra a una risoluzione che non suoni come una sconfessione di quanto negoziato dal governo ma neppure nasconda i problemi (ritenuti) ancora aperti (d'altronde all'Eurosummit del 21 si parlerà di "proseguimento dei lavori in modo da consentire il raggiungimento di un accordo sull'intero pacchetto nel dicembre 2019"). Ad esito di un confronto serrato, "nelle rispettive sedute del 19 giugno 2019, dedicate alle Comunicazioni del Presidente del Consiglio in vista del Consiglio europeo del 20 e 21 giugno, la Camera e il Senato hanno approvato le risoluzioni 6-00076 (Nuova formulazione) Molinari, D'Uva, e 6-00065 Patuanelli, Romeo, di identico contenuto, nelle quali, tra l'altro, si impegna il Governo «in ordine alla riforma del Meccanismo europeo di stabilità, a non approvare modifiche che prevedano condizionalità che finiscano per penalizzare quegli Stati membri che più hanno bisogno di riforme strutturali e di investimenti, e che minino le prerogative della Commissione europea in materia di sorveglianza fiscale» e a «render note alle Camere le proposte di modifica al trattato MES, elaborate in sede europea, al fine di consentire al Parlamento di esprimersi con un atto di indirizzo e, conseguentemente, a sospendere ogni determinazione definitiva finché il Parlamento non si sia pronunciato»" (resoconto del Senato). Immagino le risate, dopo, di Conte (Mr. Hyde) e Tria.
Insomma.
A DICEMBRE 2018 CONTE RIFERISCE POCO E MALE ALLE CAMERE SUL MES, IN SOSTANZIALE VIOLAZIONE DELLA L. 234 DEL 2012.
IL 13 GIUGNO 2019 CONTE E TRIA IMPEGNANO IL GOVERNO ITALIANO SU UN TESTO DI RIFORMA DEL MES SENZA AVERNE MANDATO PARLAMENTARE (IN VIOLAZIONE ANCHE FORMALE DELLA STESSA LEGGE), QUINDI NASCONDONO QUESTO FATTO AL PARLAMENTO.
LO STESSO DINAMICO DUO, RICEVUTO UNO SPECIFICO INDIRIZZO DALLA ALLORA MAGGIORANZA IL 19 GIUGNO 2019, NON HA ANCORA RICHIESTO UNA "DETERMINAZIONE DEFINITIVA" AL PARLAMENTO.
E domani c'è l'Eurogruppo.

* * * * *

(1)

Fin qui la storia. Passiamo al cabaret (prendo i tweet di Martina a mero titolo esemplificativo: lei è una bravissima persona col solo difetto di far parte del FSI).

All'obiezione sarebbe facile rispondere che, finché sei in maggioranza, le discussioni - anche molto accese - le tieni in via riservata e certo non spiattelli in aula magagne che farebbero la gioia di qualsiasi partio di opposizione; sarebbe anche facile rispondere che la verità vera sulla faccenda è venuta fuori recentissimamente, a seguito delle sconcertanti dichiarazioni del ministro Gualtieri e del già ministro Tria; sarebbe ancora facile rispondere che molti di coloro che ora fanno di queste osservazioni si erano in passati scagliati (al grido belluino di "Papeete!", "Mojito!") contro Salvini che irresponsabilmente avrebbe fatto cadere il governo.
Ma, soprattutto, è molto più facile rispondere che, semplicemente, l'obiezione è FALSA. Valga il tweet del sempre attento Giuseppe Liturri.
(2)

La logica di pacchetto, o package approach. Per iCoNpetenti (™): "la logiga di baggheddo". Dice Conte che lui ben potrebbe approvare (o aver approvato) la riforma del MES nel quadro di un pacchetto più ampio di interventi che consideri il c.d. BICC (cioè un più significativo bilancio dell'Eurozona) e, soprattutto, l'introduzione del c.d. EDIS (qui cosa è).
Già nella trattativa a monte della Risoluzione Molinari-D'Uva aveva richiesto l'introduzione di questo concetto, con cui spera di salvarsi in calcio d'angolo (ma attenzione perché alcuni deputati e senatori leghisti, ancorché fascisti, populisti, xenofobi, [.............................], sono anche ottimi colpitori di testa).
Tutto bene, se non ci fosse un problema piccolo piccolo. E cioè che i nostri amici tedeschi sono sì decisi a concludere l'unione bancaria (in modo da salvare le proprie banche), ma alle loro condizioni, imponendo ai nostri Istituti di vendere i BTP in portafoglio (tramite diversa ponderazione della loro rischiosità rispetto ai titoli dei Paesi del Nord-Europa). Il risultato sarebbe un aumento dello spread, un più difficoltoso accesso al credito per lo Stato italiano, magati la richiesta di aiuto proprio a quel MES appena appena riformato in peius grazie a Giuseppi.
Stiamo lontani da questa roba!
Guarda Giuseppi, prima di questo, meglio se firmi solo il MES e poi, sventolandolo sotto il naso degli onorevoli (come ieri) il testo, concludi con un rutto la relativa informativa.

* * * * *

Per chi è arrivato fino qui. Tutto questo è quasi folklore, se solo ci rivolgiamo a cosa sta succedendo in materia di vigilanza bancaria. Scrive Barra Caracciolo: "è  evidente che... la ratifica del nuovo MES [si intreccia] col futuro recepimento di Basilea 3-4 nel diritto UE" entro il 2020 (con effetti dal 1° gennaio 2022).
Per chi fosse interessato, il Presidente si riferisce a questo. Avremo modo di riparlarne, purtroppo.

giovedì 26 settembre 2019

La Costituzione verde (di rabbia)

Giuseppe Conte, oltre a tante altre cose, è stato anche socio di uno dei maggiori studi legali italiani e componente del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa; il diritto, dunque, lo conosce molto bene. Tuttavia, se a volte per convenienza politica si millanta di sapere ciò che si ignora, altre volte (fors'anche più frequenti?) per la medesima convenienza si finge di scordare ciò che si è appreso, facendosi trasportare sereni dalla corrente di pensiero unico del momento. Ecco allora che  l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, luogo fuori dal tempo e dallo spazio, oltre che dal principio di realtà, più della tana del Bianconiglio, ben si addice a tweet come questo.
Bene. Anzi, male. Perché il nostro Presidente del Consiglio, già avvocato dei propri clienti, quindi avvocato del popolo italiano, infine rappresentante dei burocrati di Bruxelles, finge di dimenticare da un lato l'art. 139, Cost., mercé il quale i principi fondamentali della Carta sono per lo più ritenuti intangibili, ma soprattutto, e dall'altro, soprattutto, l'art. 9, c. 2, dell'attuale Costituzione, ai sensi del quale "la Repubblica... tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione".
Norma breve, certo, come tutte le disposizioni programmatiche della Costituzione, ma pregnantissima, perché nel concetto di "paesaggio" - che incorpora quello di "ambiente" e della sua "biodiversità", come ben evidenzia G.M. Flick, e come si comprende dall'art. 117, cc. 1 e 2, Cost., che attribuiscono rispettivamente alla sola competenza statale ed a quella concorrente le materie della "tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei
beni culturali" e della "valorizzazione dei
beni culturali e ambientali" - c'è un quid pluris rappresentato dal fattore antropico. "Tutela del paesaggio" significa "tutela dell'ambiente" in quanto plasmato dalla natura e dall'uomo, meglio: in quanto prodotto del lavoro e della razionalità dell'uomo che protegge ed elabora il dato naturale rendendolo al contempo più coerente (più bello, vorremmo dire) e, in ultima analisi, più fruibile. Si capisce allora che, al di là della facile propaganda, non c'è - almeno in questo campo - nessun cambiamento culturale da realizzare.
Ancora: la Costituzione vive non solo delle singole disposizioni da cui è composta, ma anche dalle loro interrelazioni. Ecco allora come, nota Pizzorusso (*), la tutela dell'ambiente - sintomaticamente affidata (non senza più di un ripensamento e una contrarietà fra gli stessi Costituenti) alla "Repubblica", cioè "all'intera comunità nazionale e per essa a tutti gli organi dello Stato e degli altri enti pubblici", soprattutto locali - sia finalizzata "a creare una situazione ambientale che renda quanto più è possibile agevole l'esercizio delle libertà individuali". Che fra queste spicchino il diritto al lavoro (art. 4) e il diritto alla salute (art. 32), lo ha ben notato Flick nel testo sopra citato. Nasce così il "diritto pubblico dell'ambiente", che si risolve principalmente nell'attuazione di una razionale disciplina urbanistica e, appunto, nella difesa contro gli inquinamenti (Caravita (**)).
Ma, allora, cosa vuole Conte?



A sentire il suo discorso all'ONU, un pot-pourri in cui si passa dall'umanesimo democratico (?) al problema ambientale fino alla questione dei migranti, par di capire che il punto vero sia quello di trasformare una norma di principio, che lascia tuttavia la responsabilità politica delle sue concrete modalità di attuazione al normale gioco democratico, in una disposizione cogente e predeterminata negli esiti, volta all'introduzione di ulteriori vincoli all'azione di governo, sia di natura regolamentare, sia di natura fiscale, sulla scorta di quanto fatto da Mario Monti con l'art. 81, Cost. in materia di pareggio di bilancio.
Cavallo di Troia di questo utilizzo distorto delle pur giustissime istanze di tutela ambientale sono il concetto di "promozione delle condizioni per uno sviluppo sostenibile" delle istanze economiche e quello di "adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà nei confronti delle generazioni future". Dopo, varrà tutto: saranno incostituzionali il diesel, la Nutella, la plastica, non so forse anche l'orto del nonno. Sarà invece pienamente costituzionale qualsiasi tassa o balzello, purché "verde".
Non solo: questi concetti - nella loro pregnanza terminologica - collegano strettamente l'ordinameno italiano a Trattato e Convenzioni sovranazionali, aprendo l'ennesima breccia nel  nostro sistema dell fonti (che, ormai, è un colabrodo: si pensi alla "norma dei vinti", l'art. 10, Cost., o all'art. 11 intepretato in senso europeista, o ancora al "nuovo" art. 117, Cost.): vengono per esempio in mente la Dichiarazione di Rio de Janeiro del 1992), recepito dall'art. 1 del Trattato di Lisbona; o l’Agenda 2030 approvata dall'ONU nel 2015 (peraltro già recepita dall'art. 3, L. n. 221 del 2015, c.d. "collegato ambientale").
Dice: "sei sempre il solito malpensante!". Sarebbe vero, se non fosse che la proposta di legge di modifica costituzionale già esiste, firmata - tra gli altri - da quei mostri sacri del costituzionalismo italiano che sono Anna Ascani, Roberto Giachetti, Stefania Pezzopane, Debora Serracchiani. Tutto made in PD, ovviamente, tanto per ribadire a chi riferisce Conte.


(*) Pizzorusso, Sistema istituzionale del diritto pubblico italiano, II ed., Napoli, 1992.
(**) Caravita, Diritto pubblico dell'ambiente, Bologna, 1990.

venerdì 13 settembre 2019

L'Iva à la carte. Ovvero: prima ti controllo, poi ti rovino.

Un paio di fatti per inquadrare la questione.
Primo: il numero delle aliquote Iva non può essere aumentato a piacimento dagli Stati, essendovi precise limitazioni di discendenza comunitaria [1] e, comunque, dette aliquote sono collegate al bene ceduto o al servizio prestato (al limite, alle finalità della prestazione avente ad oggetto i beni o i servizi), non certo al metodo di pagamento. D'altronde, l'operazione si considera effettuata con la consegna del bene, mica con la regolazione - eventualmente di molto successiva - del prezzo.
Secondo: dal 1° gennaio 2019 tutte le fatture di vendita sono inviate telematicamente all'Agenzia delle Entrate [2] e lo stesso accadrà dal 1° gennaio 2020 per scontrini e ricevute. Dall'obbligo di invio della fattura elettronica sono esclusi minimi e forfetari, mentre - per quanto attiene i corrispettivi - dovrebbero sfuggire solo tabaccai, giornalai e trasporti pubblici. Anche gli scontrini possono essere "parlanti", cioè essere collegati - tramite codice fiscale - all'acquirente del bene o percettore del servizio. Chiunque frequenti una farmacia lo sa.
Bene, allora posso immaginare che funzionerà così.
Al pagamento di un bene o di un servizio, il cliente finale verserà in ogni caso l'Iva ad aliquota piena. Presumibilmente, questa aliquota sarà ben più alta dell'attuale: in particolare, mi sembrano plausibili le voci che vorrebbero tutta una serie di beni e servizi, attualmente ad aliquota ridotta del 10%, portati al 22% (o anche un po' più su, magari).
Lo Stato, però, si impegnerà a "restituire" a chi paga con mezzi elettronici una parte dell'imposta sottoforma di credito da scomputare dall'Irpef nella successiva dichiarazione dei redditi (come detto, aliquote differenziate non sono pensabili).
Va da sé che - soprattutto per quanto attiene il settore turistico - l'Iva "in più" pagata da consumatori non italiani resterà nelle casse dello Stato. Ma questo è il meno. La questione vera, la "ciccia", è tutta un'altra.
Riflettete un attimo: è impensabile che - per recuperare il credito di imposta nel proprio 730, le persone tengano migliaia di scontrini da parte per un anno e mezzo e - per chi non va al CAF - si facciano pure i conti del rimborso cui hanno diritto, magari distinguendo anche per aliquota Iva. Soluzione: si renderanno "parlanti" tutti gli scontrini, e il conto lo farà direttamente l'Agenzia, tramite certificazione spiattellata calda calda nel cassetto fiscale di ognuno.
Primo obiettivo raggiunto: con la scusa di rendere al cittadino una parte dell'Iva (sono facile profeta a prevedere che il credito di imposta corrisponderà a una quota parte della percentuale di incremento delle aliquote attuali) l'Agenzia delle Entrate avrà la mappa completa degli acquisti di ciascuno, sia in termini di valore degli stessi, sia in termini di composizione merceologica.
Una miniera di dati per chiunque voglia costruire un più efficiente ed affidabile redditometro (oltre che per chiunque... ecc.). Gli accertamenti sintetici nei confronti di dipendenti e pensionati diventeranno assai più comuni di quanto accade oggi, my two cents.
Ma non finisce mica (qui) il cielo.
Resta infatti inevaso un altro grave problema: la grancassa della propaganda ha già emanato la propria velina, secondo cui tutto questo sistema dovrebbe servire a reprimere - tramite limitazione del contante - l'evasione fiscale. Non a caso questa proposta si affianca all'altra, ugualmente illuminata, di tassare i prelievi di contante ai Bancomat.
Ora, fama traditur che, in Italia, i massimi evasori siano i muratori, gli idraulici, i professionisti in genere (e se non ci accorgiamo di quanto rubino è solo per la responsabilità fiscale dei colossi del web, che con le loro ingenti tasse versate dai quartier generali olandesi e irlandesi ripianano il buco), cioè quelle categorie che, più di tutte, si giovano del regime dei forfettari, di cui un punto cardine è proprio il mancato riaddebito dell'Iva in fattura. Ma senza riaddebito niente aliquote differenziate, e allora addio efficacia del sistema.
Ecco allora profilarsi il secondo obiettivo: né più né meno l'abolizione a tendere del regime dei forfettari, perché inconciliabile col nuovo sistema di riaccredito dell'Iva in funzione di scoraggiamento dell'utilizzo del contante a fini di lotta all'evasione.
Sono lì da una settimana e già sbaraccano tutto. O forse no, sono lì da molto più tempo.
Ah, la prossima volta parliamo di merendine.


[1] Cfr. Dir. 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, Titolo VIII, Capo 2.
[2] Cfr. D. Lgs. 05/08/2015, n. 127, come mod. art. 1, cc. 909 ss., L. 27/12/2017, n. 205 (tutta la documentazione rilevante reperibile qui).

giovedì 11 luglio 2019

Archeologia della distopia - contestualizzare Bibbiano

I. NON SI TRATTA DI SOLDI. MA DI CONTROLLO

Non è una questione di soldi. Non lo è mai stata. Qui si tratta di un preciso programma di nichilismo sociale, volto alla destrutturazione della famiglia e, in ultima analisi, del contesto culturale su cui si regge la civiltà europea, di cui la famiglia rappresenta la cellula fondamentale e il luogo della trasmissione dei valori.

Tutto si tiene e tutto si spiega, se analizzato in quest'ottica.

Si comprendono gli orrori di Bibbiano (che pare rappresentare, peraltro, la punta di un ben più ampio ed inquietante iceberg, come ha ricordato di recente Selvaggia Lucarelli), dove psicologi, assistenti sociali e giudici hanno piegato la loro professione e la legge ad un preciso programma ideologico - quello di preferire qualsiasi contesto di crescita, anche il più malato, rispetto alla famiglia di origine dei minori coinvolti - tanto da far scrivere a Di Remigio che "la tendenza a universalizzare l’eccezione [cioè la famiglia patologicamente disfunzionale] può fare delle scienze umane uno strumento di destabilizzazione a disposizione non solo di chi ha interesse alle novità ma anche di chi è attratto dal caos, a volte senza piena intelligenza che la sua realtà effettiva è la violenza sconfinata e impunita sul più debole".
Siamo nelle immediate vicinanze ideologiche del Forteto (le cui vicende sono ben ricordate negli articoli del Covile), il cui "progetto si caratterizza subito per la proposta dell'abolizione della famiglia basata sull'unione stabile tra un uomo e una donna [considerata poco più di una bestia, o di una prostituta], in nome di un'idea totalizzante di comunità improntata sulla pratica omosessuale" (come mezzo di unione e purificazione nel quadro di atti in sé e per sé non generativi). Sono molte le testimonianze di ragazzi affidati alla struttura che ricordano come i responsabili facessero in modo di eliminare qualsiasi contatto tra gentori e figli, cui facevano credere di essere stati abbandonati nel più completo disinteresse. Le stesse coppie affidatarie erano assai spesso composte da estranei privi di legami affettivi fra di loro.

Si comprendono le battaglie di certi medici mediatici, relative ai sempre più stringenti ed asfissianti obblighi vaccinali, i quali - a guardare la questione più da lontano - sembrano concepiti non per incrementare le coperture (come pure si dice), ma proprio - all'opposto - per disgustare e impaurire i genitori previo travolgimento della fiducia nella professione sanitaria, onde avere un'ultriore occasione di repressione.

Dopo due anni, la situazione è ulteriormente peggiorata. L'attacco non è più solo agli indigenti e/o ai dissidenti, bensì - sia pure per passi successivi - nei confronti di tutti e di chiunque, salva l'adesione più o meno convinta a questa distopica inversione valoriale.
D'altronde, quello che non si osa per via legislativa - la Legge Cirinnà insegna - lo si ottiene per via giurisprudenziale.



E poi c'è l'immigrazione. Tanto amata dai globalisti non per amore degli ultimi - come un'omelia sì e l'altra pure tenta di far credere Papa Bergoglio, tutto tronfio per essere riuscito a trasformare la Chiesa in una ONG di frontiera, e nemmeno la migliore - bensì perché rappresenta il miglior grimaldello per l'annacquamento delle radici culturali, ideali, sociali, religiose dei popoli. Il tutto anche grazie alla scuola, che non insegna, ma indottrina, sottraendo de facto qualsiasi diritto educativo alle famiglie, prese - come nella questione degli obblighi vaccinali - nella morsa ferrea della necessità pseudoscientifica.
"Le cricche globaliste che con il consenso del capitalismo avido di lavoro a basso costo sognano di attrarre in Europa milioni di africani e di crearvi una società multietnica hanno potuto contare anche su una collaborazione volenterosa della scienza dell’educazione, che si è impegnata nell’ideare la scuola veramente inclusiva. Anziché istituzione che media tra famiglia e società attraverso l’istruzione, la scuola inclusiva è un asilo infantile in cui, svanita l’istruzione, cioè l’acquisizione di conoscenze e abilità intellettuali, si impartisce un’educazione contro gli stereotipi, ossia un indottrinamento nichilista. Vi si è diffuso quindi il costume di affidare una pluralità di educazioni, all'affettività, all'accoglienza, alla legalità, quella stradale, quella sessuale… a esperti diversi dagli insegnanti, come se l’educazione del fanciullo nella sua pregnanza etica non fosse competenza della famiglia, come se nel campo dell’etica fosse decisivo, e nel caso dell’educazione sessuale esistesse, l’esperto", scrive ancora Di Remigio.
Aggiunge - nella stessa ottica - il Covile: "strappando gli individui dalla loro storia personale (familiare, etnica, sociale, e per forza di cose, aggiungo, anche dall’identità sessuale data alla nascita), non si formano soggetti liberi ma soggetti senza identità, pagine bianche su cui poter scrivere qualsiasi cosa, massimamente manipolabili dalle mode del momento o dai capricci dei falsi profeti" (o dei falsi esperti).
L'acme di questa perversione scolastica è rappresentata dalla c.d. "educazione sessuale" (qui, per chi dovesse prepararsi un canarino ma non ha i limoni in casa, le linee guida OMS), cioè dal tentativo di sessualizzazione precoce dei bambini (ancor più deleteria quando si mescola alle delieranti teorie gender). Non sarà un caso se autori così distanti come De Sade e Huxley indicano nella sessualizzazione di ogni aspetto della vita e nella pornografia un potentissimo mezzo di controllo di massa.

Bibbiano/Forteto-obbligo vaccinale-immigrazione-scuola. Ma anche: femminismo estremista, teoria del gender, unioni omosessuali e relativi problemi in materia di adozione. Minimo comune denominatore: sradicamento dei minori dalle famiglie di origine, reificazione dei corpi (soprattutto quelli dei più piccoli), sostituzione dell'educazione parentale con l'indottrinamento nichilista imposto dallo Stato (o da una parte di Stato).

II. COME SIAMO GIUNTI A QUESTO? ARCHEOLOGIA DELLA DISTOPIA

Come siamo giunti a questo? Tramite secoli di concezioni errate, quando non demoniache, di Dio e dell'uomo (o, se vogliamo, della realtà), concezioni che, pur con qualche semplificazione, possiamo definire gnostiche. Questo fa di Bibbiano - o del Forteto - temi inquietanti da indagare, non qualche amministratore implicato nelle vicende.
Sì, perché - nonostante le continue sconfitte - lo gnosticismo ha continuato a vivere dentro e fuori la Chiesa, grazie al suo carattere proteiforme e sfuggente, mal classificabile, che lega insieme con un unico filo diabolico marcioniti e docetisti, catari e luterani, fino all'eresia collettore di tutte le eresie, il modernismo.
Nello gnosticismo, che è tutt'uno col peccato originale, "si pone la salvezza dell’uomo nelle mani dell’uomo, che si salverebbe conoscendo qualcosa o facendo qualcosa. Il peccato originale è l’archetipo di ogni Gnosticismo. Il progressismo, il positivismo... sono forme di gnosi, come anche la teoria del gender e il trans-umanesimo". In questo quadro, "la materia è male. Anche la creazione e la procreazione umana sono quindi dei mali. La Gnosi... celebra la sessualità sterile e quindi il rapporto omosessuale..." (qui). .
Il modernismo riprende la gnosi nella pretesa dell'uomo di salvarsi da solo, facendosi misura di ogni cosa, anche di Dio: “la verità non è più immutabile dell’uomo stesso, giacché essa si evolve con lui, con lui per lui... La fede non è [più] l’adesione dell’intelligenza ad una verità rivelata da Dio, ma una esigenza religiosa che si sprigiona dall’oscuro fondo (subcoscienza) dell’anima umana. Le rappresentazioni della realtà divina si riducono a 'simboli', la cui 'formula intellettuale' muta a secondo della 'esperienza interiore' del credente. Le formule del dogma, per i modernisti, non contengono verità assolute: esse sono immagini della verità che devono adattarsi al sentimento religioso... Per san Pio X, 'di fatto l’immanenza dei modernisti vuole e ammette che ogni fenomeno di coscienza nasce dall’uomo in quanto uomo. Dunque di legittima conseguenza deduciamo che Dio e l’uomo sono la stessa cosa: e perciò il panteismo'" (qui).
Questo rovesciamento di prospettiva  non poteva che avere enorme successo, sposandosi perfettamente con l'iperliberismo globalizzatore ed il malthusianesimo in salsa verde che hanno conquistato tutti i principali attori politici: "la denatalità programmata politicamente, l’impegno concorde degli organismi internazionali per la crescita zero o sotto zero; la convergenza dei grandi centri di capitale, delle Corti internazionali di giustizia e dei poteri politici transnazionali nell’imporre l’aborto come diritto, la sterilizzazione, la distruzione degli embrioni umani; la programmazione della sostituzione di interi popoli mediante l’immigrazione; il proposito di superare le religioni confessionali per approdare ad un’unica religione mondiale di tipo sincretistico o genericamente umanistico secondo il progetto massonico; la persecuzione del cristianesimo e specialmente del cattolicesimo stretto nell’angolo tra rivendicazione della propria identità e sottomissione al mondo… sono aspetti macroscopici e planetari della gnosi contemporanea...".
Colpisce in effetti vedere McDonald's o Coca Cola imbastire enormi campagne pubblicitarie pro-GLBT che non sono certamente volte a vendere qualche panino o bottiglia in più: evidentemente, il prodotto che si vuole vendere è proprio l'ideologia gay (che è altra cosa - lo dico per gli imbecilli che fossero arrivati fino a qui nella lettura - dall'omosessualità). Il campanello di allarme ha suonato ancora più forte, quando ho letto della rescissione del contratto fra Nivea e la propria agenzia pubblicitaria (la quale, fino a prova contraria, dovrebbe essere a servizio del cliente).

Il successo del Forteto, o di Bibbiano, o del gender nelle scuole, o del matrimonio omosessuale, è tutto qui: abolizione degli ancestrali legami familiari a favore dell'atomizzazione della società, al fine di rendere gli individui da un lato capitale umano completamente flessibile (anche nello spazio), dall'altro consumatori suggestionabili, cui è possibile vendere qualsiasi prodotto se solo se ne creano i presupposti psichici.
In quest'ottica, la recente esplosione indotta dell'interesse per il calcio femminile andrebbe studiata attentamente, non solo dagli esperti di marketing.

III. II. CONCILIO

Resta dunque da stabilire un ultimo legame. Come ha potuto l'eresia modernista ritrovarsi, dopo in secolo e un paio di scomuniche, vincitore sul campo in una società secolarizzato e sostanzialmente atea come la nostra? Ha potuto, perché - oltre ad allearsi con le esigenze del mondo, come abbiamo visto sopra - è penetrata nei gangli vitali della Chiesa, cambiandola radicalmente dall'interno.
Errore, micidiale del Concilio Vaticano II e, soprattutto, dei commenti ad esso di Paolo VI.
Il 7 dicembre del 1965, Papa Montini giunge a proclamare: "la religione del Dio che si è fatto uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Tale poteva essere; ma non è avvenuto... Una simpatia immensa verso ogni uomo ha pervaso tutto il Concilio. Dategli merito almeno in questo, voi umanisti moderni, che rifiutate le verità, le quali trascendono la natura delle cose terrestri, e riconoscete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, più di tutti, abbiamo il culto dell’uomo". Cinque righe che mostrano un'intima natura conciliare gnostica, antropocentrica e panteistica: chi legga (non certamente la Lumen Gentium, ma di sicuro) la Gaudium et Spes se ne renderà conto.
In questo humus culturale si sviluppa la deleteria corrente del cattolicesimo progressista, quella che lega Barbiana al Forteto, il Forteto a Padre Balducci (sodale di La Pira e del suo gruppo) e al dott. Meucci (giudice minorile, discepolo di don Milani), Barbiana - mediatamente - e il Forteto - immediatamente - a Bibbiano. Claudio Foti e Federica Anghinolfi sono due delinquenti e così Rodolfo Fiesoli, ma si fanno scudo di teorie, di atteggiamenti mentali, anche di idiosincrasie che hanno la loro origine in quel certo tipo di cattolicesimo progressista in generale e nella eleborazione pedagogica di don Milano in particolare. Rileggere oggi "Lettera a una professoressa", col suo carico di classismo alla rovescia, di strampalate idee sociologiche e pedagogiche per cui i ragazzi del popolo non devono essere istruiti ma solo indottrinati, con le sue recriminazioni, la violenza - non solo verbale - anche gratuita.
"Don Milani si è salvato, e con lui i suoi allievi, grazie alla sua fede ed al suo rigore etico, e gli va riconosciuto oltre quelle che furono le sue idee. Non cosí andò, non tanti anni dopo, agli sfortunati ragazzi del Forteto. Non si tratta di far discendere un caso dall’altro secondo una concatenazione di causa effetto, ma non si possono non sottolineare le contiguità: d’ambiente culturale, di concezioni antifamiliari, di personaggi gravitanti in quelle aree, dei luoghi fisici delle due esperienze, entrambe da Calenzano al Mugello...  La lettera a Giorgio Pecorini [«chi potrà mai amare i ragazzi fino
all’osso senza finire col metterglielo anche in culo se non un maestro che insieme a loro ami anche Dio e tema l’Inferno e desideri il Paradiso?»] mette però in evidenza che esiste analogia anche fra le personalità di don Lorenzo Milani e Rodolfo Fiesoli: entrambi carismatici, entrambi capi assoluti delle comunità giovanili che avevano fondato e promosso, entrambi estremamente severi verso i loro allievi o assistiti, entrambi scarsamente attenti, quando non ostili, al femminile, entrambi mossi da pulsioni omosessuali ancorché non agite da parte dell’uno e invece sfociate in violenze imperdonabili da parte dell’altro...".

martedì 23 aprile 2019

Globalism worshippers - splendori e miserie delle cortigiane

Questo post si sarebbe potuto intitolare anche "Una giornata particolare". In effetti, nelle ultime 24 ore l'ipocrisia, il moralismo senza morale, la spocchia degli ottimati autoproclamati hanno celebrato il proprio demenziale sabba.
Tutto nasce dalla tragedia degli attentati in Sri Lanka, ma presto la vicenda si trasforma in una farsa di pessimo gusto. Si comincia con la crema dei libdem statunitensi (ivi compresi un Presidente e una quasi Presidente USA) che, come un sol uomo, twittano - all'unisono - le proprie condoglianze per "coloro che sono stati uccisi mentre celebravano la Pasqua" (Easter worshippers).
Ovviamente, la destra americana si scatena. Ma anche in Italia le reazioni non sono migliori: in particolare molti cattolici, quorum ego, si sentono colpiti. Sarebbe una questione minore, un piccolissimo sfregio ai corpi martoriati di morti e feriti negli attentati vigliacchi di Colombo, se non fosse l'involontario innesco di assurdi riflessi pavloviani a catena.
Quando c'è da difendere l'indifendibile, con acrobazie intellettuali talmente improbabili da risultare puerili, in prima fila troviamo sempre l'ineffabile Marattin. Il quale - lancia in resta - non trova di meglio da fare che offendere tutti coloro che non la pensano come lui.
Nessuno mette in dubbio che Marattin conosca l'inglese molto meglio di come conosce le regole di finanza pubblica, come abbiamo avuto modo di costatare (*); tuttavia - come gli accade spesso, anzi quasi sempre - non centra il punto.
La questione non è né linguistica né grammaticale, e d'altronde che Obama o la Clinton sappiano scrivere un tweet in inglese non pare una grande notizia (non a caso, la polemica è nata tutta entro il l'arena politica anglofona). Qui il punto è che Obama, la Clinton e tutta l'intelligencija statunitense hanno volutamente utilizzato una perifrasi per evitare di scrivere la sola parola che avrebbero potuto e dovuto usare: Cristiani.
Certamente, se in un bollettino cattolico io voglio specificamente individuare coloro che partecipano alla Veglia del Sabato Santo, è assai probabile che parli di "fedeli che celebrano la Pasqua", ma se mi riferisco ai credenti entro un contesto generico, utilizzo il termine che - da duemila anni a questa parte - definisce coloro che credono che Gesù è il Figlio di Dio.
E quello che è più grave è che Obama e la Clinton hanno scritto (tutti! e tutti insieme!) "Easter worshippers" anziché "Christians" o "Christian gathered to celebrate Easter Mass" non per rientrare nei 280 caratteri, ma per evitare accuratamente di sottolineare l'ovvio: che ad essere sotto attacco in tutto il mondo è uno specifico gruppo di persone in ragione della sua fede, e questo gruppo è quello dei Cristiani. In particolare, dei Cattolici.
A riprova, mentre siti più scafati (e svergognati) insistono con nonchalance a parlare di errore di traduzione (si sa gli italiani provinciali fascioleghisti non sanno le lingue, al contrario di coloro che - grazie all'Erasmus a Valencia - hanno imparato un inglese perfetto che permette loro di svolgere al meglio il compito di dishwasher a Glasgow), altri - che si distinguono per una certa ingenuità nella loro opera di sedicente debunking - sia pure confusamente mettono in chiaro quale sia la vera posta in gioco. "Non deve essere noi contro loro" (chi siano loro non è dato sapere); più che altro, a dirla tutta, "non deve esser(ci un) noi".
Il nostro Presidente della Repubblica si mette, come di consueto, sull'attenti (cosa che riesce particolarmente bene a coloro che, come Mattarella, si distinguono per schiena diritta).

In quest'ottica si svela la cattiva coscienza di una classe dirigente transnazionale che - uccidendo ogni giorno, metaforicamente, il Cristianesimo- non ha il coraggio di ammettere che i Cristiani sono spesso anche uccisi per davvero. Come potrebbero scrivere il nome di Gesù coloro che permettono l'aborto fino al nono mese, favoriscono l'utero in affitto, combattono giornalmente la famiglia, iniziano a pensare di sdoganare la pedofilia, impoveriscono intere nazioni, erodono diritti in base a malintesi concetti di sostenibilità, seminano morti in mezzo mondo?
I Cristiani muoiono o sono umiliati ovunque, in Nigeria, in Egitto, in Siria, in Iraq, in India, in Cina. Ma nessuno ne parla. Bergoglio neppure se ne accorge.

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Fin qui la tragedia. Ora la farsa. Per spiegare che - ancorché rossobruni di merda, alcuni di noi riescono a comprendere una frase nella lingua albionica - il nostro amico iconoclasta Lazar pubblica un breve video. Sono le 10:41.

Nel corso della discussione in coda al video, lui stesso nota di aver utilizzato il verbo "remember" anziché il più appropriato "remind". Sono le 14:15.

Interviene nella diatriba il più funambolico dei debunker (nonché il nostro residente svizzero preferito, venuto meno Marchionne): Paolo Attivissimo. Il quale, un quarto d'ora dopo il tweet di cui sopra, non trova di meglio da fare che sputare contro l'a lui sconosciuto Lazar analoga accusa, infarcendola però di un pietoso errore... di grammatica italiana.

"Sarebbe come dire", caro Paolo. Dai, il condizionale non è difficile come, chessò, il congiuntivo. O la logica formale.
Già farebbe ridere così, ma a questo punto la cosa prende una piega grottesca, quasi surreale. Prima ci pensa uno sconosciuto internauta, che offende il buon Lazar sulla base della sua fotina di Twitter che però, guarda il caso... è quella del vero Lazar' Moiseevič Kaganovič.

Si arriva per suonarle... e si torna suonati.
Poi è lo stesso Attivissimo a fare la figura del disinformatico, quando ringrazia sussiegoso un utente che fa finta di supportarlo... ma non si accorge che il nickname è NPC (se voi non sapete cosa significa, non è un problema, basta leggere qui; se a non saperlo è un sedicente debunker di nuove tecnologie espatriato in un paradiso fiscale... beh qualche problema esiste). Su Twitter, comunque, si scatena la hola.


Una parola che è una sentenza.

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Confesso che, giunto alla fine di questo post, mi sento in colpa. Sono morte centinaia di persone innocenti, molte delle quali perché stavano testimoniando la propria fede. Non c'è davvero nulla da ridere. Altro che il tetto di una chiesa.
Spero solo che queste righe non suonino offensive per nessuno e aiutino i tanti maestrini dalla penna rossa, quando si ritroveranno stasera soli nelle loro camerette, non dico a pentirsi, ma quantomeno a vergognarsi un po'.





(*) L'articolo linkato l'ho pubblicato io, ma appare scritto dalla "redazione". Il direttore del Format, infatti, con grande signorilità ha applicato ai miei contributi una sorta di damnatio memoriae dopo che ho deciso di abbandonare il giornale. Così va il mondo; ma in un post che tratta di miserie intellettuali mi sembrava giusto sottolinearlo.