Che il Jobs Act non funzioni lo abbiamo già visto citando un lavoro di Marta Fana che ha avuto un'eco importante. Il fatto però che analisi molto simili - le nuove norme sul lavoro non riducono il precariato, chi ha assunto lo ha fatto non per il contratto a tutele crescenti ma per gli incentivi fiscali, si assume non sulla base di norme giuslavoristiche bensì relazione alla propria visione della situazione economica prospettica - siano fatte anche dal New York Times lascia - almeno secondo me - piuttosto stupefatti.
Di seguito un articolo che, lancia in resta, attacca a tutto campo la stessa filosofia del Jobs Act. Evito qualsiasi commento perché, obiettivamente, c'è poco da commentare.
Quando, questo mese, i dati sulla disoccupazione italiana hanno segnato il punto più basso da tre anni a questa parte, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha dichiarato trattarsi della prova del successo del Jobs Act, la propria riforma-bandiera del mercato del lavoro
Tuttavia, una lettura più attenta dei numeri dimostra che il Jobs Act non ha funzionato poi così bene. I dati dell'ISTAT evidenziano che, dopo l'entrata in vigore della riforma fra gennaio e marzo del 2015, i posti di lavoro a tempo indeterminato - che la legge avrebbe dovuto incrementare - hanno subito una stagnazione, mentre quelli precari - che il Jobs Act avrebbe dovuto eliminare - hanno continuato a crescere.
Non solo: la modesta crescita del tasso di occupazione non è dovuta ad un incremento dei posti di lavoro per i giovani, bensì agli effetti della riforma delle pensioni realizzata dai governi precedenti, che ha comportato un aumento dell'età pensionabile ("Riforma Fornero").
Renzi ha puntato tutto, in relazione alla sua credibilità, su una riforma che - ha promesso - avrebbe creato posti di lavoro e dato finalmente ai giovani la possibilità di un lavoro stabile, non più precario. Egli continua ad essere il più strenuo difensore delle sue riforme: "i numeri sono più forti delle opinioni; un anno fa avevamo la disoccupazione al 13% ed oggi è all'11,5%", ha scritto il 4 dicembre scorso.
Il Jobs Act ha ridotto le limitazioni ai licenziamenti per le grandi imprese ed al a contempo offerto generosi incentivi fiscali alle aziende che assumessero lavoratori con nuovi contratti a tempo indeterminato (peraltro garantiti da minori tutele). Secondo Renzi, le imprese sono meno riluttanti ad assumere personale, se sanno di poterlo licenziare più facilmente. Gli incentivi avrebbero posto fine a una situazione in cui la maggior parte dei giovani sono impiegati con contratti precari di breve termine.
MEGLIO L'ANNO SCORSO
Dopo il varo della riforma, con un'economia tornata timidamente a crescere, sono stati creati 83.000 nuovi posti di lavoro netti tra gennaio e ottobre. Nel medesimo periodo del 2014, però, con un'economia al terzo anno consecutivo di recessione e sotto le precedenti norme di diritto del lavoro, il numero di nuovi posti di lavoro toccò quota 174.000... più del doppio! Gli occupati, invero, si sono ridotti di 39.000 unità ad ottobre dopo un calo di 45.000 a settembre.
"Il Jobs Act non serve a niente" dice Alessandro Vergili, gestore di un vivace bar aperto un paio di anni fa nel centro di Roma "Quello di cui abbiamo bisogno è una minore pressione fiscale, utenze meno care, un sistema bancario che torni a fare credito". La ripresa economica, secondo Vergili, è ancora troppo fragile per assumere nuovo personale o anche solo per trasformare i rapporti precari in rapporti a tempo indeterminato.
All'estremità opposta in termini di grandezza sta la multinazionale Brembo, leader nella costruzione di freni per auto, che impiega 7.800 operai in tutto il mondo, di cui 2.950 in Italia. Paolo Ferrari, capo del personale, definisce "molto positivo" il Jobs Act - un punto di vista comune tra i maggiori industriali - ma non un "fattore determinante" rispetto alla decisione di assumere, quest'anno, 200 persone, due terzi delle quali con contratto a tempo indeterminato.
"Li avremmo assunti comunque" dichiara. "Gli affari vanno bene e le assunzioni dipendono dalla crescita in termini di investimenti, innovazione e produttività, non dal Jobs Act".
La multinazionale delle calzature Tod's dichiara di aver assunto 432 persone nel 2015, di cui 290 con contratti a tempo determinato. L'impresa ha accelerato la conclusione di alcuni contratti a tempo indeterminato per usufruire degli incentivi fiscali, che dopo quest'anno andranno lentamente esaurendosi.
LA RESA
I dati ISTAT's mostrano che il tasso di disoccupazione - che considera soltanto coloro che cercano attivamente un lavoro - è scesa drasticamente da giugno essenzialmente perché migliaia di disoccupati hanno perso la speranza di trovare un lavoro ed hanno dunque semplicemente messo di cercarlo.
Quest'osservazione è confermata dal fatto che la forza lavoro - la somma di coloro che lavorano o cercano lavoro - è calata in ottobre ai minimi da più di tre anni.
Il Jobs Act è una legge contestata. Le grandi aziende hanno salutato con favore le agevolazioni fiscali e l'allentamento delle restrizioni ai licenziamenti, mentre per i sindacati la maggior facilità di licenziamento ha minato i diritti fondamentali dei lavoratori. Secondo alcuni economisti le nuove norme attrarranno investitori stranieri, mentre secondo altri ciò che effettivamente servirebbe per incrementare l'occupazione sono investimenti in formazione e tecnologia e - come in Germania - un collegamento più stretto fra scuole, università e mondo del lavoro. Un critica comune riguarda l'inapplicabilità delle nuove norme a chi un lavoro lo ha già, nonché ai dipendenti pubblici.
Renzi ha vinto la resistenza della sinistra del suo partito, promettendo per quest'anno quasi 2 miliardi di Euro di denaro pubblico in incentivi finanziari per le imprese che assumono. Per Michele Tiraboschi, docente di diritto del lavoro presso l'Università di Modena, normalmente sono necessari quattro o cinque anni per valutare i pieni effetti di una riforma del lavoro. Renzi, che affronterà prima le elezioni, insiste sul fatto che il Jobs Act sta già producendo risultati. Egli sottolinea il numero di persone assunte con il nuovo contratto a tutele crescenti e cita i dati mensili pubblicati dal Ministero del lavoro e dal'INPS.
Tuttavia, soltanto l'ISTAT predispone statistiche che considerano l'intera forza lavoro ed utilizza una metodologia internazionalmente accettata. E secondo l'ISTAT, da dicembre 2014 (l'ultimo mese prima degli incentivi) i nuovi contratti a tempo indeterminato, netti, mostrano un incremento di circa 2.000 unità, cioè un dato statisticamente trascurabile. Se poi consideriamo i dati da marzo, quando è entrato in vigore il contratto a tutele crescenti, il numero dei contratti a tempo indeterminato si è addirittura ridotto di 23.000 unità. Di contro: i contratti a tempo determinato - cioè proprio quei contratti che il Jobs Act avrebbe dovuto scoraggiare - si sono incrementati di 178.000 unità da inizio 2015, di 190.000 da marzo; l'occupazione degli over-50 è aumentata di 186.000 unità a causa della riforma pensionistica del 2012, mentre i posti di lavoro degli under-50 si sono ridotti di 103.000 unità.
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