A un osservatore superficiale del dibattito politico italiano potrebbe apparire quanto meno illogico, se non addirittura incomprensibile, la circostanza per cui, il più delle volte, i più accaniti sostenitori dell'Unione Europea e delle sue fondamenta liberiste (a partire dal dogma della concorrenza e del divieto di Aiuti di Stato) si accompagnino da un lato ai pasdaran degli obblighi vaccinali imposti per legge e dall'altro alle frange estreme del mondo no border. Lo Stato minimo che si sposa con lo Stato etico che si accompagna all'assenza di Stato.
Qualche riflessione in più, al contrario, mostra come questa convergenza di interessi - o di obiettivi - si presenti quasi come necessaria, laddove si consideri che il liberismo fondante l'UE presuppone tra l'altro (a monte) l'assoluta mobilità del fattore lavoro, la quale a sua volta può essere ottenuta soltanto dissolvendo nel meticciato etnico ma soprattutto culturale le specifiche tradizioni dei popoli europei, e comporta (a valle) l'asservimento della persona alle esigenze del mercato, il quale - lungi dall'essere limitato dallo Stato - ha trovato nello Stato un potente veicolo promozionale, soprattutto nel (de)formare la mente dei più piccoli.
"I bambini devono capire che quel che vuole lo Stato vale più di quel che vuole il papà o la mamma", ha scritto - con qualche sgrammaticatura - Ferdinando Camon in un articolo recentemente rilanciato dai social. Che è come dire: "abbiamo l'opportunità inaudita di plasmare la volontà dei bambini - ma anche dei ragazzi e, a certe condizioni, degli adulti - mediante messaggi pre-determinati per il tramite di specifici canali dello Stato". Primo fra tutti, ovviamente, la scuola.
La base teorica che sorregge l'intero fascio di opzioni teoriche (e di interessi) sopra descritto - il quale è stato ottimamente descritto sotto il nomen di "ordoliberismo" da Luciano Barra Caracciolo sia nel suo denso blog, sia nei suoi altrettanto densi libri (La Costituzione nella palude; Euro e, o?, democrazia costituzionale) - è rappresentata da un concetto tanto epistemologicamente ingenuo quanto politicamente pericoloso in quanto intimamente antidemocratico. Quello della "scienza", di cui si è occupato fra i tanti Il Pedante sia sul proprio sito (in particolare, qui) sia in un recente, interessantissimo saggio ("La crisi narrata").
Se la scienza - che, spesso, in questa visione un po' manichea delle cose è un tutt'uno concettuale con la tecnica - può dare risposte oggettive, in termini di massimizzazione dell'utilità comune, a qualsiasi problema, sia esso di politica economica, o inerente la salute pubblica, o attinente ai flussi migratori (le posizioni di Boeri, da questo punto di vista, sono illuminanti), e così via esemplificando, si deve concludere da un lato che non vi è più alcuno spazio operativo per il principio democratico (che pre-suppone una certa discrezionalità politica in merito alle concrete modalità di risoluzione dei conflitti di interesse) e, dall'altro, che il bene del singolo - laddove tale bene abbia una sua dimensione sociale - non può che subordinarsi al bene comune (inteso come massimizzazione paretiana dei "beni" di tutti e di ciascuno).
Né il proliferare dei c.d. "diritti civili" incrina questa ragionamento, ove si consideri che la maggior parte di tali diritti si pongono dal punto di vista dell'individuo-consumatore (rispetto al quale si confonde l'orizzonte delle aspirazioni con quello dei diritti) e non dell'individuo-cittadino (rispetto al quale ad un "diritto" corrisponde, normalmente, un altrui "dovere").
Su tutto questo - rispetto a cui, come accennato, molto è già stato detto (per il lato economico, si rimanda ovviamente al blog del prof. Bagnai e ai suoi due saggi divulgativi: Il tramonto dell'Euro e L'Italia può farcela) e di cui in questo post, e nei prossimi che si pensano come capitoli distinti di un medesimo discorso, si cercherà di fare un compendio (non scevro, crederei, di qualche piccola originalità) - ritorneremo più approfonditamente.
Quello che mi interessa sottolineare è come quest'opzione politica (che potremmo definire, per semplicità, burionismo - dal nome del virologo che asserisce, rimanendo serio, che "la scienza non è democratica" -, o monacellismo - dal nome del noto economista, secondo cui "la marea che sentiamo salire è quella di chi non sa ballare [cioè non ha specifiche competenze tecniche, cioè, in ultima analisi, non la pensa come lui, N.d.R.], e pretende che si spenga la musica. Ma questa musica è ineludibile, è una dato della realtà" -) appaia francamente totalitaria.
Già abbozzata da Alessandro Rosina in un livoroso articolo contro i "vecchi" che hanno votato per la Brexit (e che, essendo presumibilmente destinati a morire prima dei "giovani", non avrebbero dovuto avere voce in capitolo; si raccomanda all'Autore un rapido ripasso dell'Ecclesiaste), queste teoria ha probabilmente raggiunto la sua più chiara formulazione nel pensiero di uno (sconosciuto allo scrivente) analista finanziario, secondo cui "electoral vote should be weighted for logical and cultural skills in order to wipe out populism". Qui c'è tutto: limitazione del diritto di voto, tentativo - un po' cialtrone - di instaurazione di una non meglio definita "Dittatura degli intelligenti", creazione di un nesso teleologico spurio fra mezzi (indubitabilmente cattivi) e obiettivi (asseritamente buoni: eliminazione del populismo)
Nihil sub sole novi, per carità.
Platone (Repubblica, 562.b): "...la tirannide nasce dalla democrazia allo stesso modo in cui questa nasce dall'oligarchia... Quando una città democratica, assetata di libertà, viene ad essere retta da cattivi coppieri, si ubriaca di libertà pura oltre il dovuto e perseguita i suoi governanti, a meno che non siano del tutto remissivi e non concedano molta libertà, accusandoli di essere scellerati e oligarchici...".
Pseudo Senofonte (La Costituzione degli Ateniesi, 6): "si potrebbe sostenere che non avrebbero dovuto consentire a tutti di parlare e di decidere liberamente, ma solo agli uomini più capaci e più dotati... Se infatti esprimessero il proprio parere e assumessero decisioni persone di qualità, sarebbe un vantaggio per le persone uguali a loro...".
Polibio (Storie, VI 4,6-10): "si deve dunque ritenere che esistano sei forme di governo, cioè le tre che tutti ammettono..., e tre simili a queste, cioè la tirannide, l’oligarchia, l’oclocrazia... Quando [la democrazia] a sua volta diventa colpevole di illegalità e violenze [cioè non fa gli interessi degli aristocratici, N.d.R.], con il trascorrere del tempo si forma l’oclocrazia".
Aristofane (Cavalieri, Prologo): "noi due s'ha per padrone uno zotico strano, un mangia-fave irascibile: Popolo pniciano, vecchiettino bisbetico e sordastro. Questi, lo scorso mese, comperò un servo, il conciapelli Paflagone, furbo e calunniatore quanti altri mai. Costui, capite le debolezze del vecchio..., si fece sotto al padrone, e cominciò a lisciarlo, adularlo, raggirarlo con limbelli di cuoio putrefatto. E gli diceva: «Discussa appena una sola causa, oh Popolo, fa' il bagno, sgrana, succhia, rodi, intasca i tre oboli. Vuoi che t'ammannisca la cena?» Ed arraffato ciò che aveva apparecchiato qualcuno di noi, se ne faceva bello col padrone, il Paflagone! Non solo: quando ebbi impastata in una pila quella pizza spartana, questo fior di birba mi mise in mezzo, me la prese, e offrì lui quello che impastato avevo io! E noi ci scaccia, e non lascia che altri serva il padrone; e mentre questi pranza, gli sta vicino, e scaccia... gli oratori con una sferza di cuoio; e gli recita degli oracoli: il vecchio ne va in estasi! Quando poi te lo vede incitrullito, fa il suo mestiere; e a furia di menzogne calunnia quei di casa; e poi la frusta tocca a noialtri!...".
Quello che a me pare nuovo è invece la quasi totale assenza di anticorpi, giuridici e sociali, rispetto a queste prese di posizione. In altri termini, mi sembra che non sia più sufficiente dimostrare che i Trattati UE sono incompatibili con la nostra Costituzione, dovendosi piuttosto indagare, a livello storico e giuridico, come questa forma estrema di ordoliberismo sia potuta penetrare nel nostro Paese permeandone le Istituzioni, finanche la Corte Costituzionale.
Nei prossimi post di questa serie (che saranno pubblicati a parte, sul blog "Di Sana Costituzione") si cercherà allora di dimostrare come l'attuale contesto istituzionale sia il prodotto di una serie continua di micro-cambiamenti sia normativi sia lessicali (uno dei meno indagati, ma dei più tipici, è quello del mito della "neutralità", di cui così spesso si ammanta Sergio Mattarella) che hanno permeato, modificandolo profondamente e dall'interno, il sistema, attraverso due ferite aperte nel tessuto costituzionale sano: l'una, originaria, rappresentata dall'art. 11, Cost., la seconda, successiva, determinata dalla riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001.
Questi cambiamenti hanno, in sostanza, obliterato le più intime fondamenta della Carta del 1948, e cioè il principio personalista (art. 2: "la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sa personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale"), che logicamente comporta il principio di uguaglianza sostanziale (art. 3, c. 2), e il principio lavorista (artt. 1 e 4). Baluardi contro lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, ridotti miseramente a ruderi, offerti in sacrificio sull'altare della concorrenza e del mercato.
Si tenterà infine di dare qualche soluzione per cauterizzare queste ferite, consci che i tentativi meramente interpretativi de iure condito, ancorché eleganti, ancorché meritori, peccano tuttavia di astrattezza, e di scarso utilizzo del principio di realtà. Solo un intervento serio e profondo de iure condendo, accompagnato dalla riaffermazione di un sistema valoriale condiviso, potrà invertire la rotta.
Vaste programme!
Bravo Luca!
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