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lunedì 11 luglio 2016

Montepaschi #1

Le banche italiane sono ancora, nel loro complesso, banche commerciali seppure despecializzate (nonostante che in Italia la tanto oggi vituperata, ma all'epoca magnificata, banca universale sia arrivata con sei anni di anticipo sugli stessi Stati Uniti, grazie - neanche a dirlo - alla solita Direttiva Europea). In altri termini, guadagnano prestando denaro. Se questi istituti si trovano ad operare in un contesto di deflazione, in cui gli investimenti sono sempre procrastinati e gli spread sul credito sono ridotti quasi a zero, è impensabile che facciano profitti. Non facendo profitti, tendono a erodere capitale e, quindi, a dover ridurre gli impieghi per rispettare i parametri di Basilea (è quello che i banchieri chiamano deleveraging), soprattutto quando le condizioni economiche non permettono di lanciare significativi aumenti di capitale. Ridurre gli impieghi, d'altronde, è un modo simpatico per dire che si chiede il rientro, spesso anche immediato, di posizioni debitorie di imprenditori solvibili. Con due conseguenze: la prima, che gli impieghi che restano a bilancio sono spesso quelli più problematici; la seconda, assai più grave, che si crei significativa tensione finanziaria in capo a imprese altrimenti sane, col rischio che anche queste entrino in una spirale che porta, se non alla chiusura, al ridimensionamento.
Se dunque si parla dei problemi delle banche in Italia (ma lo stesso discorso vale per il resto d'Europa) non si può eludere la questione dell'Euro e dell'Unione Economica e Monetaria, che - imponendo all'economia reale una perniciosa austerità e immettendo nel sistema finanziario un flusso abnorme di denaro a tasso negativo - ha scatenato e tuttora alimenta questa difficile congiuntura. Altrimenti, sarebbe come se un medico lungamente ci intrattenesse sulla febbre di nostro figlio, ma si guardasse bene dal dire da cosa è derivata (non dico che non accada; dico però che, quando accade, il medico passa almeno un brutto quarto d'ora).
Il nostro medico si chiama, nella fattispecie, Alessandro Di Battista, già esperto di microcredito congolese e viaggi in America Latina, oggi uomo immagine del Movimento 5 stelle, il quale - in un video molto cliccato - con fare da attore consumato (molto simile, in questo, al suo mentore Beppe) ci ha illustrato i danni perpetrati a Mps da Mussari e tutti i suoi sodali del PD.



Ora, quello che dice Di Battista è, nella sostanza, corretto (anche se confonde prestiti e sponsorizzazioni, ma insomma tutto fa brodo). Mussari era assolutamente inadeguato a ricoprire il ruolo che aveva? Assolutamente sì. Il PD ha utilizzato, negli ultimi anni, Banca Mps per i propri scopi, fregandosene di una sana e prudente gestione? Verissimo. Il Patto del Nazareno è nato a Siena col nome di Groviglio armonioso? Ci si può scommettere.
Il problema è che Di Battista, però, non parla delle questioni veramente cruciali: la rigidità di cambio imposta con l'UEM, la "distruzione della domanda interna" voluta da Monti, una crisi di debito privato curata come una crisi di debito pubblico. Questa è la discussione fra il sullodato Senatore e Alberto Bagnai. La differenza (in termini di perspicuità e di chiarezza) delle argomentazioni di quest'ultimo rispetto a quelle di Dibba è molto chiara.



Bene. Questo sia detto per le generali.
Veniamo ora al caso specifico di Montepaschi e cerchiamo di vedere se il frame #HaStatoMussari (tipico di parapolitici e pseudogiornalisti senesi) oppure #HaStatoPD intendendo quel PD (portato avanti da simpatici oppositori gatekeepers) sia in qualche modo fondato.
Il grafico relativo al trend percentuale di sofferenze, incagli e altri crediti deteriorati mi sembra abbastanza eloquente.


Ancora meglio, se ci limitiamo al trend percentuale dei crediti deteriorati lordi.


Come si vede, al netto di un piccolo "scalino" tra 2007 e 2009, dovuto all'incorporazione di Antonveneta in Montepaschi, è dopo il 2011, cioè dopo la "cura Monti", che il problema dei crediti problematici di Mps esplode. Ricordo che Mussari ha lasciato la Banca nel 2012. Dunque #HaStato anche Profumo, o Viola, a volerla mettere da questo punto di vista.
Aggiungo una questione che ho accennato sopra. Il trend sopra rappresentato indica valori percentuali. L'incremento, spettacolare fra 2011 e 2014, dell'incidenza percentuale dei crediti problematici deriva anche dalla riduzione dello stock degli impieghi del Monte dei Paschi negli stessi anni, determinata appunto dalla scarsa redditività della banca (del sistema bancario) sopra ricordata.
Sulla questione ritornerò. Per ora basti il grafico.


Mi sembra inoltre interessante notare come la situazione di Mps sia particolarmente grave (anche, ci mancherebbe, per reiterati episodi di mala gestio), ma si situi all'interno di un trend che è quello dell'intero sistema finanziario italiano. In altri termini, se Montepaschi è la pecora nera, è anche perché il pastore ha contribuito a renderle tutte grigie.


Il problema, dunque, non è la sponsorizzazione al Circolo Tennis di Orbetello, né che "sulle banche ci mangiano" (chi?, come?, boh), ma che il sistema produttivo del nostro Paese è stato travolto dal cataclisma del governo Monti e dei due successivi, tutti volti a comprimere la domanda interna, a flessibilizzare il lavoro, a ridurre i salari.
Cataclisma che, ovviamente, non deriva da una psicopatologia dell'ex Presidente del Consiglio, ma dal fatto che, quando non si può svalutare la moneta (perché la moneta è una per tutti, come i tre moschettieri), per forza di cosa si svaluta il lavoro (© Bagnai).
Ciò detto, mi sembra evidente che i crediti deteriorati di Montepaschi erano uno sproposito - per dire - anche nel 2014, ma nessuno se ne interessava.
Tutti distratti? In parte sì, ma non solo. Il panico - anche borsistico - si è infatti diffuso soltanto tra la fine del 2015 e l'inizio del 2016.
Guarda un po', proprio quando da un lato il nostro governo - in accordo con le autorità europee - ha deciso di valutare gli NPL al 20% e non al 40% come sono normalmente valutati nei bilanci bancari, e dall'altro sono entrate in vigore le nuove regole sul bail-in. Che si sarebbe trattato di un mix letale, non era difficile accorgersene. Né per gli addetti ai lavori, né per gli altri. In seguito, con una serie di letterine definite dagli analisti random (e dai non analisti ad minchiam), la BCE ha ancor di più drammatizzato il problema, pretendendo standard anche di copertura uguali per tutti gli istituti, senza badare al caso concreto.
Ma questa questione, così delicata, vale un altro post.


Nel frattempo, iniziano ad uscire indiscrezioni a raffica sul presunto "salvataggio".
In sostanza, Atlant(id)e si comprerebbe - anche grazie alla "leva" della GACS e a "risorse aggiuntive", pare un paio di miliardi, immessi da CDP e da SGA (di cui prima o poi dovremo parlare, è veramente una storia edificante, quasi un apologo) - quasi 28 miliardi di sofferenze lorde di Montepaschi, cioè 9 miliardi e 600 milioni netti, a un prezzo pari a circa il 28% del loro nominale.
Poiché attualmente il tasso di coverage degli NPL di Mps è al 63% (che è come dire che i medesimi NPL sono valutati in bilancio al 37%), la banca dovrebbe portare in bilancio - nella migliore delle ipotesi - un miliardino e mezzo di perdite. Secondo Il Messaggero, tuttavia, l'acquisto potrebbe anche avvenire a prezzi di bilancio, laddove circa 3/4 delle sofferenze potessero accedere alla GACS in quanto di classe senior (mi pare uno sproposito, ma se lo dicono loro...): in questo caso si tratterebbe per Atlante di negoziare un prestito ponte di 6 o 7 miliardi di Euro, che vuoi che sia. Pare che JP Morgan sia già in pole position (sì, sì, quella JP Morgan).
Comunque, per ovviare alla questione di eventuali perdite, si ventila come molto probabile l'emissione di un "Padoan Bond", o di qualcosa di simile (in sostanza, un coco bond), sottoscritto dallo Stato, per - sempre si presume - 3 o 4 miliardi. Il fatto che proprio un annetto fa Mps abbia ripagato proprio al Tesoro una obbligazione analoga è, va da sé, del tutto casuale. Come è casuale che, con la restituzione di quella obbligazione, venissero meno i tetti fissati in accordo con l'UE alle retribuzioni di amministratori e manager. Alcuni giornali, stamattina, parlavano addirittura di un aumento di capitale, in parte sottoscritto dallo stesso Atlante, in parte garantito dalle banche (le solite: Citi, JP Morgan...). Vedremo.
Comunque, come in ogni favola che si rispetti, alla fine arriva il principe azzurro.
UBI.
Sì, UBI. Si possono fare i conti più disparati, ma penso che a chiunque mastica della faccenda sia evidente che, da un'aggregazione di questo genere, anche dopo la cessione degli NPL di Montepaschi ad Atlante, l'acquirente ne uscirebbe: (i) con rapporti fra sofferenze e impieghi leggermente peggiori degli attuali, o comunque sicuramente non migliori; (ii) con un ammanco di capitale tra i 2 e i 3 miliardi (assumendo che Montepaschi sia pagata zero, cioè quanto vale attualmente).
Ci mette lo Stato anche quelli?


Leggo stamani questo post, davvero molto bello chiaro e ben scritto, che espone un grafico illuminante sulla questione.


E tanto basti.

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