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domenica 26 marzo 2017

Ancora su Mps (Cicero pro domo sua)

Il precedente post relativo agli ultimi dieci travagliati anni di vita di Montepaschi ha suscitato una certa eco, soprattutto per quanto riguarda i rapporti tra economia e politica in generale e il ruolo della Fondazione Mps in particolare. Nel frattempo, per un caso fortuito, la materia è stata trattata, con un articolo a tinte forti da un noto blog di approfondimento senese.
In sostanza, la posizione è questa: "la responsabilità principale del disastro della Banca... va ricercato nel ruolo della Fondazione e nel Ministero del Tesoro di allora. Se la Fondazione opponeva un no alla volontà di Mussari di proseguire con l’operazione Antonveneta, la Banca non si troverebbe nelle condizioni attuali e la Fondazione non avrebbe dissipato il suo patrimonio. Chi ha dato l’autorizzazione alla Fondazione per l’indebitamento? Il Ministero del Tesoro... Stefano Scaramelli, attuale consigliere regionale del PD toscano..., ha detto candidamente di aver partecipato a una riunione del PD senese, con la presenza dell’allora presidente della Fondazione... Mancini, per mettere ai voti l’adesione della Fondazione all'aumento di capitale della Banca... Renzi... [dovrebbe] azzerare il gruppo dirigente nazionale e locale del PD e chiedere scusa per le macerie lasciate... con la gestione di Banca Monte dei Paschi...".
L'articolo è assolutamente apprezzabile quando sottolinea sia le responsabilità del Ministero del Tesoro (che ha preferito sacrificare la stabilità economica della propria vigilata, e mediatamente di una intera comunità, sull'altare di considerazioni attinenti all'evoluzione del sistema bancario nazionale, che avrebbero invece dovuto essere piuttosto di competenza di Banca d'Italia), sia la innegabile continuità tra la dirigenza dei DS con quella del PD renziano (con buona pace dello story telling della rottamazione, che tuttora - dopo tre anni di governo fallimentare - Renzi pare voler ancora alimentare), sia - infine - quando mostra come l'idea di un "Partito della Nazione" abbia avuto nel "Groviglio armonioso" il proprio padre ideologico (non a caso, uno dei principali "ispiratori" del Groviglio è anche l'ideatore del Patto del Nazareno).
Tuttavia, a mio avviso, un paio di precisazioni devono essere fatte.

In primo luogo, è a mio avviso necessario (anche per evitare certe tentazioni revanchiste) che nel dibattito senese si faccia largo la consapevolezza che il peccato originale della classe politica locale (cioè del PD e dei suoi antenati) non è stato l'acquisto di Antonveneta, bensì l'idea di poter creare un autonomo polo del credito saldamente in mano alla città.

Secondariamente, che la responsabilità principale della classe politica nazionale nella vicenda Mps (e, in generale, per quanto attiene il sistema finanziario del Paese) non si rintraccia in questa o quella influenza più o meno indebita, ma nell'aver supinamente accettato, quando non addirittura patrocinato, un sistema legale - di ispirazione comunitaria - esiziale per i nostri Istituti.

I. La città
Dare adito a ricostruzioni controfattuali, a mio avviso, non è un esercizio produttivo, perché geneticamente semplificatorio. Se la Fondazione avesse detto "no" a Mussari, è impossibile sapere cosa sarebbe successo, sia perché non è chiaro quali accordi - eventualmente vincolanti per la Banca - erano già stati presi dal suo Presidente con Santander, sia perché non è possibile ricostruire (neppure probabilisticamente) il destino di un Monte troppo grande per essere banca regionale e troppo piccolo per essere player nazionale.
Qui, il punto vero è un altro, e cioè la necessità di sottolineare l'assurda volontà dei responsabili politici senesi (in altri termini: del PD senese e dei suoi antecedenti)di mantenere la maggioranza assoluta del terzo gruppo bancario del Paese in mano a una singola fondazione, onde rendere la Banca non contendibile. Posta così la questione, è allora sì possibile fare un ragionamento controfattuale che abbia un minimo di logica:
- se la Fondazione non avesse detenuto oltre il 50% di Banca Mps, avrebbe subito un danno assai inferiore dal disastro derivante dall'acquisto di Antonveneta;
- se la Fondazione non avesse detenuto oltre il 50% di Banca Mps, avrebbe potuto dire di "no" non tanto all'acquisto di Antonveneta, quanto all'aumento di capitale del 2011, che ha invece sottoscritto quasi obbligata per motivi di tenuta del sistema bancario italiano.

I.a  Il mantenimento della maggioranza assoluta in Banca Mps
Come prima cosa, devo dare conto delle affermazioni di cui sopra. Perché la volontà di mantenere il controllo di Bmps è Siena sarebbe assurda? In fin dei conti, si tratta di una banca costruita su secoli di laboriosità della comunità senese.
Vero. Il problema che, a metà anni Duemila, si verifica una terrificante convergenza di eventi: (a) la definitiva liberalizzazione dei sistemi bancari europei; (b) un'abnorme facilità di reperimento di denaro a debito da parte degli Istituti.
La faccio molto breve. La despecializzazione introdotta col Testo Unico Bancario del 1993, la nascita dell'Euro (diciamo dal 1996, quando sono fissate le parità), le privatizzazioni di fine anni Novanta, le direttive 2000/12/CE e 2006/48/CE che riducono in modo assai significativo i poteri discrezionali delle Autorità di Vigilanza dei vari Paesi (per tutti questi fenomeni, cfr. Costi), unitamente alla grande frammentazione del sistema bancario del nostro Paese, che più tardi degli altri - e in misura minore - ha conosciuto vasti fenomeni aggregativi, oltre che alla enorme liquidità a disposizione delle banche (forti della crescente finanziarizzazione dell'economia e delle regole lasche di Basilea I) per operazioni con fortissima leva (in relazione alle quali rimando alla critica di Bagnai al "ragionamento der Biretta"), hanno comportato un'invasione massiccia del mercato italiano da parte dei colossi globali del credito, i quali (senza adeguati strumenti normativi) non potevano essere fermati. È la globalizzazione, bellezza!
Tanto più che alcune di quelle banche (le tedesche e le francesi) avevano l'ulteriore interesse, a investire in Italia, di controllare direttamente il flusso di risparmio che dai Paesi del Nord stava affluendo (sempre per colpa dei bassi tassi di interesse) al Sud per l'acquisto di beni di consumo. Fino alla crisi, ovviamente.
Nel vortice di queste potentissime forze giuridiche ed economiche, qualche Istituto ha - almeno per un po' - resistito fondendosi (Unicredit e Banca di Roma, Intesa e Sanpaolo). Qualche altro si è concesso al nemico (BNL, Cariparma). Montepaschi ha tentato di rimanere da sola ed è finita, per forza di cose, in mezzo al guado.
Ma l'opinione pubblica senese non avrebbe accettato fusioni!
Non è quello il problema.
Il problema è l'impreparazione della classe dirigente (che non discende dall'impreparazione della cittadinanza, ma al limite la determina). La possibilità per Fmps di scendere al 30%, cioè a una soglia di assoluta sicurezza (in quanto corrispondente alla soglia allora vigente per lo scattare dell'Opa obbligatoria), veniva direttamente dal neonato governo Berlusconi del 2006, il quale benediceva il c.d. "Emendamento Eufemi", cioè la proposta di “sterilizzazione del diritto di voto delle Fondazioni di origine bancaria nelle assemblee ordinarie e straordinarie delle società bancarie conferitarie per le azioni eccedenti il 30% del capitale”. Sarebbe bastato al Sindaco dare la colpa a B. brutto e cattivo, alzare un po' gli occhi al cielo come un San Sebastiano del credito, tranquillizzare tutti sul mantenimento del controllo de facto, quindi vendere a prezzi assai vantaggiosi una buona metà dell'interessenza in Montepaschi.
E invece no. Si scatena il fuoco di sbarramento, non solo a Siena, ma anche a Roma da parte di quella stessa Associazione che, qualche anno dopo, si sarebbe fatta vanto di aver concluso col Ministero delle Finanze un Protocollo all'interno del quale figura anche il divieto di esposizione - nei confronti di qualsivoglia soggetto finanziario - superiore a un terzo del patrimonio di ciascuna fondazione. Bravissimi a chiudere la stalla a buoi ampiamente scappati. Alla fine la Fondazione Mps (ma anche CR Firenze e Carige) vince la battaglia, grazie soprattutto ai buoni uffici di Giuseppe Guzzetti e dell'allora Governatore di Banca d'Italia, Mario Draghi.
(...le vittorie di Pirro...).
(...c'è un motivo se l'ACRI si schiera perinde ac cadaver con Montepaschi. Qualche anno prima, siamo nel 2001, Tremonti avrebbe voluto incrementare il peso degli enti locali nelle Fondazioni, soprattutto avrebbe voluto ridurre il peso della Fondazione Cariplo, che si poneva come un vero e proprio "contro-potere" anti-leghista in Lombardia. Si sarebbe trattato di un primo passo verso una ri-pubblicizzazione delle fondazioni. Più o meno quello che chiede - ora - il Sindaco di Siena. Ovviamente, la Fondazione Mps, che a quell'epoca aveva 12 membri su 16 nella Deputazione Generale nominati da Comune e Provincia, si straccia le vesti come se fosse messa in dubbio la propria autonomia, e segue le altre fondazioni sulla strada giudiziaria, fino al ricorso alla Corte Costituzione. Che produce le sentenze 300 e 301 del 2003. Dalla penna di Zagrebelsky, lo stesso del 'no' al referendum. Ma questo è tutto un altro discorso...).
Ceteris paribus, se la Fondazione avesse avuto il 30% di Montepaschi e non oltre il 50%, oggi avrebbe un patrimonio di un paio di miliardi di Euro. La Banca l'avrebbe persa lo stesso, e se la ricomprasse di nuovo la riperderebbe: purtroppissimo Sienina è in Italia e l'Italia è nell'UE, per cui... (ricordiamolo).

I.b  Le scelte del Tesoro
Ripeto: stante l'attuale framework giuridico e le connesse dinamiche economiche, una grande banca nazionale indipendente controllata dalla Fondazione Mps era ed è impossibile.
Di contro, una Fondazione forte e ricca, che agisce anche in ambito finanziario ma che soprattutto si concentra sullo sviluppo del proprio territorio, avrebbe potuto esistere.
Quello che, però, a Siena spesso non è chiaro è che il punto di discrimine fra ciò che è e ciò che sarebbe potuto essere non deriva dall'acquisto di Antonveneta, né dal relativo aumento di capitale, bensì dal successivo del 2011, quando la Fondazione - per mantenere la propria quota - raggiunse oltre un miliardo di Euro di indebitamento.
La domanda, giustissima, che tutti si pongono, attiene ovviamente a come sia stato possibile, per il Tesoro, autorizzare una follia di questo genere.
A spiegarlo è direttamente Vittorio Grilli al PM di Siena, così come è possibile leggerlo in un bell'articolo di Camilla Conti: "quanto al secondo aumento di capitale del giugno 2011, che fa indebitare ulteriormente l’ente senese con un pool di 11 banche, Grilli aggiunge: «l'autorizzazione è stata data per l’importanza di finalizzare un aumento di capitale a salvaguardia dell’integrità della banca stessa e quindi dell’investimento stesso della Fondazione [da «e quindi...» la frase è una scusa postuma, anche poco riuscita visti gli sviluppi successivi, N.d.R.]. Non essendo contra legem era poi nel giudizio della Fondazione considerare bene i rischi. Questo non pregiudica l’opportunità che la Fondazione, procedesse a una diluizione e a una maggiore diversificazione degli investimenti» [Se la scelta fosse o meno contro la legge - in particolare contro gli artt. ...., ...., e ... dello Statuto della Fondazione, lo stabilirà presto un giudice civile, N.d.R.]. Morale: l’autorizzazione alla partecipazione all'aumento di capitale dal punto di vista del Tesoro rafforzava sia la banca sia l’investimento della Fondazione. Perché, conclude Grilli, «la preoccupazione del Tesoro era anche quella di salvaguardare il sistema finanziario italiano». A ogni costo.".
Anche la Fondazione, all'epoca dei fatti, sposava questa tesi: "qualcuno ha criticato la necessità, per una fondazione (con conseguente autorizzazione del Ministero) di mettere a rischio la propria attività erogativa futura in nome della difesa della proprietà di Banca Mps, stravolgendo di fatto la natura stessa di un Ente che, per definizione, non dovrebbe contrarre debito rilevante. Ma la difesa della senesità di Montepaschi è un nostro fine statutario così come l'attività filantropica... La verità e che il debito della fondazione è servito a garantire il successo della ricapitalizzazione della terza forza del sistema bancario italiano, con in pancia, come le più importanti banche del nostro Paese, notevoli quantità di debito pubblico italiano. Un Interesse nazionale con la I maiuscola, e ciò il Ministero, che aveva spinto per il rafforzamento patrimoniale della Banca, lo ha capito molto bene. Forse nessuno se ne è accorto, ma nei giorni scorsi a Siena si è compiuta, con pieno successo [sic!, N.d.R.], un'operazione che rimarrà nella storia della finanza [in effetti..., N.d.R.], per la sua importanza nel sistema bancario italiano".
Non ci vuole Pico della Mirandola a capire due cose: (i) che si tratta dell'ammissione, da parte del Ministero, di aver sacrificato i risparmio plurisecolari di una comunità sull'altare della stabilità finanziaria del Paese (un bail-in anzitempo, che ha riguardato una città intera), per cui - se Fmps non avesse proposto di aderire - probabilmente il Mef l'avrebbe imposto; (ii) qualora la Fondazione avesse avuto una quota molto inferiore, il Tesoro non si sarebbe mai sognato di approvare una operazione di quel genere.

II. La politica nazionale
Che i politici romani si siano molto interessati a Mps, come a tutte le banche, è vero. Che il PD ed i suoi antenati vi abbiano spadroneggiato (più Veltroni, Bassanini, Amato, Berlinguer, che D'Alema, a onor del vero) è un fatto. Che Forza Italia fosse "stampella del sistema" lo stesso. Ugualmente, è patrimonio comune che le nomine nel C.d.A. dell'Istituto si facessero in accordo con Roma, prima con le riunioni, poi con WhatsApp.
Ma il problema, o almeno il problema più importante, non è questo.
L'attuale classe dirigente, in particolare quella del PD, è responsabile del disastro del Monte soprattutto per aver approvato norme che l'hanno (se non prodotta) quanto meno assai aggravata, rendendola poi - con l'inerzia renziana - sostanzialmente incurabile.
A cosa mi riferisca l'ho già detto, in parte, sopra. Ma lasciamo pure da parte gli antecedenti "di fondo" (a partire dalle due scelte perniciose del "divorzio" fra Banca d'Italia e Tesoro e quindi dell'adesione, a un cambio palesemente sopravvalutato, all'Euro) per concentrarci solo su alcune specifiche decisioni e sui loro terribili effetti.
Il governo Ciampi - padre di tutti i tecnici e di tutte le "Grandi Coalizioni" - appronta, a settembre 1993, il nuovo Testo Unico Bancario, che riprende le spinte delle prime due Direttive in materia della Commissione e porta sia alla definitiva liberalizzazione della proprietà. degli Istituti di credito (cioè alla abolizione dell’obbligo del controllo pubblico sulle banche trasformate in S.p.A.), sia al definitivo superamento della specializzazione "per legge" (cioè alla ammissione nel nostro ordinamento della "banca universale"). Il triennio 1992-1994 è d'altronde quello delle grandi privatizzazioni, quanto meno dal punto di vista formale. Saranno poi i governi Prodi e D'Alema, tra 1998 e 1999, a mettere a punto la riforma che farà nascere le fondazioni bancarie.
Come ho cercato di dimostrare, proprio tutte queste modifiche normative, unitamente al progredire dell'integrazione europea e all'introduzione dell'Euro, sono alla base del processo di consolidamento del settore bancario italiano nella prima metà degli anni Duemila, fino alla crisi del 2008 che interrompe in modo violento il trend.
Eh, direte voi, ma il consolidamento è un bene! Mica è colpa dei nostri politici se la finanza italiana non era pronta a competere con i colossi europei.
Il discorso, in realtà, va ribaltato.
Un ceto politico che ha a cuore le sorti del proprio Paese non lo getta nei marosi quando sa che quel bambino non può ancora nuotare; prima gli insegna, quindi, quando è pronto, lo fa competere. Questa è la colpa storica - la gravissima colpa storica - di chi ha governato l'Italia da Mani Pulite (del 1992, et pour cause...) ad oggi.
Sì, ad oggi.
Perché non consolidare le banche al momento opportuno per rispettare ridicoli vincoli di bilancio, per di più rendendole ancora più vulnerabili a causa della perseguita distruzione della domanda interna (Monti), accettare l'Unione Bancaria senza l'introduzione dell'EDIS (Letta e Saccomanni), infine esserne l'esecutore attuando in Italia - senza se e senza ma - la normativa sul bail-in (Renzi) è appunto questo: pretendere di far competere un pesce e una gazzella, ma soltanto dopo aver alluvionato la pianura.

Questa è la verità. Questa è la colpa vera del PD. Parlare del resto, di tutto il resto - sì ma Verdini, sì ma la corruzione, o (a Siena) sì ma Banca 121, sì ma le nomine - è un modo per distrarre, dunque per fare, oggettivamente, il gioco dell'avversario. Perché prendersela con questo quell'esponente di un partito permette di cambiare esponente e salvare il partito, quando invece è la stessa ideologia dominante che deve essere modificata in radice.
Altrimenti, tutto cambierà. Per non cambiare nulla. Un'altra volta.

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