Cerchiamo di fare un minimo di chiarezza sulla questione Autostrade, in modo da uscire dal teatro delle dichiarazioni roboanti (con i 5 stelle che - per iperbole - hanno oscurato non soltanto il PD, ma anche veri e propri pesi massimi dell'autocompiacimento come Conte e Renzi) per limitarsi ai fatti come almeno appaiono oggi.
Aspi (sigla di Autostrade per l'Italia S.p.A.) è la società concessionaria autostradale - quella cioè che ha sottoscritto la Convenzione col Ministero - ed è controllata all’88,06% da Atlantia, holding industriale con varie partecipazioni, quotata in borsa, di cui i Benetton posseggono - tramite una loro ulteriore sub-holding - il 30,25%. Il restante capitale di Aspi è detenuto dal fondo cinese Silk Road (5,00%) e da una controllata di Allianz (6,94%).
Quanto ad Atlantia, invece, gli altri soci forti sono un fondo sovrano di Singapore (8,3%), la Fondazione Cassa di Risparmio di Torino (4,9%) e due partner finanziari (Lazard e HSBC, entrambi con quote attorno al 5%.
L’accordo col governo prevede un aumento di capitale di Aspi tale per cui Cassa Depositi e Prestiti (CDP) avrà circa il 33% di Aspi stessa. In questo modo Atlantia scenderà prima a circa il 59% di Aspi e poi, cedendo a investitori istituzionali - per lo più ancora lo Stato, a quel che par di capire: Fondo F2i, o Poste - un'ulteriore quota del 22%, si attesterà a circa il 37% (di conseguenza, la famiglia Benetton avrà, in via mediata, l'11% di Autostrade). “In questo modo la famiglia Benetton non potrà più eleggere un membro in C.d.A.”, come dicono i giornali, è ovviamente una sciocchezza finché Atlantia resterà come tale in Aspi. Solo quando le azioni di Aspi di proprietà di Atlantia – tramite scissione della holding contestuale alla quotazione in borsa di Autostrade – saranno attribuite direttamente agli attuali azionisti di quest’ultima, allora i Benetton usciranno dalla stanza dei bottoni (ma, a seconda delle condizioni politiche future, non mi stupirebbe di vederli rientrare dalla finestra di un patto di sindacato).
L'accordo prevede anche alcuni punti ulteriori, che potremmo definire di blanda giustizia sociale:
- i proventi dell’operazione di scissione o di vendita delle azioni di Aspi non saranno utilizzati da Atlantia per pagare dividendi ai propri azionisti (in che termini sia strutturata la clausola, e per quanto tempo valga, non mi è dato sapere);
- misure compensative per il crollo del ponte di Genova, a esclusivo carico di Aspi (e non di Atlantia), per complessivi 3,4 miliardi di euro;
- la modifica della convenzione unica tra Aspi e Ministero, al fine di adeguarla a quanto previsto nel Decreto Milleproroghe (riduzione delle tariffe, revoca più facile, ecc.).
Ciò premesso, considerando l'indebitamento di Aspi (8.392 miliardi di euro, tra debiti verso le banche e bond a medio e lungo termine), l’aumento di capitale di CDP, più che come revoca della concessione, mi pare che assuma i contorni di un salvataggio di una impresa che, anche a causa lock-down, è in grave (ancorché temporanea) tensione finanziaria. Se poi questo salvataggio vada a favore dei lavoratori e dei creditori (banche e fondi, per intendersi), oppure anche (o soprattutto) a favore di Atlantia, dipende dal prezzo di sottoscrizione delle nuove azioni. Ad oggi, si parla di un valore post-money di Aspi di circa 9 miliardi, con un incasso, pertanto, per Atlantia di circa 2 miliardi di euro, nonché l'accollo integrale in capo ai nuovi soci del debito di Autostrade (ivi compresi i 5 miliardi garantiti da Atlantia).
Uscire da un crollo epocale e 43 morti con 600 milioni di Euro, il 10% di Autostrade e tanti problemucci legali in meno, mi pare un buon affare. Quello che è chiaro fin da ora è che, sia come sia, lo Stato pagha soldi freschi per gestire ciò che sarebbe già suo e che, tanto per cominciare, Atlantia ieri ha aumentato di un quarto il proprio valore (facendo felici sia i propri azionisti, Benetton compresi, sia eventuali speculatori, più o meno informati ovviamente).
Grazie per l'ottima informazione.
RispondiEliminaMolto interessante e chiarissimo, grazie.
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