Cerca

Pagine

mercoledì 27 aprile 2016

Togliere spazi di democrazia: la legge sul Terzo Settore e le Banche popolari

E anche questo 25 aprile è passato. Le nostre Autorità hanno portato all'Altare della Patria la corona di fiori di prammatica (prima delle 20,30, pare, cosa un po' inusuale per il nostro Presidente della Repubblica). Di considerazione da fare ce ne sarebbero tante.
Sulle insanabili (ma neppure percepite) contraddizioni tra festeggiamenti della Resistenza e adesione entusiastica a un sistema economico e legislativo di stampo sovranazionale che svuota completamente il senso profondo della Costituzione nata da quell'esperienza storica.
Sul fatto che un movimento di riappropriazione della storia nazionale contro il dominio dell'ex alleato divenuto nemico sia sfociato in un progetto di unificazione continentale non paritario, ma fortemente sbilanciato a favore delle mire egemoniche di un unico Stato (sempre lo stesso, peraltro).
E così via. Sul concetto stesso di democrazia e sul suo sostanziale svuotamento, si è esercitato con la consueta puntuta lucidità Il Pedante in un suo recente post. Riporto qui un passaggio, in cui si mostra con chiarezza quanto profondamente sia stato introiettato il falso nesso (falso, certo, ma caro alle élites) tra democrazia e inefficienza.


Ecco, meditare queste righe mi ha dato una spinta in più a commentare un disegno di legge, forse meno importante di altri (d'altronde, questo è il governo del Jobs Act, della Buona scuola, della Deforma costituzionale), ma che fa un po' da bussola rispetto ai veri "valori" perseguiti dall'attuale classe dirigente, in rapporto ai "valori" (costituzionali) meramente dichiarati.

Si tratta della legge delega di riforma del terzo settore, recentemente approvata al Senato e ora al vaglio della Camera (l'ultimo testo è questo).

Come molte leggi recenti, tipo quelle citate sopra, si introducono norme assolutamente condivisibili (da utilizzare nei tweet del Caro Leader e del suo p.r.), che fanno da contorno al cuore dell'articolato, che è invece spesso volto a scardinare dal profondo questo o quell'istituto giuridico.
Nel nostro caso, il "cuore" è rappresentato dall'art. 6, relativo alla nuova impresa sociale.
L'impresa sociale, fino ad oggi, è un'impresa commerciale che svolge la propria attività in determinati campi economici aventi specifica utilità sociale, ovvero in qualsiasi ambito commerciale o industriale ove impieghi almeno il 30% di lavoratori svantaggiati (D. Lgs. n. 155 del 2006). Una specie di cooperativa, insomma, senza però voto capitario (cioè "per teste", anziché per "quote partecipative") ma con un problemino di non poco conto, cioè il divieto assoluto di ripartizione degli utili.
Le imprese sociali non sono mai decollate (perché normalmente attrae molto di più il sostantivo dell'aggettivo collegato). Però il terzo settore potrebbe essere un ambito molto lucroso, che è un peccato non poter colonizzare al meglio.
Ce lo ricordano anche quei filantroponi di Ernst & Young.
Ecco allora che ci si inventa un'intera legge in cui, tra mille altre cose, si delega il governo al riordino e alla revisione della disciplina dell'impresa sociale, qualificandola, inter alia, "quale organizzazione privata che... destina i propri utili prioritariamente al conseguimento dell’oggetto sociale...".
Siccome però "prioritariamente" significa un po' tutto e un po' nulla, ecco, poco sotto, la specifica: il decreto delegato deve prevedere "forme di remunerazione del capitale sociale che assicurino la prevalente destinazione degli utili al conseguimento dell’oggetto sociale, da assoggettare a condizioni e comunque nei limiti massimi previsti per le cooperative a mutualità prevalente".
Traduco.
Fate un'impresa non cooperativa. In un'impresa non cooperativa si vota per quote sociali e non per teste (dunque uno non vale uno, ma d'altronde questo non è vero neppure nel Movimento 5 stelle). Meno che mai votano quei rompipalle dei lavoratori.
Poi esercitate una delle attività che saranno stabilite dal decreto, oppure assumete un certo numero di disabili, così neppure pagate le tasse.
Certo, dei begli utili che farete, ne potrete però distribuire sotto forma di dividendi soltanto una parte (in misura pari al 7,5% del capitale versato nel 2013, al 6,0% del capitale versato nel 2014, al 5,0% nel 2015: il dividend yield di Intesa - per dire - è del 5,7%, quello di Eni del 4,2%).
E vissero tutti felici e contenti.
Anche i 5 stelle, ché così ci sarà meno corruzione.
(Tra parentesi: queste fantomatiche imprese sociali spesso lavorano in campo socio-sanitario. Dove non arriva il pubblico, appaiono loro. In convenzione o meno. Quando vi parlano degli sprechi del Servizio Sanitario Nazionale, delle inefficienze, della necessità di ridurne l'ampiezza a favore "del privato", prima dell'urlo belluino "se so' magnati tutto!" - (c) Bagnai - riflettete sull'alternativa, a chi giova, e a chi gioverà di più domani).

Il decreto sulle Popolari, cui si riferiva Il Pedante nell'estratto riportato sopra, unitamente alle disposizioni sul bail-in e alle random letter (secondo la definizione di alcuni analisti; traduzione italiana: lettere a cazzo) mandate dalla BCE a questo o quell'istituto, hanno prodotto lo stesso risultato.
Prendiamo la fatidica Popolare di Vicenza, che con ogni probabilità verrà ricapitalizzata dal Fondo Atlante a 0,10 Euro ad azione (ne parla diffusamente, e bene, questo post di icebergfinanza).
Si tratta dell'ennesimo aumento extradiluitivo che interessa le aziende italiane: dopo Mps (che in queste cose non manca mai) e dopo Saipem.
Per chi non lo sapesse, extradiluitivo significa questo:



In altri termini: le nuove azioni sono emesse ad un prezzo talmente basso (ma quelli fichi dicono, con un tale sconto sul TERP) che quelle in circolazione perdono quasi integralmente di valore, per cui gli azionisti della società o mettono soldi freschi, che spesso non hanno (o non vogliono più mettere in un cadavere), oppure vedono il valore del proprio investimento sostanzialmente azzerarsi (a meno di non riuscire a vendere i diritti di opzione a valore teorico, eventualità con probabilità molto vicina a zero, o le azioni stesse, cosa tecnicamente molto difficile in quanto a certe condizioni potenzialmente remunerativa, come spiego sotto).
Si riduce il flottante, o addirittura si azzera, e ci si toglie di torno a prezzo relativamente basso un sacco di rompiballe. Il capitalismo perfetto.
Ma non basta. A volte le manine di chi sa come funzionano certi meccanismi sono talmente abili da guadagnare anche sulle disgrazie (altrui).
Ecco cosa dice Consob con la consueta nonchalance: "vista la notevole riduzione del prezzo ex, a parità di ammontare monetario investito, il numero di azioni che è possibile acquistare si incrementa
notevolmente. Poiché il numero di azioni in circolazione è però pari all'ammontare pre-aumento,
ciò può generare un eccesso di domanda sull'offerta e quindi un incremento del prezzo". Si chiamano "anomalie rialziste", amplificate dal fatto che, sempre secondo Consob, "alcuni investitori potrebbero essere indotti ad acquistare il titolo confidando nel fatto che il prezzo salirà ancora e loro potranno quindi 'sfruttare' il trend rialzista...". Infine, "se, a seguito dell’anomalo trend rialzista..., il prezzo del titolo supera gli strike price delle opzioni call in essere, chi ha comprato tali strumenti derivati trova conveniente esercitarli. Chi ha venduto opzioni e viene esercitato dalla controparte quasi certamente non possiede un numero sufficiente di azioni da consegnare, in quanto il lotto di ciascun derivato è stato incrementato a seguito dell’avvio dell’aumento, ed è quindi costretto a comprare i titoli mancanti sul mercato alimentando così il trend rialzista...".
(Per una spiegazione più approfondita, v. qui).
Bene? No, male. Perché la compravendita di piccole quantità di azioni sul mercato diviene difficilissima (ma tanto, dice Consob, per il futuro famo er rolling), mentre le grandi banche d'affari si rivolgono ai grandi azionisti per porre in essere operazioni, assai remunerative, di prestito titoli. E tanti saluti alla trasparenza e alla parità di trattamento.
La tabella, sempre Consob, spiega tutto.
L'amorale della favola è sempre la stessa.
Le asimmetrie legislative, o informative, o tecnologiche comprimono in ogni ambito economico gli spazi di democrazia intesa in senso lato (talvolta detta concorrenza, talvolta libero mercato, talvolta giustizia).
E lo fanno passare, con il consenso di tutto, come libera impresa.

Nessun commento:

Posta un commento