Non a caso, quando vedo nelle sedi sindacali la bandiera con le stelline (il manto della Madonna: cosa che a me fa doppiamente male) reagisco così:
@VaeVictis Ieri ero alla CGIL. Sul bancone, volantini contro i tagli a sanità e patronati. Accanto, la bandiera UE. Preso subito Plasil.
— Luca Fantuzzi (@Luca_Fantuzzi) 3 Dicembre 2015
Siccome so che siete miscredenti e quando si afferma senza prove tendete ad alzare il sopracciglio, peggio di un San Tommaso qualunque, oggi porto le prove. Traduco, qui di seguito, un breve estratto del Bollettino Economico BCE n. 8 del 2015 (l'originale, lo trovate qui: guardatelo tutti, anche chi l'inglese lo fischia, perché nella traduzione - in quanto incapace informatico - non ho riportato i grafici e le tabelle. Ora una versione completa è pubblicata da "voci dall'estero").Le profonde riflessioni dei nostri euroburocrati le trovate in corsivo grassetto, le mie povere considerazioni in tondo.
Si analizza il ruolo delle riforme strutturali e delle regolamentazioni del mercato del lavoro nel processo di adeguamento dei salari nell'Eurozona, con un focus sulla riduzione della rigidità salariale. Oltre alla possibilità che la produttività dei lavoratori si riduca in dipendenza della riduzione degli stipendi, come sostenuto dalla teoria dell’efficienza dei salari, la rigidità verso il basso dei medesimi ha altre importanti conseguenze macroeconomiche.
(Notare: fare deflazione salariale ha tante belle conseguenze macroeconomiche, ma ne ha soprattutto una, cioè quella di distorcere la corretta allocazione dei fattori produttivi, con conseguente sovrastima del fattore lavoro e connessa riduzione dell'efficienza del medesimo: della questione ha parlato di recente Alberto Bagnai).
L’evidenza empirica sembra essere a sostegno della tesi secondo cui l’aggiustamento del mercato del lavoro è più lento quando i salari sono rigidi e che le riforme strutturali possono facilitare detto processo di aggiustamento. Sembra che la reazione dei salari al tasso di disoccupazione nell’Eurozona vari in modo significativo in diversi periodi di tempo. Nel periodo di forte crescita del PIL che ha preceduto la crisi, i salari hanno reagito in modo relativamente sensibile alle variazioni del tasso di disoccupazione. Di contro, nella prima fase della crisi (la “Grande Recessione”), questo rapporto si è indebolito sostanzialmente, mostrando una probabile rigidità verso il basso delle remunerazioni dei lavoratori. La reattività dei salari alla disoccupazione si è rafforzata nuovamente durante la seconda fase della crisi (da fine 2011), ma in misura ancora notevolmente più debole rispetto al periodo pre-crisi.
(...e l'acqua bolle a 100 gradi. Dieci righe per dire che, all'inizio della recessione, i salari non sono scesi immediatamente, mostrando una certa tendenza alla rigidità, ma che anni e anni di crisi nera, uno di fila all'altro, alla fine sono riusci a fare breccia. Sottolineo come, tra le righe, si legga un certo dispetto, ed anche tutto sommato incomprensione, per il tentativo dei lavoratori di non farsi tagliare lo stipendio ad ogni accenno di perdita di quote di mercato).
Le differenti reazioni dei salari, rispetto al variare del tasso di disoccupazione, in relazione a diverse fasi del ciclo economico sembrano spiegarsi, almeno in parte, con la rigidità dei salari verso il basso che caratterizza i vari Paesi dell’Eurozona. Le prove, in ambito micro, della rigidità salariale sono relativamente solide e supportano la constatazione della difficoltà di tagliare i salari. Questo viene confermato anche dai recenti risultati della terza serie di sondaggi a livello delle imprese condotta dal Wage Dynamics Network. A livello macro, Heinz e Rusinova (2011) mostrano che i salari sembrano essere meno reattivi alla disoccupazione in presenza di un “divario positivo” della disoccupazione. Ciò è confermato da un recente studio di Anderton e Bonthuis (2015), che mostra una minor capacità di risposta verso il basso dei salari a seguito di una maggiore disoccupazione durante le fasi di contrazione economica… L’andamento nel tempo del parametro di rigidità dei salari stimato da Anderton e Bonthuis (2015)… suggerisce che la rigidità dei salari verso il basso si sia ridotta col protrarsi della crisi.
Le regolamentazioni del mercato del lavoro sembrano giocare un ruolo importante nella regolazione dei salari. [Sulla base di] una panoramica delle caratteristiche di contrattazione salariale dei mercati del lavoro dell’Eurozona, si conferma una sostanziale eterogeneità tra i diversi Paesi in relazione a dette regolamentazioni. Alcuni, come ad esempio gli Stati baltici, sono solitamente definiti come “flessibili”, dato il loro processo di contrattazione salariale decentrata e la relativamente bassa densità sindacale. Molti altri Paesi dell’Eurozona, invece, sono caratterizzati da una presenza forte del sindacato (Belgio, Malta e Finlandia), un alto grado di coordinamento dei processi salariali di contrattazione (Belgio, Germania, Paesi Bassi, Austria e Finlandia) e l’imposizione di un salario minimo (Grecia, Spagna, Francia, Lettonia, Portogallo e Slovacchia). Questa situazione, soprattutto se combinata con clausole di indicizzazione e una legislazione rigorosa a tutela dell’occupazione, può causare rigidità dei salari verso il basso.
(Ecco a cosa serve il Jobs Act ed ecco a cosa serve il sindacato unico tanto vagheggiato da Matteo. Serve a rendere i salari flessibili verso il basso. Cioè, serve per tagliarvi gli stipendi. A tutti. Ai metalmeccanici, ai lavoratori del commercio - che domani e domani l'altro scioperano per un contratto scaduto da qualche era geologica e rispetto al quale si discute di aumenti da 50 Euro al mese -, ma anche ai bancari, ai lavoratori pubblici sotto forma di mancato adeguamento degli stipendi al costo della vita da mille anni a questa parte. Se poi non ci fossero neanche i sindacati a protestare, anche meglio: se proprio però si vogliono lasciare, perché insomma li cita anche la Costituzione signora mia, basta che siano come quelli italiani).
I Paesi dell’Eurozona, in particolare quelli più colpiti dalla crisi, hanno attuato programmi di riforme strutturali globali. Ciò è confermato dai cambiamenti nella legislazione a tutela dell’occupazione, dove le riforme del mercato del lavoro sono state attuate soprattutto dai Paesi in difficoltà. Queste riforme includono il decentramento della contrattazione salariale collettiva, spostata maggiormente a livello aziendale, una limitazione delle clausole automatiche di indicizzazione dei salari, un minor numero di contratti collettivi, maggiore flessibilità di orari di lavoro e una riduzione dei costi di assunzione e di licenziamento.
(Contrattazione a livello aziendale: art. 51, D. Lgs. n. 81 del 2015, se ne è parlato qui; riduzione costi di assunzione e finanziamento: D. Lgs. n. 23 del 2015 e defiscalizzazione delle assunzioni, v. qui e qui; maggiore flessibilità del lavoro: col lavoro agìl, c'est plus facìl... v. qui. Bravo Matteo, sei un gradissimo esecutore).
Le riforme del mercato del lavoro hanno il potenziale per aumentare la capacità di risposta dei salari al ristagno economico. Anderton e Bonthuis (2015), per esempio, dimostrano che, in presenza di una normativa di rigorosa tutela dell’occupazione e una forte copertura sindacale, i salari possono essere meno sensibili alla disoccupazione. Pertanto, riduzioni di questi indicatori durante la crisi possono spiegare in parte la riduzione della rigidità salariale verso il basso sopra notata. Ad esempio, Font et al. (2015) spiegano che la reattività dei salari reali alla disoccupazione in Spagna sembra essere aumentata dopo l’attuazione delle riforme del mercato del lavoro nel 2012-2013. Trovano anche che la tendenza pro-ciclica dei salari è più bassa per i lavoratori con contratti a tempo indeterminato e per i lavoratori anziani, che sono più protetti contro adeguamenti salariali in recessione economica. Inoltre, Martin e Scarpetta (2012) hanno fornito evidenza del fatto che la regolamentazione del mercato del lavoro ha effetto su una serie di altri canali di propagazione, tra cui la riallocazione del lavoro e perfino la produttività, il che può influenzare indirettamente l’evoluzione dei salari.
È molto difficile ottenere forti evidenze empiriche sugli effetti di alcuni tipi di riforma, soprattutto se si guarda l’evoluzione dei dati salariali aggregati. Le difficoltà sorgono, per esempio, nel distinguere l’impatto sui salari delle riforme dall'impatto dei cambiamenti nella composizione dell’occupazione e del consolidamento fiscale. Sono pertanto necessarie ulteriori analisi per comprendere appieno i fattori che guidano gli adeguamenti salariali nell’Eurozona nella durante i periodi di crisi.
Per migliorare la resistenza dell'economia agli shock, i salari devono riflettere adeguatamente le condizioni del mercato del lavoro e della produttività: ecco l’importanza di riforme che favoriscano una maggiore flessibilità salariale e differenziazione tra lavoratori, imprese e settori. In aggiunta ai fattori di cui sopra, una maggiore efficienza delle politiche attive del lavoro, così come una maggiore mobilità dei lavoratori all'interno e tra i Paesi dell’Eurozona, aiuteranno anche a ridurre sia i casi di incongruenza fra professionalità offerte e professionalità richieste, sia la disoccupazione strutturale, aumentando così la reattività dei salari alla disoccupazione.
(L'ultimo paragrafo deve essere letto con in sottofondo la Marcia imperiale di Guerre Stellari. Tradotto significa che, all'interno dell'Eurozona, dove non sono possibili gli aggiustamenti dei cambi e dove la monetizzazione del deficit è vietata - vietata! -, gli shock economici possono essere superati in un modo solo, cioè creando disoccupazione e, per quella via, riducendo i salari. Però, ammette la BCE, questo non basta per superare gli shock: serve anche la "maggiore mobilità dei lavoratori". Avete capito a che serve Schengen? O pensavate che fosse per farvi prendere l'aereo per Disneyworld più velocemente? E le capite, sotto questa ottica, anche certe tasse espropriative sulle abitazioni che ci sono state propinate? D'altronde, la Tinagli lo diceva chiaro e tondo...).
Bene, ora tutte queste cose la ha scritte la BCE. Ora, le sapete. Tirate voi le somme.
Ciao, vengo dal blog e lo sto studiano dagli inizi. Mal di testa a parte, diciamo che mi ha svegliato come imprenditrice. Nel gestire il mio ristorante, nei primi mesi, ho utilizzato gli strumenti contrattuali che lo stato italiano mi metteva a disposizione. Ma mi sono accorta che utilizzano dipendenti, come dire, non adeguati alla mia azienda. Fino a quando non mi è capitato il nonno. Ovvero un maitre de sale che da esodato doveva arrivare alla pensione. Da quel momento l'ho blindato con un contratto per me oneroso, ma che sta facendo la fortuna del ristorante. Addirittura mi ha fatto conoscere gente altamente qualificata che mi aiuta a fare un nome al ristorante. Non sono molti, ma non li voglio far scappare, e come tale li retribuisco. Per ora non m'importa arrivare a pareggio di bilancio (un netto di 300 euro il mese scorso, spesi in una SPA), ma ne vale la pena. Nel mio piccolo ci sono assessori, e consiglieri provinciali che frequentano il mio ristorane e si è creata una discussione che un paio di volte al mese si scatena al lunedì. Sto battagliando per far comprendere le tesi goofynomiche. E qui vengo al punto sono difficili per me, mi servirebbe un aiuto per renderle semplici, e ti assicuro che qualcuno inizia a capirle. Immagina che ho pure reso il mio tv al plasma come terminale PC per proiettare i grafici del professore.
RispondiEliminaAlcuni passaggi di Bagnai sono difficili per tutti coloro che, come me, non sono economisti. Però, leggendo con attenzione, i ragionamenti portati avanti nel singolo post e nel blog nel suo complesso si fanno sempre comprendere. E questo è, a mio avviso, il segreto della grande popolarità della sua opera.
EliminaIo, con questo blog, cerco di calare le analisi del prof. Bagnai in alcune "leggi manifesto" di questo governo, come "esempio" proprio per chi, magari, all'inizio ritiene di non essere interessato da certe dinamiche economiche.