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mercoledì 13 aprile 2016

Atlant(id)e

E così abbiamo fatto l'operazione "di sistema" (qui un post fondamentale sulla questione, da goofynomics).  Le ultime sono state - a memoria - Telecom e Alitalia, e ognuno ne conosce gli esiti. Ah, per chi non lo sapesse: come "riforme strutturali" significa norme per metterlo in tasca ai lavoratori (Alberto Bagnai dixit), "operazione di sistema" significa operazione con finalità prettamente politiche e non economiche, senza alcun fondamento finanziario e rigorosamente fuori tempo massimo.
Dunque, la distruzione della domanda interna perpetrata da Monti e i suoi fratelli (prima responsabile dell'esplosione dei crediti deteriorati delle banche nel nostro Paese), le regole sempre diverse e stringenti imposteci dalla BCE (ne abbiamo parlato qui e qui), la valutazione del valore di mercato delle sofferenze attorno al 20% del nominale invece che al 40% come risultano nei bilanci degli istituti (valutazione che ha portato al fallimento di Banca Etruria e all'aumento di capitale di Banco Popolare in vista della fusione con Popolare di Milano, oltre che all'offerta di Apollo a Carige), hanno messo il sistema finanziario italiano in perenne crisi sistemica.


In un anno chi è andato bene ha perso il 30%, chi è andato male è arrivato all'80% (la media è attorno al 40%, tanto per dire). Maglia nera, ovviamente, la "regina delle sofferenze" Montepaschi (il cui CDS - cioè il "termometro" del rischio fallimento di un emittente - è arrivato a 575 bps., rispetto ai 250 bps. circa di inizio anno). In più, la bad bank versione topolino partorita dalla montagna del Ministero dell'economia (la GACS)  non è servita ad accelerare la cessione a terzi dei crediti problematici e la connessa derecognition dei medesimi dai bilanci degli Istituti.
In questa situazione, ecco arrivare anche gli aumenti di capitale richiesti dalla BCE - con letterine come quella qui accanto - a Veneto Banca (un miliardo di Euro) e a Popolare di Vicenza (un miliardo e sette). Faccio notare che si tratta di due popolari trasformatesi per forza di cose, in tutta fretta, in società per azioni. Il che fa anche capire il motivo vero di una riforma a suo tempo spacciata come un tentativo generoso e visionario di modernizzazione della foresta pietrificata.
Ora, anche Matteo - che pure di solito non brilla per perspicacia - ha capito che:
(1) se questi due aumenti vanno in vacca, scatta non soltanto il bail-in dei due istituti, ma anche il panico dei risparmiatori di tutta la Penisola, con conseguente incremento del costo del funding per tutte le banche e, assai probabilmente, una vera e propria fuga dei depositi;
(2) non è ormai un segreto per nessuno che, senza interventi straordinari, questi due aumenti (quello della Popolare di Vicenza in primo luogo) andranno sicuramente in vacca.
Tra l'altro, Unicredit ha avuto l'ottima idea di garantire l'inoptato della Popolare di Vicenza: la sottoscrizione di tutto l'aumento comporterebbe, ovviamente, un assorbimento di capitale per la banca milanese talmente elevato da richiedere capitali freschi anche per la banca milanese. Si tratterebbe, a spanne, di circa 4 miliardi. L'effetto a catena è garantito.
Detto in altri termini:
cosa notoriamente impossibile (almeno secondo i cantori della moneta unica). Ecco dunque spiegata la nascita, in tutta fretta, di Atlante, cioè di un fondo che prende il nome da un tizio che ha passato la vita a tenere il mondo sulle spalle e, per ricompensa, è stato pure trasformato in pietra. Confortante, insomma.
Che deve fare Atlante?
Non i profitti: del fondo si è detto di tutto, ma la cosa più importante per un investitore - cioè i ritorni attesi - non erano stati indicati neppure nel documento informativo presentato in fretta e furia la settimana scorsa (che dovrebbe essere riservato, ma che tutti conoscono). L'ultima versione pare prevede un IRR attorno al 6%.
Deve, invece, assolutamente sottoscrivere gli aumenti di Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, e infatti la dotazione del minima del fondo era di 3 miliardi (ora siamo a 4 miliardi e mezzo, dicono i bene informati). Poi, se ce la fa, deve anche comprare un po' di tranche junior di cartolarizzazioni di NPL, pagandole possibilmente attorno a 40c invece che a 20c, in modo da rivitalizzare un mercato asfittico.
Resta secondo me irrisolto il macigno Montepaschi, cui di certo non basta qualche cessione di crediti deteriorati. Certo, una cosa è se Atlante riesce a sbloccare, come mi pare più plausibile, una decina di miliardi di sofferenze, una cosa è se arriva a 20 miliardi, come scrive Il Sole.
Forse anche per questo il fondo apre uno spiraglio anche ad altre operazioni di ricapitalizzazione, ivi comprese operazioni di rafforzamento mediante emissione di strumenti ibridi (la risma peggiore di subordinati, in cui Mps ha già fatto la parte del leone con l'emissione, a suo tempo, del Fresh, strascichi giudiziari compresi). In mancanza di ulteriori soci da imbarcare, il fondo potrebbe andare a leva, ma l'indebitamento massimo - almeno a quel che consta - non è stato ancora stabilito. Come non è stata ancora stabilita, sempre a quel che consta, neppure l'esposizione massima su un solo investimento. Non sono chiari neppure i sottoscrittori: sicuramente Intesa (un miliardo) e Unicredit (un altro miliardo), qualche fondazione bancaria (tra cui per certo Cariplo e San Paolo con 100 milioni a testa), la CDP (mezzo miliardo). Altri? Altre fondazioni bancarie per 300 milioni (quali?), altre banche per 700 milioni (chi?), assicurazioni imprecisate (700 milioni).
Tutto chiaro.
Il Fatto Quotidiano non ha per nulla torto.
Qualche brevissima considerazione.

Uno. La costituzione in fretta e furia di un fondo del genere, per le motivazioni sopra esposte, è la più clamorosa ammissione che il governo potesse fare in ordine alla rischiosità intrinseca non di questo o quell'istituto, ma del sistema bancario nazionale nel suo complesso.
Se passa questo concetto, il fondo Atlante - invece di reggere il sistema bancario - finirà per affossarlo. Atlantide, più che Atlante.

Due. Io Padoan poraccio lo capisco. Lui cerca di fare del suo meglio. Dunque il nuovo mantra, già diffuso su tutti i mezzi di comunicazione, è quello di non dire, semplicemente, "Atlante", o "il fondo Atlante", ma di ribadire sempre "il fondo privato".
La curva, che non ha veramente cuore, si è scatenata.

Il problema, al solito, è quello di evitare di cadere nella trappola degli Aiuti di stato. Si ricorderà, sul punto, la dotta discussione:


la quale, nel frattempo, si è peraltro arricchita di qualche ulteriore importante corollario. Quello più interessante è ovviamente questo:
Comunque, siccome noi siamo sempre più realisti del re, abbiamo detto: "facciamo un fondo gestito da una SGR non statale, che costituisce un fondo chiuso cui aderiscono soggetti quasi tutti non statali, e almeno a 'sto giro non ci spaccheranno i marroni".
Giusto? Non è detto. Infatti, più volte la Commissione si è arrogata il diritto di interpretare in maniera molto ampia il concetto di "Aiuto di Stato", fino a concludere che rientra nella fattispecie qualsiasi intervento, anche apparentemente privato, non soltanto ove posto sotto il controllo pubblico (caso Tercas), ma anche ove lo stesso sia, in qualche modo "imputabile all'amministrazione statale", sulla base di una serie di indicatori sintomatici - non sempre chiarissimi - di origine giurisprudenziale (la pubblica amministrazione può interferire nella decisione, o la società privata che agisce ha in realtà una coloritura pubblicistica, o ancora detta società non agisce in un mercato concorrenziale, ovvero l'autorità pubblica ha il controllo sull'attività della società privata che agisce, e così via: CGCE, C-482/99, Stardust, §§ 54 e ss.; Trib. I istanza, T-358/94, Air France, §§ 57 e ss.).
Ora, mettiamo il caso che la buona Margrethe Vetsager decida di essere un po' più rigida del normale: cosa potrebbe accadere, visto che un principio fondante del sistema introdotto con la Direttiva BRRD è che, perché possano essere utilizzate risorse pubbliche, è prima necessario che vi siano perdite imposte ai creditori della banca? Accadrebbe, di nuovo, il bail-in degli istituti.
E tanti saluti a Atlante.
L'articolo apparso sul Financial Times di ieri non è molto tranquillizzante in questo senso. E neanche questo tweet.
Tre. A questo punto, sorge spontanea la domanda. Ma se la presenza di CDP crea tutti questi problemi, che c'è entrata a fare nel fondo? Un po', è inutile girarci intorno, per dare una specie di "garanzia statale" all'operazione, un po' anche perché, più di tanto, le banche private non ci possono mettere, pena il rischio di intaccare il loro stesso Capitale di vigilanza (CET1). Infatti, così come le partecipazioni incrociate fra banche comportano deduzioni dal CET1 (lo abbiamo visto sopra), ugualmente un ammontare di partecipazioni minoritarie superiore al 10% dello stesso CET1 impone di apportare al calcolo di esso determinate deduzioni. E, tra quelle già detenute e il miliardino in Atlante, ISP e UCG iniziano a tirare la corda.
Ecco perché l'intervento di UBI (cui si applica, davvero molto bene, il detto: "medice, cura te ipsum"), ecco perché l'intervento delle Fondazioni, ecco perché - come detto - anche l'intervento della Cassa Depositi e Prestiti.
Si scopre qui, allora, il nocciolo della questione.
Qui si tratta di alcune banche, messe meno peggio di altre, che cacciano soldi per rimettere in sesto gli istituti più disastrati, onde evitare che questi ultimi, seminando il panico fra i risparmiatori, facciano saltare (anche il loro) banco. Ma il rischio, forse più concreto di quanto percepito, è che in questo modo non si risolvano tutti i problemi, se ne creino di nuovi, anche più pericolosi, e si creino interdipendenze fra istituti potenzialmente esiziali. E infatti ieri Intesa e Unicredit hanno sofferto molto in borsa,
Riporto il FT sopra citato: "Silvia Merler, collaboratrice del think-tank Bruegel, dice che l'idea di avere un fondo finanziato da banche per sottoscrivere l'inoptato di altre banche è pericoloso... Wolfango Piccoli, di Teneo Intelligence, dice che... il piano... conferma la mancanza di una strategia unitaria, a trecentosessanta gradi, su come supportare il settore bancario...". Amen. (Certo poi è ovvio che anche il FT ha i suoi buoni interessi a prendere una posizione, piuttosto che l'altra).
Non sto a dire che in quel di Bruxelles, certi collegamenti, soprattutto qua già da noi corretti e amorali periferici, non li amano granché.
Riepiloghiamo. Io non ho il dono della sintesi. Ma c'è chi ce l'ha per me.

Quattro. Infine una considerazione di folklore. Certo, in questo contesto, non la più grave.
Lascio al fantastico Marco Palombi lo svolgimento del tema (e mi scuserà per la violazione del copyright).



POI MAGARI VA TUTTO BENE, GLI AUMENTI DI CAPITALE DI RIFFA O DI RAFFA SI FANNO E IL MERCATO DEGLI NPL RIPARTE.
MA, CERTO, SIAMO AL RISCHIA TUTTO.

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