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martedì 5 gennaio 2016

Giudici costituzionali a 5 stelle: Giulio Prosperetti

Grazie al putiferio agro-bancario scatenato col caso Boschi-Banca Etruria, i rappresentanti del M5s sono abilmente riusciti a far passare sotto silenzio l'accordo con il PD per l'elezione di tre giudici costituzionali: Gli eletti sono Franco Modugno (docente emerito alla Sapienza di Roma, già preside della facoltà di Scienze Politiche nel medesimo Ateneo e professore alla Luiss), Augusto Barbera (fugace Ministro per i Rapporti con il Parlamento nel 1993, prolifico scrittore di testi di diritto costituzionale, di cui un manuale con Giuliano Amato, deputato Pds) e Giulio Prosperetti (sessantenne, un ragazzino rispetto agli altri, è professore di Diritto del lavoro nella facoltà di giurisprudenza dell'università “Tor Vergata”).
Per Renzi - alla vigilia di importantissime battaglie, quali quelle relative alla legittimità costituzionale dell'Italicum e del Jobs Act - si tratta di una vittoria importantissima. D'altronde, quando il bisogno chiama, il M5s (fedele al suo ruolo naturale) corre sempre.
Qualche chicca, sui neo-giudici, è già stata scritta. Ma siccome repetita iuvant, vale la pena, secondo me, tracciare qualche breve monografia. Senza anticipare nulla, l'analisi dei singoli quadri mostra, credo, un interessante disegno di insieme. Un polittico, diciamo, per rimanere in metafora. Anche qui, come sempre, "unire i puntini" (© Bagnai) aiuta.

Posto che questo dovrebbe essere un blog che parla di diritto del lavoro, noi ci focalizziamo - noblesse oblige - su Giulio Prosperetti, che da anni si interessa, fra le varie cose, soprattutto di welfare, sistema pensionistico, ammortizzatori sociali.
Escono nel 2008, per i tipi di Giuffré, gli Atti delle Giornate di studio di diritto del lavoro tenutesi a Venezia a maggio 2007 (Disciplina dei licenziamenti e mercato del lavoro, lo trovate qui) e il Nostro affronta subito di petto la questione che gli sta a cuore: "in maniera forse provocatoria, ormai da qualche tempo sostengo che il modello che abbiamo oggi in Italia si fonda, a ben vedere, sul lavoro nero. Se, infatti, la fissazione di minimi salariali ha evitato al nostro Paese una riduzione delle retribuzioni come invece è accaduto là dove questo limite non era previsto, non si può non ammettere che ciò ha comunque avuto come conseguenza lo sviluppo del sommerso. Il sistema di welfare italiano, frutto di un continuo riadattamento di vecchie categorie, ne è uscito notevolmente appesantito, gravando proprio sulle aziende, che non sono riuscite a sostenere i costi del lavoro regolare e che, conseguentemente, ha dovuto scegliere fra impiegare irregolarmente personale... e [cioè: o] decidere di non aumentare il numero di occupati".
Già in queste poche righe c'è tutto un mondo. L'idea che le imprese possano gestire shock esterni soltanto mediante la deflazione salariale, che è però resa più difficile dall'esistenza di salari minimi soprattutto ove determinati per via di contratto collettivo nazionale (ne abbiamo parlato qui e qui), idea questa che con ogni evidenza postula come un dato immutabile (ah, la signora TINA!) la perdita di sovranità monetaria dell'Italia; la tesi che il sommerso è, in fondo, un volano di flessibilizzazione del lavoro e dunque, in ultima analisi, di maggiore produttività del nostro tessuto produttivo per cui, in ultima analisi, deve essere in qualche misura tollerata ove non addirittura incentivata (vedi per esempio qui); che, dopo la globalizzazione, il mondo di ieri non esiste più, e dunque il welfare deve lasciare spazio alla flessibilità (e sì che Prosperetti è stato allievo di Gino Giugni). A voler continuare la lettura dell'intervento, non manca peraltro il solito accento all'utilizzo degli ammortizzatori sociali "per fra fronte a qualsiasi tipo di crisi, riversando i costi del c.d. assistenzialismo [?, N.d.R.] sul sistema previdenziale",
Queste riflessioni, contemporanee all'esplosione dell'attuale crisi economica, si arricchiscono e approfondiscono negli anni a venire. Ad esempio, nella relazione al Seminario interdisciplinare sul tema “Attualità dei principi fondamentali della Costituzione..." del 2010 (è qui) si giustifica la rottura del monopolio pubblicistico nel settore del collocamento a partire dalla costatazione che "non essendo più l'occupazione automaticamente garantita dal sistema industriale, questa va creata proprio attraverso le capacità personali dei singoli", che "il collocamento privato è in grado di scoprire e implementare". Si tratta di una declinazione, anche molto sofisticata, del noto frame della "meritocrazia" (così caro a chi, per motivi di censo, può non applicare a se stesso).
Il Pedante ci ha dimostrato quanto questo concetto sia legato a quello, ulteriore, del reddito di cittadinanza (o di sudditanza, se si preferisce). Infatti, ecco che - partendo dall'ennesima ipostatizzazione di un dato meramente transeunte, quale è quello del dumping sociale in un contesto di globalizzazione selvaggia, che poi, anche in questo caso, è una rappresentazione molto accademica di un altro luogo comune, quello che "oggi c'è la Ciiiiinaaaa!" (© Claudio Borghi) - il prof. Prosperetti chiosa: "nel prossimo futuro è ipotizzabile un assetto totalmente diverso rispetto alla tradizionale ripartizione in assistenza, previdenza e retribuzione sinallagmatica... In questo contesto è prevedibile che si arrivi a modelli di sicurezza sociale dove la retribuzione erogata dalle imprese non sia sufficiente al tenore di vita dei Paesi sviluppati, sicché, ove si vogliano mantenere determinare produzioni in Europa, si dovrà necessariamente ricorrere ad integrazioni del reddito dei lavoratori impiegati in aziende esposte alla concorrenza". Vi ricorda qualcosa? Forse il sistema Hartz IV tedesco? Siete sempre così malfidati...
Comunque attenzione... perché questo reddito di cittadinanza non è mica gratis! In Nuove politiche per il welfare state (del 2013: è qui) si legge: "a tal fine, potrebbe superarsi la logica dello scambio sinallagmatico retribuzione-lavoro, per costruire una diversa ragione di scambio: lavoro sociale a fronte di indennità assistenziali, ossia non uno scambio mercantile, ma uno scambio di solidarietà". Insomma, la versione rivista e corretta, in salsa schiavistica, del noto DWP della perfida Albione.

Ricapitoliamo: accettazione pura e semplice del sistema economico-sociale attuale (cioè del sistema ordoliberista che sta strangolando il mondo occidentale), lucida accettazione della necessità per le imprese - entro questo sistema - di competere mediante continua deflazione salariale, adesione ad un modello mercantilistico che si giova di aiuti di Stato surrettiziamente contrabbandanti per prestazioni assistenziali (come una Maria Antonietta qualunque).

Uno così, che penserà dei tagli alle pensioni (via blocco della rivalutazione, o anche, eventualmente, mediante contributo di solidarietà)? Indovina indovinello... (qui per chi ha poca immaginazione). Chiamato a pronunciarsi sulla sentenza 70, Prosperetti critica in primo luogo nell'assunto della Corte, che "fa assurgere la conservazione dei trattamenti pensionistici a principio di rango costituzionale", mentre da nessun articolo della Carta si evincerebbe "il principio della immodificabilità del potere d’acquisto delle pensioni, anche se certamente la Corte costituzionale può esercitare un giudizio di merito in ordine al rispetto dei mezzi adeguati e alla sufficienza dei trattamenti...". Per questa via, secondo l'Autore, si farebbe nuovamente "riferimento... ai diritti quesiti, concetto... che sembrava essere ormai archiviato con riferimento alla complessa dinamica dei diritti sociali".
Chiaro? In campo sociale, nulla è più acquisito..., tutto può essere ridiscusso, laddove se ne crei - in modo artificioso - la necessità economica. Infatti, da un lato "è impensabile che lavoratori con salari ridotti dalla crisi economica debbano mantenere ricche pensioni immodificabili", mentre dall'altro (posto che "il sistema di finanziamento a ripartizione è già in crisi da molti anni ed è per questo che lo Stato è costretto ad integrare la gestione pensionistica dell’Inps") "l’intervento statale nel ripianare i conti dell’Inps è già importante e comunque destinato a crescere il diritto alla pensione acquisirà sempre più le caratteristiche di diritto finanziariamente condizionato".
Per essere ancora più chiari: "se c’è pertanto l’esigenza di abbassare il livello delle pensioni, anche perché come scriveva Giugni nel ricordato intervento del 1984, i pensionati non devono risparmiare ma solo consumare, il problema è soltanto di ordine tecnico attraverso quale strumento arrivare ad una equa riduzione della spesa pensionistica. Proprio questo, a mio avviso, è mancato nella sentenza della Corte costituzionale, che ha censurato la sterilizzazione delle pensioni per due anni sul presupposto che questa avrebbe poi avuto influenza sull'ammontare della pensione anche quando la rivalutazione sarebbe stata ripristinata; l’intento virtuoso del legislatore era, invece, proprio quello di provocare un graduale abbassamento delle pensioni".
Virtuoso.
Solo in Grecia, d'altronde, sono più bravi di noi.
Quando la Corte affronterà il Jobs Act, o quando arriverà la Troika - e arriverà - il prof. Prosperetti vi difenderà con questi argomenti. Tenetelo presente. Almeno non avrete brutte sorprese.

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