Insomma, alla fine pare che la soluzione prescelta per dare ancora un po' di ossigeno al malato terminale Montepaschi (con ogni probabilità unico bocciato agli esami truccati degli stress test) sia quella "di mercato", ammesso che - nel pasticciaccio brutto che sta diventando la gestione del sistema finanziario italiano - questo termine abbia ancora un qualche senso.
Nella pratica Atlante, una volta rimpinguato di nuovi capitali (500 milioni dalle Casse di previdenza, 1 miliardino da SGA e CDP, qualche altro soldarello ancora da Unicredit e Intesa, tanto son messe bene), dovrebbe acquisire 9 miliardi e 600 milioni di sofferenze nette della banca, a un prezzo non di molto sotto di quello di mercato, "creando" così un ammanco di capitale per Mps stimabile tra i 2 e i 3 miliardi di Euro. Ne abbiamo diffusamente parlato in calce a questo post.
La BCE, dicono, ha chiesto uno sforzo ben maggiore, diciamo pure doppio. Nel frattempo, il governo preme su UBI perché faccia da cavaliere bianco e si mangi tutto il boccone, rimanendone prevedibilmente strozzato. A volare sulle carogne sta già l'avvoltoio (sotto forma di garante dell'eventuale aumento, nonché - udite udite - di emittente del prestito ponte da 6 miliardi tondi tondi che servirà a Atlante in attesa della cartolarizzazione GACS): JP Morgan.
Non è detto che poi tutto finisca in qualcosa di più opaco, una soluzione mista che preveda lo spezzatino di parte della rete Mps (UBI che si prende Antonveneta, Banco Popolare che si prende il brand della Banca dell'Agricoltura: vedi qui) e un aumento ridotto.
Non è secondario, peraltro, sottolineare ancora una volta che questa sedicente "operazione di mercato", se sarà portata a termine, andrà a spese dei pensionati che versano nelle casse previdenziali diverse dall'INPS (leggi: professionisti). Che poi queste Casse siano controllate dal Ministero dell'Economia, che è anche socio di Montepaschi, è un dettaglio insignificante.
E cioè: se l'art. 32 della Direttiva BRRD, cioè della Direttiva che ha istituito il bail-in, permette (laddove la banca necessiti "di un sostegno finanziario pubblico straordinario... al fine di evitare o rimediare a una grave perturbazione dell’economia di uno Stato membro e preservare la stabilità finanziaria") che lo Stato provveda ad "una garanzia dello Stato a sostegno degli strumenti di liquidità forniti da banche centrali... [o] sulle passività di nuova emissione", oppure a "un'iniezione di fondi propri o all'acquisto di strumenti di capitale a prezzi e condizioni che non conferiscano un vantaggio all'ente...", perché il governo italiano ha deciso non solo di non sottoscrivere un eventuale aumento di capitale di Montepaschi ma, pare, neppure di garantirlo?
Eppure Rodomonte da Rignano aveva ben preso questa strada! A Siena - freschi freschi della carriera appena corsa - già si esultava, anche se sottovoce per non disturbare il manovratore...
"...Le garanzie o misure equivalenti ivi contemplate sono limitate agli enti solventi e sono subordinate all'approvazione finale nell'ambito della disciplina degli aiuti di Stato dell’Unione. Dette misure hanno carattere cautelativo e temporaneo e sono proporzionate per rimediare alle conseguenze della grave perturbazione e non vengono utilizzate per compensare le perdite che l’ente ha accusato o rischia di accusare nel prossimo futuro".
Le garanzie sono subordinate all'approvazione finale nell'ambito della disciplina degli aiuti di Stato.
Qui sta tutto il rebus.
- Eh, ma la Germania...!
- Sì, però la Commissione...!
Tutto vero.
In parte.
Cioè falso.
La Commissione, già in tempi non sospetti, ha specificato in quali casi è possibile procedere ad un aiuto di Stato nei confronti di una Banca.
Lo ha fatto in modo formale, con propria Comunicazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 30 luglio 2013.
Di recente, questa Comunicazione ha fatto molto parlare di sé, perché è stata oggetto di una Sentenza della Corte di Giustizia UE (CGUE) dello scorso 19 luglio, relativa alla sua validità ed alla sua corretta interpretazione (si tratta della causa C-526/14, che trovate qui).
Nella pratica Atlante, una volta rimpinguato di nuovi capitali (500 milioni dalle Casse di previdenza, 1 miliardino da SGA e CDP, qualche altro soldarello ancora da Unicredit e Intesa, tanto son messe bene), dovrebbe acquisire 9 miliardi e 600 milioni di sofferenze nette della banca, a un prezzo non di molto sotto di quello di mercato, "creando" così un ammanco di capitale per Mps stimabile tra i 2 e i 3 miliardi di Euro. Ne abbiamo diffusamente parlato in calce a questo post.
La BCE, dicono, ha chiesto uno sforzo ben maggiore, diciamo pure doppio. Nel frattempo, il governo preme su UBI perché faccia da cavaliere bianco e si mangi tutto il boccone, rimanendone prevedibilmente strozzato. A volare sulle carogne sta già l'avvoltoio (sotto forma di garante dell'eventuale aumento, nonché - udite udite - di emittente del prestito ponte da 6 miliardi tondi tondi che servirà a Atlante in attesa della cartolarizzazione GACS): JP Morgan.
Non è detto che poi tutto finisca in qualcosa di più opaco, una soluzione mista che preveda lo spezzatino di parte della rete Mps (UBI che si prende Antonveneta, Banco Popolare che si prende il brand della Banca dell'Agricoltura: vedi qui) e un aumento ridotto.
Non è secondario, peraltro, sottolineare ancora una volta che questa sedicente "operazione di mercato", se sarà portata a termine, andrà a spese dei pensionati che versano nelle casse previdenziali diverse dall'INPS (leggi: professionisti). Che poi queste Casse siano controllate dal Ministero dell'Economia, che è anche socio di Montepaschi, è un dettaglio insignificante.
O, in altri termini...#Banche, il governo chiama e le casse di previdenza rispondono: “Si investa nel fondo di salvataggio” https://t.co/tzzcROZj8m @Luca_Fantuzzi— Pat (@PgGrilli) 25 luglio 2016
Né meglio è la proposta di Boccia, che tornato di recente da Marte si straccia le vesti per la situazione delle banche italiane e propone di risolverla dissanguando Cassa Depositi e Prestiti, cioè - senza troppo girarci intorno - il risparmio postale."Casse previdenziali, pur con gravi problemi di sostenibilità, per una certa suggestione politica hanno deciso, diciamo così.." (Galimberti)— Vitalba Azzollini (@vitalbaa) 25 luglio 2016
Già questo basterebbe a comprendere con chi si ha a che fare. Tuttavia in questo post vorrei approfondire un'altra questione.B.Mps: Boccia, ora Cdp entri nel Fondo Atlante con 45% (QN) https://t.co/W78tPrp7lz— Giovanna V (@WonderGianna) 25 luglio 2016
E cioè: se l'art. 32 della Direttiva BRRD, cioè della Direttiva che ha istituito il bail-in, permette (laddove la banca necessiti "di un sostegno finanziario pubblico straordinario... al fine di evitare o rimediare a una grave perturbazione dell’economia di uno Stato membro e preservare la stabilità finanziaria") che lo Stato provveda ad "una garanzia dello Stato a sostegno degli strumenti di liquidità forniti da banche centrali... [o] sulle passività di nuova emissione", oppure a "un'iniezione di fondi propri o all'acquisto di strumenti di capitale a prezzi e condizioni che non conferiscano un vantaggio all'ente...", perché il governo italiano ha deciso non solo di non sottoscrivere un eventuale aumento di capitale di Montepaschi ma, pare, neppure di garantirlo?
Eppure Rodomonte da Rignano aveva ben preso questa strada! A Siena - freschi freschi della carriera appena corsa - già si esultava, anche se sottovoce per non disturbare il manovratore...
La spiegazione sta nel successivo comma del medesimo articolo 32.Mps, possibili aiuti di stato o ricapitalizzazione - https://t.co/RR8SUyUaEH— Radio Siena TV (@RadioSienaTV) 6 luglio 2016
"...Le garanzie o misure equivalenti ivi contemplate sono limitate agli enti solventi e sono subordinate all'approvazione finale nell'ambito della disciplina degli aiuti di Stato dell’Unione. Dette misure hanno carattere cautelativo e temporaneo e sono proporzionate per rimediare alle conseguenze della grave perturbazione e non vengono utilizzate per compensare le perdite che l’ente ha accusato o rischia di accusare nel prossimo futuro".
Le garanzie sono subordinate all'approvazione finale nell'ambito della disciplina degli aiuti di Stato.
Qui sta tutto il rebus.
- Eh, ma la Germania...!
- Sì, però la Commissione...!
Tutto vero.
In parte.
Cioè falso.
La Commissione, già in tempi non sospetti, ha specificato in quali casi è possibile procedere ad un aiuto di Stato nei confronti di una Banca.
Lo ha fatto in modo formale, con propria Comunicazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 30 luglio 2013.
Di recente, questa Comunicazione ha fatto molto parlare di sé, perché è stata oggetto di una Sentenza della Corte di Giustizia UE (CGUE) dello scorso 19 luglio, relativa alla sua validità ed alla sua corretta interpretazione (si tratta della causa C-526/14, che trovate qui).
Ovviamente, i giornali ci si sono buttati a pesce, dando della pronuncia le interpretazioni più stravaganti. Riporto qualche tweet tra i più deliranti.
Però capisco che si tratta di un periodo di tre righe con due proposizioni unite in modo paratattico, un po' troppo per il giornalismo nostrano.
Ora, la Comunicazione del 2013 è molto chiara nello stabilire il principio per cui aiuti di Stato possono "essere concessi soltanto a condizioni tali da comportare un’adeguata condivisione degli oneri da parte degli investitori esistenti" (punto 40). Tale adeguata condivisione "comporterà di norma, una volta che le perdite saranno state in primo luogo assorbite dal capitale, contributi da parte di detentori di capitale ibrido e di debito subordinato... nella massima misura possibile..:", non essendo invece necessario il contributo dei "detentori di titoli di debito di primo rango" (punti 41 e 42). In altri termini: "gli aiuti di Stato non devono essere concessi prima che capitale proprio, capitale ibrido e debito subordinato siano stati impiegati appieno per compensare eventuali perdite" (punto 44).
Certo, il successivo punto 45 aggiunge che "è possibile derogare a quanto richiesto ai punti 43 e 44 se l’attuazione di tali misure metterebbe in pericolo la stabilità finanziaria o determinerebbe risultati sproporzionati", qualora "l’importo degli aiuti da concedere sia limitato rispetto agli attivi della banca ponderati per il rischio e la carenza di capitale sia stata notevolmente ridotta, in particolare mediante misure di raccolta di capitale..." sul mercato, ma mi pare chiaro che la Commissione ha recisamente escluso questa evenienza.
Ricapitoliamo fino a qui.
La BCE ha intimato a Montepaschi di cedere 10 miliardi di sofferenze nette. O ora o subito. Se le dovrebbe comprare Atlante, probabilmente a un prezzo superiore a quello di mercato, ma non abbastanza alto per evitare un aumento di capitale alla banca. L'aumento, ovviamente, non lo sottoscriverebbe nessuno, con conseguenti scenari di bail-in. Il bail-in, però, comporta perdite in termini economici per i risparmiatori (detentori di bond subordinati ed anche senior, forse correntisti), ma soprattutto perdite in termini elettorali per Matteo nostro. Dunque l'ideona è mettere una garanzia statale all'aumento, o addirittura sottoscriverlo, utilizzando la "scappatoia" dell'art. 32 della BRRD. Che però, ahimé, impone di sacrificare gli obbligazionisti subordinati, come richiesto dalla Commissione già nel 2013 (è quello che, i giornalisti fichissimi, chiamano burden sharing). Comunque, eventualmente, dicono sempre a Bruxelles, questi bond holders li potete indennizzare "a cose fatte", restituendo - a certe condizioni - il maltolto.
E allora, qual è il problema?
I problemi sono due. Uno è questo.
Montepaschi ha ancora sul mercato 5 miliardi di subordinati, la maggior parte dei quali piazzati al retail (cioè in mano alle famiglie). Applicare il principio del burden share significherebbe dunque mettere in seria difficoltà moltissime persone, spesso ex dipendenti della Banca, che si sono fatti pagare i premi di rendimento e parte della liquidazione in azioni, e che per spirito di fedeltà hanno anche sottoscritto, con ulteriori risparmi, titoli con un buon rendimento, certo più rischiosi di un senior bond, ma comunque garantiti da quello che, un tempo, era fra i più solidi istituti italiani.
Renzi questo lo sa. E sa anche che moltissime di queste persone vivono in Toscana. Una regione che, dopo questa catastrofe, potrebbe essere assai meno rossa che in passato (ma tanto lui si consola con la nuova roccaforte di Varese).
La soluzione al problema sembrerebbe però a portata di mano. Prima si tosano i bond subordinati, quindi si costituisce un meccanismo di indennizzo automatico per i risparmiatori colpiti. Ma ecco che si presenta il secondo problema.
Il governo - in primo luogo - non può non tenere conto della gestione micragnosa e sostanzialmente punitiva dei rimborsi per i detentori di obbligazioni subordinate di Banca Etruria (ne abbiamo parlato diffusamente qui).
Ma, soprattutto, non può non tenere conto di quanto è successo in Portogallo, dove la Banca centrale portoghese - per migliorare i ratio patrimoniali del Novo Banco, ex Banco Espirito Santo - ha imposto, a fine 2015, il trasferimento da NB (nuova good bank teoricamente sana, in realtà piuttosto malandata) al vecchio BES (rimasto in piedi come bad bank, per la gestione delle sofferenze pregresse) di quasi 1 miliardo e mezzo di bond senior.
Si è scatenato il finimondo.
Quei bond erano in mano, per intero, a investitori istituzionali internazionali, i quali l'hanno presa così bene da denunciare la Banca del Portogallo di fronte alla magistratura lusitana. Oltre che, un po' più in sordina, ma con risultati ben visibili, a rendere un inferno le aste dei titoli governativi portoghesi.
Osservo, di straforo, l'equilibrio e veridicità con cui titolò all'epoca il Sole24Ore.
Comunque, il grafico dello spread dei titoli portoghesi è questo.
Raddoppiato da dicembre a febbraio.
La morale è molto semplice: se lo Stato mette i soldi, gli obbligazionisti subordinati ci rimettono l'osso del collo. Punto e basta. Ai governi resta solo una scelta: perdere le elezioni, o perdere clienti alle aste dei propri titolo di Stato. È tra gli inconvenienti di aver voluto una Banca centrale così detta indipendente.
Ecco allora che, alla fine di questo ridicolo gioco dell'oca, si ritorna alla prima casella. Si inventa un'operazione di mercato, che di mercato non è, che non risolverà i problemi di Montepaschi, ma esporrà a maggior rischio Unicredit e Intesa, e probabilmente affosserà UBI.
Triplete.
Ciò detto, mi sia concessa qualche nota autobiografica. Chi non è interessato, smetta pure di leggere, non si perderà nulla.
Montepaschi, il burden sharing lo ha già provato, eccome. Ha inciso sulla carne viva di una comunità, oltre che su quella di chi, come me, è dipendente di quello che un tempo ne era il maggiore azionista e che ora si trova a possedere meno dell'1,5%.
A novembre 2008 Mps acquista Antonveneta. I giornaloni, ovviamente, stappano autarchicamente spumanti e champagne, mentre la borsa penalizza fortemente il titolo, visto il prezzo assai elevato, di 9 miliardi di Euro (in realtà, alla fine, l'esborso vero - compresa copertura delle linee di credito attivate da Santander - sarà quasi doppio, pari a 17 miliardi), per di più pagato cash con 8 bonifici, di cui uno, chissà perché, di 2 miliardi e mezzo, indirizzato alla Abbey National Treasury a Londra (i maligni sostengono poi che sia tornato indietro grazie allo scudo fiscale, ma noi ovviamente, in mancanza di riscontri certi, non c crediamo).
Per pagare questa massa immensa di denaro, a maggio 2008 il Monte lancia un aumento di capitale da 5 miliardi (di cui 2 e mezzo sottoscritti dalla Fondazione) ed emette, tra i primissimi in Italia, un c.d. "titolo ibrido", un altro miliardino tanto per gradire. Il famigerato Fresh. La Fondazione, in sostanza, ne sottoscrive - sia pure non direttamente - la metà.
Chiariamo una cosa. Montepaschi questi soldi li incassa, certo. Ma li gira, come detto, al Santander. Sono, quindi, 7 miliardi (di cui 3 miliardi e mezzo di una città, di un popolo) letteralmente buttati. Non solo, oltre questo, al Santander - o a chi per lui - di miliardi ne arrivano altri 10.
Montepaschi non ha più un soldo in cassa.
Sì, perché per quanto sembri strano a molti scienziati di Twitter, le banche i soldi devono procurarseli, non li fabbricano. Normalmente se li fanno prestare da altre banche, tant'è vero che - a seconda della divisa prescelta - esistono anche appositi tassi di riferimento: qualcuno avrà sentito parlare di Euribor e Libor (per altri, nonostante l'attività dell'apostolo della tecnica bancaria, è una partita persa).
Ora, stiamo parlando di un periodo in cui Unicredit "andò per uno" dal fallire proprio per problemi di liquidità (aumenti di capitale a raffica: 3 miliardi nel 2009, 7 miliardi e mezzo a inizio 2012). Erano gli anni in cui, venuta meno la specializzazione delle banche, per gonfiare i Roe a due cifre (con conseguente bonus per l'A.D.) si era presa l'ottima piega di indebitarsi a breve, anzi a brevissimo, e di impiegare a lungo, se non a lunghissimo. Con ovvie conseguenze una volta che lassù al Nord, travolti dalla crisi dei subprime, decisero di chiudere alcuni rubinetti.
Bene, proprio in questo periodo, per l'esattezza a primavera 2010, Banca d'Italia inizia a mettere Montepaschi nel mirino, convoca più volte Mussari - nel frattempo divenuto Presidente dell'Abi (per dire la lungimiranza) -, si reca a Siena, inizia un'ispezione vera e propria, conclude evidenziando i forti problemi di liquidità determinati da alcune operazioni in derivati su titoli di Stato (passati poi alla storia patria sotto i nomi di Alexandria e Santorini) e imponendo l'invio a Roma di dati giornalieri proprio sulla liquidità.
In questo contesto Mussari assicura formalmente alla Fondazione che nessun aumento di capitale è all'orizzonte. E la Fondazione ci crede. Ci crede davvero, tant'è che - quando viene lanciato, nel giugno successivo - l'aumento di capitale da 2 miliardi, si trova totalmente impreparata. Sia questo aumento, sia soprattutto quelli successivi del 2014 e del 2015 (8 miliardi in due anni), hanno una caratteristica, quella cioè di essere "iperdiluitivi". Che è come dire: se sottoscrivi bene, se non sottoscrivi quello che hai non vale più nulla.
Cioè, il bail-in (sia pure per i soli azionisti) prima del bail-in. Così la Fondazione, negli ultimi attimi della propria grandezza, nell'estate 2011, per sottoscrivere l'aumento pro quota (il 48% del totale), si trova indebitata di 1 miliardo di Euro (sì, esatto, prende un finanziamento, da restituire per certo, per acquistare azioni, dal corso incerto). Il successivo crollo del titolo Mps la rende inadempiente nei confronti delle banche finanziatrici già a novembre. Prima dell'aumento del 2014 - e dopo un drammatico rinvio, a fine 2013, dell'aumento da 5 miliardi grazie all'energia e alla sagacia di una donna maremmana che ha fatto per Siena quello che generazioni di senesi non hanno saputo fare - la Fondazione ha venduto quasi per intero il suo pacchetto azionario in Montepaschi, ma soprattutto, per rientrare del proprio debito, ha ceduto, come ha potuto, tutti i gioielli di famiglia: la quota in Intesa, quella in Mediobanca, quella in Cassa Depositi e Prestiti, quella nel fondo Clessidra, e così via. Resta con un piccolo peculio di risorse liquide, meno di un decimo di quelle che furono.
Ma non basta. Il Fresh, in quanto titolo subordinato, cessa di pagare le cedole ed inizia a perdere in modo significativo di valore, finché non diventa addirittura conveniente per i suoi detentori convertirlo, secondo regole prefissate, in azioni Mps. In media, l'80% dell'investimento viene meno, il resto segue il corso delle altre azioni Montepaschi. E così il bail-in, che non si chiamava bail-in, si abbatte anche sugli ibridi. Cerchio chiuso.
Il resto è storia recente. Riguarda solo marginalmente me, e quasi per nulla Siena.
Probabilmente il prossimo aumento darà atto, ufficialmente, di una fine già scritta. Anche l'Impero romano era caduto ben prima del 476.
La sentenza della Corte di giustizia dell'UE sulla legittimità del bail-in https://t.co/gMZXC59kD5 #opencamera— Camera - Finanze (@CD_finanze) 20 luglio 2016
Ok al bail in, ma non è un obbligo: Il bail in passa a pieni voti l'esame della corte di giustizia Ue. Che r... https://t.co/XJxiw9URLL— ItaliaOggi (@ItaliaOggi) 20 luglio 2016
In realtà, la sentenza - trattando della corretta interpretazione di una Comunicazione del 2013 - difficilmente avrebbe potuto pronunciarsi sul sistema del bail-in, introdotto del 2014, a meno di non riconoscere ai giudici capacità divinatorie che, francamente, non credo abbiano. Forse si voleva dire che la Corte, con la propria pronuncia, ha riconosciuto la legittimità dei diversi sistemi legali che impongono ad azionisti e creditori delle banche di partecipare al risanamento delle stesse e che un particolare tipo di questi sistemi è proprio quello di cui alla Direttiva BRRD.#Risparmio: il bail in un esproprio criminale, con la Corte di Giustizia a fare da palo ai banchieri e collusi... https://t.co/Tt43k9ahZE— Elio Lannutti (@ElioLannutti) 19 luglio 2016
Però capisco che si tratta di un periodo di tre righe con due proposizioni unite in modo paratattico, un po' troppo per il giornalismo nostrano.
Ora, la Comunicazione del 2013 è molto chiara nello stabilire il principio per cui aiuti di Stato possono "essere concessi soltanto a condizioni tali da comportare un’adeguata condivisione degli oneri da parte degli investitori esistenti" (punto 40). Tale adeguata condivisione "comporterà di norma, una volta che le perdite saranno state in primo luogo assorbite dal capitale, contributi da parte di detentori di capitale ibrido e di debito subordinato... nella massima misura possibile..:", non essendo invece necessario il contributo dei "detentori di titoli di debito di primo rango" (punti 41 e 42). In altri termini: "gli aiuti di Stato non devono essere concessi prima che capitale proprio, capitale ibrido e debito subordinato siano stati impiegati appieno per compensare eventuali perdite" (punto 44).
Certo, il successivo punto 45 aggiunge che "è possibile derogare a quanto richiesto ai punti 43 e 44 se l’attuazione di tali misure metterebbe in pericolo la stabilità finanziaria o determinerebbe risultati sproporzionati", qualora "l’importo degli aiuti da concedere sia limitato rispetto agli attivi della banca ponderati per il rischio e la carenza di capitale sia stata notevolmente ridotta, in particolare mediante misure di raccolta di capitale..." sul mercato, ma mi pare chiaro che la Commissione ha recisamente escluso questa evenienza.
Sulla questione, peraltro, ha scritto un post di grande pregnanza Luciano Barra Caracciolo.@aless_marchetti sentenza chiara su circostanze eccezionali e Vestager altrettanto sul fatto che non ci sono per Italia @Corriere— David Carretta (@davcarretta) 19 luglio 2016
Ricapitoliamo fino a qui.
La BCE ha intimato a Montepaschi di cedere 10 miliardi di sofferenze nette. O ora o subito. Se le dovrebbe comprare Atlante, probabilmente a un prezzo superiore a quello di mercato, ma non abbastanza alto per evitare un aumento di capitale alla banca. L'aumento, ovviamente, non lo sottoscriverebbe nessuno, con conseguenti scenari di bail-in. Il bail-in, però, comporta perdite in termini economici per i risparmiatori (detentori di bond subordinati ed anche senior, forse correntisti), ma soprattutto perdite in termini elettorali per Matteo nostro. Dunque l'ideona è mettere una garanzia statale all'aumento, o addirittura sottoscriverlo, utilizzando la "scappatoia" dell'art. 32 della BRRD. Che però, ahimé, impone di sacrificare gli obbligazionisti subordinati, come richiesto dalla Commissione già nel 2013 (è quello che, i giornalisti fichissimi, chiamano burden sharing). Comunque, eventualmente, dicono sempre a Bruxelles, questi bond holders li potete indennizzare "a cose fatte", restituendo - a certe condizioni - il maltolto.
E allora, qual è il problema?
I problemi sono due. Uno è questo.
Montepaschi ha ancora sul mercato 5 miliardi di subordinati, la maggior parte dei quali piazzati al retail (cioè in mano alle famiglie). Applicare il principio del burden share significherebbe dunque mettere in seria difficoltà moltissime persone, spesso ex dipendenti della Banca, che si sono fatti pagare i premi di rendimento e parte della liquidazione in azioni, e che per spirito di fedeltà hanno anche sottoscritto, con ulteriori risparmi, titoli con un buon rendimento, certo più rischiosi di un senior bond, ma comunque garantiti da quello che, un tempo, era fra i più solidi istituti italiani.
Renzi questo lo sa. E sa anche che moltissime di queste persone vivono in Toscana. Una regione che, dopo questa catastrofe, potrebbe essere assai meno rossa che in passato (ma tanto lui si consola con la nuova roccaforte di Varese).
La soluzione al problema sembrerebbe però a portata di mano. Prima si tosano i bond subordinati, quindi si costituisce un meccanismo di indennizzo automatico per i risparmiatori colpiti. Ma ecco che si presenta il secondo problema.
Il governo - in primo luogo - non può non tenere conto della gestione micragnosa e sostanzialmente punitiva dei rimborsi per i detentori di obbligazioni subordinate di Banca Etruria (ne abbiamo parlato diffusamente qui).
Ma, soprattutto, non può non tenere conto di quanto è successo in Portogallo, dove la Banca centrale portoghese - per migliorare i ratio patrimoniali del Novo Banco, ex Banco Espirito Santo - ha imposto, a fine 2015, il trasferimento da NB (nuova good bank teoricamente sana, in realtà piuttosto malandata) al vecchio BES (rimasto in piedi come bad bank, per la gestione delle sofferenze pregresse) di quasi 1 miliardo e mezzo di bond senior.
Si è scatenato il finimondo.
In realtà, la scelta è stata fatta con un criterio.Ancora conferme che a far partire il caos sulle #banche è stata la vicenda dei bond del Novo Banco (#bailin random) pic.twitter.com/fzHHG7Wl4W— Ora Basta (@giuslit) 12 febbraio 2016
Quei bond erano in mano, per intero, a investitori istituzionali internazionali, i quali l'hanno presa così bene da denunciare la Banca del Portogallo di fronte alla magistratura lusitana. Oltre che, un po' più in sordina, ma con risultati ben visibili, a rendere un inferno le aste dei titoli governativi portoghesi.
Osservo, di straforo, l'equilibrio e veridicità con cui titolò all'epoca il Sole24Ore.
Comunque, il grafico dello spread dei titoli portoghesi è questo.
Raddoppiato da dicembre a febbraio.
La morale è molto semplice: se lo Stato mette i soldi, gli obbligazionisti subordinati ci rimettono l'osso del collo. Punto e basta. Ai governi resta solo una scelta: perdere le elezioni, o perdere clienti alle aste dei propri titolo di Stato. È tra gli inconvenienti di aver voluto una Banca centrale così detta indipendente.
Ecco allora che, alla fine di questo ridicolo gioco dell'oca, si ritorna alla prima casella. Si inventa un'operazione di mercato, che di mercato non è, che non risolverà i problemi di Montepaschi, ma esporrà a maggior rischio Unicredit e Intesa, e probabilmente affosserà UBI.
Triplete.
Ciò detto, mi sia concessa qualche nota autobiografica. Chi non è interessato, smetta pure di leggere, non si perderà nulla.
Montepaschi, il burden sharing lo ha già provato, eccome. Ha inciso sulla carne viva di una comunità, oltre che su quella di chi, come me, è dipendente di quello che un tempo ne era il maggiore azionista e che ora si trova a possedere meno dell'1,5%.
A novembre 2008 Mps acquista Antonveneta. I giornaloni, ovviamente, stappano autarchicamente spumanti e champagne, mentre la borsa penalizza fortemente il titolo, visto il prezzo assai elevato, di 9 miliardi di Euro (in realtà, alla fine, l'esborso vero - compresa copertura delle linee di credito attivate da Santander - sarà quasi doppio, pari a 17 miliardi), per di più pagato cash con 8 bonifici, di cui uno, chissà perché, di 2 miliardi e mezzo, indirizzato alla Abbey National Treasury a Londra (i maligni sostengono poi che sia tornato indietro grazie allo scudo fiscale, ma noi ovviamente, in mancanza di riscontri certi, non c crediamo).
Per pagare questa massa immensa di denaro, a maggio 2008 il Monte lancia un aumento di capitale da 5 miliardi (di cui 2 e mezzo sottoscritti dalla Fondazione) ed emette, tra i primissimi in Italia, un c.d. "titolo ibrido", un altro miliardino tanto per gradire. Il famigerato Fresh. La Fondazione, in sostanza, ne sottoscrive - sia pure non direttamente - la metà.
Chiariamo una cosa. Montepaschi questi soldi li incassa, certo. Ma li gira, come detto, al Santander. Sono, quindi, 7 miliardi (di cui 3 miliardi e mezzo di una città, di un popolo) letteralmente buttati. Non solo, oltre questo, al Santander - o a chi per lui - di miliardi ne arrivano altri 10.
Montepaschi non ha più un soldo in cassa.
Sì, perché per quanto sembri strano a molti scienziati di Twitter, le banche i soldi devono procurarseli, non li fabbricano. Normalmente se li fanno prestare da altre banche, tant'è vero che - a seconda della divisa prescelta - esistono anche appositi tassi di riferimento: qualcuno avrà sentito parlare di Euribor e Libor (per altri, nonostante l'attività dell'apostolo della tecnica bancaria, è una partita persa).
Ora, stiamo parlando di un periodo in cui Unicredit "andò per uno" dal fallire proprio per problemi di liquidità (aumenti di capitale a raffica: 3 miliardi nel 2009, 7 miliardi e mezzo a inizio 2012). Erano gli anni in cui, venuta meno la specializzazione delle banche, per gonfiare i Roe a due cifre (con conseguente bonus per l'A.D.) si era presa l'ottima piega di indebitarsi a breve, anzi a brevissimo, e di impiegare a lungo, se non a lunghissimo. Con ovvie conseguenze una volta che lassù al Nord, travolti dalla crisi dei subprime, decisero di chiudere alcuni rubinetti.
Bene, proprio in questo periodo, per l'esattezza a primavera 2010, Banca d'Italia inizia a mettere Montepaschi nel mirino, convoca più volte Mussari - nel frattempo divenuto Presidente dell'Abi (per dire la lungimiranza) -, si reca a Siena, inizia un'ispezione vera e propria, conclude evidenziando i forti problemi di liquidità determinati da alcune operazioni in derivati su titoli di Stato (passati poi alla storia patria sotto i nomi di Alexandria e Santorini) e imponendo l'invio a Roma di dati giornalieri proprio sulla liquidità.
In questo contesto Mussari assicura formalmente alla Fondazione che nessun aumento di capitale è all'orizzonte. E la Fondazione ci crede. Ci crede davvero, tant'è che - quando viene lanciato, nel giugno successivo - l'aumento di capitale da 2 miliardi, si trova totalmente impreparata. Sia questo aumento, sia soprattutto quelli successivi del 2014 e del 2015 (8 miliardi in due anni), hanno una caratteristica, quella cioè di essere "iperdiluitivi". Che è come dire: se sottoscrivi bene, se non sottoscrivi quello che hai non vale più nulla.
Cioè, il bail-in (sia pure per i soli azionisti) prima del bail-in. Così la Fondazione, negli ultimi attimi della propria grandezza, nell'estate 2011, per sottoscrivere l'aumento pro quota (il 48% del totale), si trova indebitata di 1 miliardo di Euro (sì, esatto, prende un finanziamento, da restituire per certo, per acquistare azioni, dal corso incerto). Il successivo crollo del titolo Mps la rende inadempiente nei confronti delle banche finanziatrici già a novembre. Prima dell'aumento del 2014 - e dopo un drammatico rinvio, a fine 2013, dell'aumento da 5 miliardi grazie all'energia e alla sagacia di una donna maremmana che ha fatto per Siena quello che generazioni di senesi non hanno saputo fare - la Fondazione ha venduto quasi per intero il suo pacchetto azionario in Montepaschi, ma soprattutto, per rientrare del proprio debito, ha ceduto, come ha potuto, tutti i gioielli di famiglia: la quota in Intesa, quella in Mediobanca, quella in Cassa Depositi e Prestiti, quella nel fondo Clessidra, e così via. Resta con un piccolo peculio di risorse liquide, meno di un decimo di quelle che furono.
Ma non basta. Il Fresh, in quanto titolo subordinato, cessa di pagare le cedole ed inizia a perdere in modo significativo di valore, finché non diventa addirittura conveniente per i suoi detentori convertirlo, secondo regole prefissate, in azioni Mps. In media, l'80% dell'investimento viene meno, il resto segue il corso delle altre azioni Montepaschi. E così il bail-in, che non si chiamava bail-in, si abbatte anche sugli ibridi. Cerchio chiuso.
Il resto è storia recente. Riguarda solo marginalmente me, e quasi per nulla Siena.
Probabilmente il prossimo aumento darà atto, ufficialmente, di una fine già scritta. Anche l'Impero romano era caduto ben prima del 476.
Buongiorno,
RispondiEliminami permetto di segnalare che manca una parola in questo punto:
>> non essendo invece necessario il dei "detentori di titoli di debito di primo rango"
Buona giornata,
Ri-Buongiorno,
RispondiEliminasegnalo anche un 'pagato cache', che penso dovrebbe essere 'pagato cash'.
Buona giornata.
And again...
RispondiElimina>> periodo in cui Unicredit andò per uno dal fallire
Grazie. Pagato "cache" non so come mi sia scappato fuori... ;-)))
EliminaMi scusi, ma dove è il problema?
RispondiEliminaAbbiamo accettato UE ed Euro.
Dobbiamo accettare anche i costi associati.
Un saluto.
Federico.