κακοῖς τὸ κέρδος τῆς δίκης ὑπέρτερον
Euripide, fr. 760
Papa Francesco è uso prodursi in uscite spesso non proprio collimanti con la tradizione della Chiesa di cui dovrebbe essere il Pastore.
Ultimamente, però, ha dato il peggio di sé (insieme ad altri, a dire il vero) nell'entusiastica adesione - in occasione della celebrazione dei 60 anni dal Trattato di Roma - al progetto dell'Unione Europea. Un progetto che, fra le mille altre cose, è intimamente anticristiano, poiché anticristiana è la dottrina socioeconomica che ne informa non solo i Trattati, ma anche la quotidiana prassi politica.
D'altronde, quello religioso non è un problema che assilli particolarmente un Papa che - da successore di Pietro - si è trasformato in una specie di sociologo à la page, qualcosa a metà fra György Lukács e Domenico De Masi. Nel suo lungo discorso ai Capi di Stato e di Governo del 24 marzo, ricorrono: la parola "Bibbia" 1 volta, l'aggettivo "evangelico" 1 volta, i termini "cristiano o cristianesimo" 2 volte (in relazione a una citazione di Giovanni Paolo II), la parola "Signore" 1 volta (in occasione della benedizione finale, che non era proprio evitabile). Si aggiunge una citazione, completamente decontestualizzata e obiettivamente incomprensibile agli ascoltatori, di 1Cor. Il sostantivo "Cristo" non appare mai. Nemmeno parliamo del nome "Gesù".
Di che cosa ha parlato allora il Papa?
Prima si è scagliato contro il protezionismo, cioè contro Trump: "dalla solidarietà nasce la capacità di aprirsi agli altri. «I nostri piani non sono di natura egoistica», disse il Cancelliere tedesco Adenauer. «Senza dubbio, i Paesi che stanno per unirsi (…) non intendono isolarsi dal resto del mondo ed erigere intorno a loro barriere invalicabili», gli fece eco il Ministro degli Affari Esteri francese Pineau". Che il surplus commerciale tedesco - e le modalità con cui viene perseguito - non abbia connotazioni egoistiche mi pare piuttosto opinabile, ma tant'è.
Poi si è di nuovo scagliato contro i muri, cioè contro Trump: "in un mondo che conosceva bene il dramma di muri e divisioni, era ben chiara l’importanza di lavorare per un’Europa unita e aperta e la comune volontà di adoperarsi per rimuovere quell'innaturale barriera che dal Mar Baltico all'Adriatico divideva il continente. Tanto si faticò per far cadere quel muro!". Sebbene la frasi suoni abbastanza bizzarra in bocca a un Papa, riuscendo a parlare del Muro di Berlino senza citare né Giovanni Paolo II, né il comunismo, ha comunque il pregio (forse involontario) di riconoscere la ragione geo-politica principale che portò alla nascita dell'Unione, oltre che indicare - ancorché indirettamente - la Potenza più interessata alla sua realizzazione.
Infine, il solito fritto misto: Leuropa che ci ha dato la pace (il che dimostra che il Papa, per diventare un sociologo serio, deve quanto meno iniziare a leggere la stampa internazionale), l'apertura ai "migranti" ("...oggi... si è persa... la consapevolezza del dramma di famiglie separate, della povertà e della miseria che quella divisione provocò. Laddove generazioni ambivano a veder cadere i segni di una forzata inimicizia, ora si discute di come lasciare fuori i «pericoli» del nostro tempo: a partire dalla lunga colonna di donne, uomini e bambini, in fuga da guerra e povertà, che chiedono solo la possibilità di un avvenire per sé e per i propri cari"), la rinuncia - non sofferta, anzi condivisa - a qualsiasi richiamo alle radici cristiane del Continente ("nella fecondità di tale nesso sta la possibilità di edificare società autenticamente laiche, scevre da contrapposizioni ideologiche, nelle quali trovano ugualmente posto l’oriundo e l’autoctono, il credente e il non credente").
A tutto questo, si aggiunge un attacco a testa bassa (forse, anche un pugno) ai "populismi": "l’Europa ritrova speranza nella solidarietà, che è anche il più efficace antidoto ai moderni populismi... Al contrario, i populismi fioriscono proprio dall'egoismo [io direi, dagli egoismi: N.d.R.], che chiude in un cerchio ristretto e soffocante e che non consente di superare la limitatezza dei propri pensieri e «guardare oltre». Occorre ricominciare a pensare in modo europeo, per scongiurare il pericolo opposto di una grigia uniformità, ovvero il trionfo dei particolarismi" (sempre più d'uno, sia mai che la Boldrini si sturbi, N.d.R.).Milano, Papa alla Case Bianche tra selfie e autografi: ''Chiesa si apra ai non cristiani'' https://t.co/ouKZ5DSVXZ— la Repubblica (@repubblica) 25 marzo 2017
La Nuova Dottrina Papale (per comodità, NDP) è del tutto omogenea, se non addirittura sovrapponibile, all'agenda liberal di certi circoli statunitensi, quelli dei Clinton, degli Obama, dei Soros, volto alla decostruzione degli Stati nazionali e delle specificità etniche (a questo serve, essenzialmente, l'invasione dei migranti, che il Papa auspica non solo accolti, ma anche resi cittadini), a favore di un informe globalismo finanziario (il che fa ritenere meno peregrine di altre le teorie del complotto in merito all'abdicazione di Benedetto XVI). Questa specie di NWO prende il nome, nella NDP, di "nuovo umanesimo europeo"; come ben spiega il discorso di Francesco in occasione del ritiro del Premio Carlo Magno (primo vincitore, Kalergi), si tratta del riconoscimento della dottrina dei "diritti umani".
Ma cosa c'entra l'Unione Europea con la Dottrina cattolica? Cosa c'entra col Cristianesimo la dottrina dei "diritti umani"?
I pilastri che reggono l'impalcatura europea sono due:
- dal punto di vista delle libertà civili, l'art. 6 del TUE (Trattato di Maastricht), che "costituzionalizza" la Carta di Nizza e incorpora come "principi generali dell'Unione" i diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU e dalle tradizioni costituzionali dei singoli Paesi ("l'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000..., che ha lo stesso valore giuridico dei trattati... L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali... I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali");
- dal punto di vista del sistema economico-sociale, una "crescita economica equilibrata" basata "sulla stabilità dei prezzi [e] su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva..." (art. 3, c. 3, del medesimo Trattato di Maastricht).
Iniziamo dalla dottrina dei "diritti umani".
La Carta di Nizza (e lo stesso vale per la CEDU) appare, a una prima lettura, del tutto condivisibile (e assolutamente condivisa in documenti ufficiali della Chiesa). Tutela in primo luogo la dignità umana (art. 1), e dunque il diritto alla vita (art. 2 e art. 2 CEDU), all'integrità psico-fisica (che comporta anche il divieto di pratiche eugenetiche e "di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali fonte di lucro": art. 3), ad un lavoro dignitoso (cosa che comporta il divieto della schiavitù all'art. 5 e all'art. 4 CEDU, il diritto al lavoro all'art. 15, i diritti all'informazione, alla contrattazione collettiva, alla tutela in caso di licenziamento illegittimo e a condizioni di lavoro eque: artt. da 27 a 32) ed alla sicurezza sociale, abitativa e assistenziale (art. 34). Vi sono poi le classiche libertà illuministiche (diritto alla libertà e alla sicurezza: art. 6 e art. 5 CEDU; diritto a sposarsi ed avere una famiglia, che viene anche autonomamente tutelata: artt. 9 e 33; libertà di coscienza, di pensiero, di espressione, di religione e di culto: artt. 10 e 11, artt. 9 CEDU e 10 CEDU; libertà di riunione e associazione: art. 12 e art. 11 CEDU; diritti di proprietà di libertà di impresa: artt. 16 e 17; diritto di asilo: art. 18; nullum crimen sine lege: art. 6 CEDU). Un posto importante ha anche il diritto all'istruzione (art. 14). Il principio di uguaglianza è declinato nelle forme dell'uguaglianza formale (art. 20) e della non discriminazione (art. 21), con azioni positive previste soltanto per il raggiungimento della parità di genere (art. 23, c. 2) e a tutela di categorie particolarmente deboli (art. 24: diritti dei minori; art. 25: diritto degli anziani a "condurre una vita dignitosa e indipendente"; art. 26: autonomia e inserimento sociale dei disabili). Completano il quadro il diritto alla salute (art. 35), la tutela dell'ambiente (art. 37) e, differentemente dalla nostra Costituzione, la protezione dei consumatori (art. 38).
Senonché l'applicazione di queste Convenzioni porta a risultati alquanto opinabili (almeno da quello che dovrebbe essere il punto di vista di un Papa che si ricordi di essere tale). I "diritti umani", infatti, al di là delle petizioni di principio delle "Carte", sono spesso interpretati nel senso della valorizzazione dei "diritti cosmetici" rispetto ai "diritti sociali", nel quadro di una ideologia basata sul nichilismo etico e l'idolatria del libero mercato.
Così, tanto per fare qualche esempio pratico, se la Corte di Strasburgo ha, quanto meno, ritenuto che non sia un "diritto" l'utero in affitto (ma ci sono voluti due gradi di giudizio), tuttavia ha - nel tempo - stabilito la liceità dell'aborto e del suicidio assistito (sia pure in modo sempre molto cauto), dei matrimoni omosessuali, dei connessi "diritti" alla step-child adoption e all'adozione da parte di coppie gay. Insomma, tutte cose degnissime, che però - a quel che risulta - non dovrebbero essere graditissime in Vaticano. Lo stesso dicasi della recente sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee relativa alla liceità del divieto di velo islamico sul posto di lavoro che - vissuta da molti cristiani all'acqua di rose come una vittoria - è in realtà una cocente sconfitta (perché apre alla liceità di divieto di ogni e qualsiasi simbolo religioso).
In sostanza, la Carta di Nizza e la CEDU - e in generale tutta la costruzione leuropea - hanno un impianto che, pur annacquandone l'ispirazione in un vago umanitarismo kantiano, tuttavia si qualifica per la subordinazione dell'etica all'economia (di mercato) e, pertanto, nell'assoluta assenza di una dimensione "comunitaria" dell'individuo. L'homo oeconomicus è di per sé a-morale; pertanto può, nel suo privato, fare letteralmente quello che gli pare (cosa che, di contro, gli è impedita all'interno dei rapporti di produzione). Ciò comporta che, per fare un esempio in tema d'aborto, il diritto alla vita debba garantire il membro attuale della comunità (divieto della condanna a morte: art. 2); o che, per farne un altro, il dibattito sulla prostituzione prescinda, a quel che mi risulta, dalla valutazione dell'art. 3, c. 3, della Carta di Nizza. Non è un caso se l'art. 3 del TUE parla semplicemente di "patrimonio culturale europeo", senza alcun accenno ai "valori cristiani", come pur richiesto a suo tempo da Giovanni Paolo II.
Ma se la Carta di Nizza e la CEDU sono, diciamo così, a-morali e a-religiose (per tutto quello che si è detto sopra), la concreta prassi delle élite leuropee è invece dichiaratamente anticristiana (rectius: anti-cattolica). Non ci si accontenta più di accogliere i "migranti", ma si vanno direttamente a prendere in Libia consigliandoli poi di passare come "minori non accompagnati", tanto c'è la nuova legge; si impone un nichilismo etico e un appiattimento culturale che sostituisce il "brutto pop" al bello; si distrugge la famiglia tradizionale in quanto cellula base della nostra civiltà sin dall'antichità, e insieme alla famiglia la stessa distinzione naturale tra uomo e donna; e così via (sulla materia consiglio il blog di Barbara Tampieri, che di queste problematiche si interessa da anni).
E quest'opera di destrutturazione dell'essere umano, che da membro di una comunità, con dei valori, una tradizione, una fede condivisa o quanto meno conosciuta (perché tutti dobbiamo dirci cristiani, dice Croce), diviene una monade alienata, un lavoratore (da sradicare e sfruttare ovunque sia maggiormente conveniente per il capitale) e un consumatore (non a caso oggetto di protezione autonoma nella Carta di Nizza) è iniziata a partire dai bambini.
I film della Disney, in questo, sono la perfetta metafora di tutto uno star system che è scientificamente volto alla destrutturazione della società occidentale (così che i genitori di una bambina incoraggiata sulla via transgender divengono addirittura ammirevoli).
I film Disney, dicevo. A volte certe cose risultano anche troppo ovvie: Zootropolis è un film che insegna il rispetto per il diverso, l'inclusività a tutti i costi, un certo disprezzo per le forze dell'ordine, l'orrore per coloro che costruiscono muri e non ponti, e così via misticheggiando; Oceania è tutto un inno alla migrazione vista dalla parte - assai agiografica - del migrante (i "vecchi" vogliono rimanere sull'isola; i "giovani" andarsene). Lo sceneggiatore di entrambi i film - non a caso l'uno rivolto a un pubblico essenzialmente di bambini, l'altro essenzialmente di bambine - è lo stesso e si chiama Jared Bush, il quale ha candidamente ammesso che "sia suo padre che suo nonno hanno lavorato per la CIA". D'altronde, più d'uno ha visto in Zootropolis una neanche troppo velata messa in scena della vicenda relativa all'utilizzo, proprio da parte della CIA, dei proventi del traffico della droga a Los Angeles a favore dei contras nicaraguegni. La stessa CIA che, pare, ha aiutato Walt Disney ad acquisire i terreni su cui è nato Disney Word in Florida. Ma questi film sono apparentati anche da un'altra peculiarità, e cioè un atteggiamento iper-femminista e a tratti eterofobo, che li mette sulla scia di Frozen, non a caso il più idolatrato film da parte delle bambine di mezzo mondo. Chissà che a breve non venga sostituito dal nuovo "La Bella e la Bestia" versione GLBT.
Poi vi è anche la vera e propria scristianizzazione, soprattutto attraverso una rilettura annacquata e "politicamente corretta" delle principali festività della tradizione.
Per la maggioranza dei bambini inglesi, ad esempio, Natale ha a che fare col noto personaggio vestito di rosso o con i regali, ma non con la nascita di Gesù. Natale - secondo i cartoni animati anglosassoni - è genericamente un giorno in cui si sta in famiglia e ci si vuole tutti più bene. In una puntata di Handy Manny, ad esempio, c'è una specie di "festa della bontà" che per Manny si chiama Natale, mentre per altri personaggi si chiama Hanukkah, Kwanzaa, e così via. Ci manca solo l'antico romano tornato in vita che festeggi il Sol Invictus.
In "Rise of Guardians" ("Le cinque leggende") della Dreamwork, Pasqua significa soltanto dipingere le uova, portate da un orrendo Coniglio Pasquale da 2 metri di altezza. Per aggiungere danno alla beffa, la traduzione italiana ribattezza Santa Claus non col comune nome di "Babbo Natale", ma col nome di "Nord". Tante volte qualche bambino chiedere spiegazioni...
Tralascio le orrende puntate natalizie di serie per ragazzi un po' più grandi, tipo "Teen Titans Go" o "Gumball", in cui il Natale è tratto alla stregua di altri bizzarri rituali, tipo Halloween.
Può un Papa accettare tutto questo?
Pare di sì, soprattutto se si tratta di questo Papa.
Questo nichilismo etico (sostituito dalla pappa dell'amore e dell'amistà, dalla solidarietà un tanto al chilo, da un interesse - fede? - per la natura e per gli animali assai maggiore di quello mostrato per gli uomini) è, d'altronde, la normale conseguenza della "economia sociale di mercato fortemente competitiva" che informa di sé i Trattati.Nel Duomo di Milano. Bergoglio (SEDUTO) davanti al Santissimo. Come sempre seduto. pic.twitter.com/uHsCs1G4XX— Antonio Socci (@AntonioSocci1) 25 marzo 2017
Si tratta di una definizione particolarmente efficace dell'ordoliberalismo che permea la costruzione europea, nonché - secondo le parole di Mario Draghi - la "costituzione monetaria della BCE".
Ma cosa è l'ordoliberalismo (o ordoliberismo)?
Per chi vuole approfondire il tema (nonché i rapporti genetici con la nascita e lo sviluppo dell'Unione Europea che, detto per inciso, è un progetto disumano, non un progetto umanista divenuto qualcosa di diverso) consiglio, per intero, il blog di Luciano Barra Caracciolo, in particolare partendo da questo post e quindi continuando con questo post e questo post (con la sterminata bibliografia dei link attivi).
Io mi limito a qualche nozione di base, tratta da questo interessante articolo.
L'ordoliberismo "è un modello economico... [e] sociale... sviluppatosi in Germania negli anni ‘30... attorno alla figura di Walter Eucken, assumendo poi il nome di Scuola di Friburgo... Un liberalismo che vuole essere diverso da quello ottocentesco e che si propone di garantire la libertà di mercato ma anche la giustizia sociale, nella convinzione che la realizzazione dell'individuo possa aversi solo se vengono garantite la libertà di impresa, di mercato e la proprietà privata. Poiché tuttavia tali condizioni non sono automatiche (e gli ordoliberali, a differenza dei neoliberisti della Scuola austriaca non credevano alla mano invisibile), lo stato deve intervenire laddove esse siano compromesse. Lo stato però non deve governare il mercato e indirizzarlo verso fini umani e sociali ma deve piuttosto, pedagogicamente, promuovere il mercato, attivarne la funzione sociale (il benessere) e produrre quindi una società ordoliberale, o meglio di mercato, in funzione del e funzionale al mercato. Lo stato non è il nemico, come per i neoliberisti e deve intervenire sul mercato per ripristinarlo (promuovendo la concorrenza e combattendo i monopoli) nella sua essenza pura. Da qui l’importanza del diritto nella costruzione delle regole del gioco (ma di un gioco di mercato), per cui occorre realizzare una costituzione economica per migliorare ma soprattutto per costruire il sistema dell’economia di mercato. Eucken, assegnava allo stato la funzione di guardiano dell’ordine concorrenziale, che a sua volta era considerato come un bene pubblico. Ma dovrebbe risultare oggi chiaro ed evidente come lo stato ordoliberale non sia un arbitro che fa rispettare le regole del gioco, quanto un arbitro di parte, che fa le regole per il mercato, promuovendo il mercato inteso come forma economica che deve diventare forma esistenziale individuale e sociale, essere insieme disciplina e biopolitica... Perché se il diritto diventa regola del gioco che lo stato dà per lasciare poi ciascuno libero di giocare il suo personale gioco – come appunto volevano gli ordoliberali - ma se il gioco che si deve giocare è quello del capitalismo, allora la regola del gioco non è imparziale né liberale (si cancella infatti ogni separazione e bilanciamento tra il potere economico e quello politico e giuridico), ma parzialissima e pedagogica, governamentale appunto, a profitto del gioco del capitalismo andando a modificare i modi e le forme di comportamento di ciascuno e dell’insieme, modi e forme sempre meno sociali e umanistiche e sempre più economiche e imprenditoriali. E libertà, uguaglianza e fraternità cedono il passo a impresa, mercato e competizione. La forma mercato deve cioè diventare forma sociale. Allora è utile rileggere... Röpke... [e] la sua... distinzione tra stato sano (che genera la pacifica e volontaria subordinazione dei molti ai pochi che sanno governare)... e stato malato (quello dell’accentramento delle risorse e del potere nelle mani di gruppi organizzati); mentre su welfare e politiche sociali sosteneva come non bisognasse oltrepassare una certa soglia di intervento per non spezzare la molla segreta di una sana società, vale a dire il senso della responsabilità individuale...".
Non è un caso che né la Carta di Nizza né la CEDU prescrivano, al contrario della nostra Carta Costituzionale, l'uguaglianza sostanziale accanto all'uguaglianza formale. Solo la seconda, infatti, è coerente con il dogma del mercato, della concorrenza e della meritocrazia (tutti feticci dell'ordoliberismo di ieri e di oggi).
Sarebbe allora interessante domandarsi quanto fosse conscio, Röpke, di ricercare un certo risultato utilizzando mezzi che avrebbero, di fatto, condotto a un risultato opposto. "Che cos'è il liberalismo? Esso è umanistico. Ciò significa: esso parte dalla premessa che la natura dell'uomo è capace di bene e che si compie soltanto nella comunità, che la sua destinazione tende al di sopra della sua esistenza materiale e che siamo debitori di rispetto ad ogni singolo, in quanto uomo nella sua unicità, che ci vieta di abbassarlo a semplice mezzo. Esso è perciò individualistico oppure, se si preferisce, personalistico". Questo "personalismo" è rimasto nella mancanza di limite ai "capricci" del consumatore (che anzi, spesso, sono addirittura indotti), ma si è perso del tutto nei rapporti di lavoro, perché il "mercato" e la "uguaglianza formale" - soprattutto in in contesto in cui i corpi intermedi, che invece erano valorizzati dall'ordoliberismo storico e lo sono vieppiù nel Magistero della Chiesa, sono mortificati quando non del tutto ignorati - comportano una enorme sperequazione fra chi detiene i capitali e chi offre il proprio lavoro.
Oggi, chi detiene capitali sfrutta (Uber, Foodora, McDonald's, Ikea). Chi offre lavoro è sfruttato (voucher, mini-job, licenziamento per motivi economici).
Questo non è cristianesimo.
Sicuramente non è cattolicesimo e, in particolare, Dottrina Sociale della Chiesa, basata:
- sul bene comune (che "non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale" e che, "essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro") cui deve essere rivolta anche la proprietà (che dunque non è, esattamente come nella nostra Costituzione, un diritto assoluto),
- sulla sussidiarietà ("è impossibile promuovere la dignità della persona se non prendendosi cura della famiglia, dei gruppi, delle associazioni, delle realtà territoriali locali, in breve, di quelle espressioni aggregative di tipo economico, sociale, culturale, sportivo, ricreativo, professionale, politico, alle quali le persone danno spontaneamente vita e che rendono loro possibile una effettiva crescita sociale"),
- e sulla solidarietà (basata sulla vita di Gesù, l'uomo solidale per eccellenza, addirittura "fino alla morte di croce").
Per questo motivo il lavoro ha "la sua peculiare dignità, che impedisce di considerarlo come una semplice merce o un elemento impersonale dell'organizzazione produttiva", anzi "il lavoro, per il suo carattere soggettivo o personale, è superiore ad ogni altro fattore di produzione: questo principio vale, in particolare, rispetto al capitale". Non solo: "se l'uomo è alienato quando inverte mezzi e fini, anche nel nuovo contesto di lavoro immateriale, leggero, qualitativo più che quantitativo, si possono dare elementi di alienazione « a seconda che cresca la ... partecipazione [dell'uomo] in un'autentica comunità solidale, oppure cresca il suo isolamento in un complesso di relazioni di esasperata competitività e di reciproca estraniazione »".
Ma è sul "diritto al lavoro" che si riconosce l'enorme distanza fra ordoliberismo e dottrina sociale della Chiesa. Altro che mercato. Altro che stabilità dei prezzi (che comporta, sempre e comunque, un tasso naturale di disoccupazione). "Il lavoro è un diritto fondamentale ed è un bene per l'uomo: un bene utile, degno di lui perché adatto appunto ad esprimere e ad accrescere la dignità umana. La Chiesa insegna il valore del lavoro non solo perché esso è sempre personale, ma anche per il carattere di necessità. Il lavoro è necessario per formare e mantenere una famiglia, per avere diritto alla proprietà, per contribuire al bene comune della famiglia umana. La considerazione delle implicazioni morali che la questione del lavoro comporta nella vita sociale induce la Chiesa ad additare la disoccupazione come una « vera calamità sociale », soprattutto in relazione alle giovani generazioni. Il lavoro è un bene di tutti, che deve essere disponibile per tutti coloro che ne sono capaci. La « piena occupazione » è, pertanto, un obiettivo doveroso per ogni ordinamento economico orientato alla giustizia e al bene comune".
E si potrebbe continuare.
A tutto questo Papa Francesco - tutto preso a predicare la raccolta differenziata - non è molto interessato.
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