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martedì 15 novembre 2016

L'Euro finisce!

Alberto Bagnai ha da tempo dimostrato che l'Euro finirà ad esito di una terrificante crisi bancaria (il post completo lo potete leggere qui).
"Il botto finale potrebbe effettivamente presentarsi sotto forma di crisi bancaria in un paese grande... In termini finanziari il paese più suscettibile di innescare una crisi risolutiva resta l'Italia, per il semplice fatto che è, fra i grandi, il paese nel quale la qualità del credito si è deteriorata di più e più rapidamente... Dopo la botta del 2009 (inevitabile, data l'entità del crollo statunitense) il governo italiano, come quello spagnolo e quello francese, erano riusciti ad arginare la situazione. Fra 2008 e 2009 c'è uno scalino nella deteriorazione dei crediti erogati, ma fra 2009 e 2010 la situazione sostanzialmente si stabilizza. Dal 2011, però, con l'arrivo di Monti liberatore, per noi è una catastrofe...".

BENE. SECONDO ME, CI SIAMO.

Qualche mese fa, sulla scorte di quella lezione, avevo azzardato una previsione di massima.
Le cose sono andate per un verso più lentamente (il referendum si terrà a dicembre), per un altro più velocemente (la crisi di Montepaschi). Il che, però, crea una peculiarissima convergenza: la (auspicabile) crisi politica, la (più o meno) connessa crisi del debito pubblico e la (terribile) crisi bancaria potrebbero verificarsi tra fine 2016 e inizio 2017, tutte insieme.

La crisi bancaria
Montepaschi deve cedere 27 miliardi di sofferenze ad un prezzo di circa 9 miliardi. Una parte, per un controvalore di un miliardo e mezzo (la tranche mezzanine), se la dovrebbe comprare Atlante; un'altra (la tranche junior), più o meno per lo stesso controvalore, sarà regalata agli azionisti attuali della Banca; il resto, press'a poco 5 miliardi, sarà ceduta sul mercato, previo ottenimento della GACS e rimborso di un prestito ponte da parte di JP Morgan.
Per coprire gli interessi e le commissioni dovute all'Istituto americano, nonché le minusvalenze derivanti dalla cessione delle sofferenze a prezzo inferiore a quello di bilancio, e per ricostituire il capitale richiesto dalla Vigilanza europea, Montepaschi - tra dicembre 2016 e giugno 2017 - lancerà un aumento di capitale da 5 miliardi.
Il mercato tutto questi soldi non è disposto a darli.
Per questo, le alternative sono soltanto due: o gli attuali obbligazionisti subordinati (compresi i piccoli risparmiatori cui furono affibbiati più di 2 miliardi di upper Tier 2 al tempo dell'acquisto di Antonveneta) convertono almeno una metà degli oltre 4 miliardi di obbligazioni in loro possesso e, nel frattempo, il fondo del Qatar accetta di fare da anchor investor per almeno un paio di miliardi, oppure il Consorzio di garanzia si sfila e si va al bail-in.
In pratica: o burden sharing e svendita all'estero, o bail-in vero e proprio.
(Ricordo che qatarioti non sono samaritani. Si copriranno, come fatto con Barclay's. Ricordo anche che l'art. 2358, c.c., non è stato ancora abrogato).
Stamattina, per dire, si leggevano amenità di questo genere.
La lista, per chi fosse interessato, è questa (al netto - per il momento - del Fresh II, strumento talmente purulento che neppure la Banca riesce a capire cosa farne).


Poi c'è Unicredit, che deve vendere Pekao, Pioneer e una ventina di miliardi di sofferenze, poi trovare tra i 10 e i 15 miliardi per l'aumento di capitale (di cui una buona metà cash).
Miliardi che, anche in questo caso, il mercato non è disposto a sborsare.
Al contrario che per Mps, però, Unicredit ha già il cavaliere bianco. Si tratta di Société Générale, che (Antitrust permettendo) ne farà un sol boccone.
Un'altra società francese che entra a gamba tesa nel mercato italiano, come Axa per Generali (indipendentemente dalle smentite), come Vivendi per Mediaset e Telecom, come - in passato - Lactalis per la risanata Parmalat. Quando qualcuno parla di Euro 1 ed Euro 2, magari il secondo con i Paesi del Sud compresa la Francia, faccia un pensierino su queste dinamiche.
Non finisce qui.
Capitolo 4 banche oggetto di risoluzione lo scorso dicembre: è passato un anno ed è chiaro che le famose good bank non valgono assolutamente nulla. I geni che hanno pensato il bail-in, infatti, fra i tanti errori commessi, hanno aggiunto anche l'idea che il cliente buggerato da un Istituto potesse continuare a servircisi, soltanto perché qualcuno aggiunge un "nuova" all'insegna.

Del Veneto non ne parliamo: l'unica idea per salvare due banche fallite è fonderle insieme. In modo da fare un botto ancora più grosso. Meravigliose le parole - quasi poesia - di un giornale economico che di crisi se ne intende: "certo è che occorre fare presto [è una fissa: N.d.R.]. La Bce è in pressing, e così ha fatto anche nel corso di un incontro avvenuto la scorsa settimana con Alessandro Penati. Nessuna indicazione specifica in termini di strategie, ma Francoforte preme perché vuole evitare il rischio di «zombie-bank» [rischio...: N.d.R.]. Da qua la richiesta, a valle di alcune ispezioni sui crediti delle due banche, di ulteriori accantonamenti sugli Npl, che potrebbero comportare 2 miliardi circa di nuove provision [in realtà, saranno poco poco 2 miliardi e mezzo: N.d.R.], con effetti pesanti sul capitale delle due banche. Il problema sarebbe stato dettagliato anche nella bozza di lettera SREP inviata a fine settembre ad entrambi gli istituti, che si sono messe subito al ragionare sul da farsi. Certo è che le due banche sarebbero costrette a una ricapitalizzazione, anche se non è chiaro con quali capitali".
No, non è chiaro per niente.
Nel frattempo, quello che inizia a essere piuttosto chiaro è che nessuno, dico nessuno, è più al sicuro.
Tralascio le frattaglie: la Popolare di Bari che a breve si trasformerà in S.p.A. bruciando i risparmi di chissà quanti azionisti, la Popolare di Marostica che - grazie ad anni di falsi in bilancio - sta trascinando in un gorgo senza fondo la bolzanina Volksbank (anche questa in procinto di diventare una S.p.A.), la Sparkasse di Bolzano che - dopo aver dovuto effettuare un aumento da 270 milioni di euro - ha intentato un’azione di responsabilità contro i vecchi amministratori, e così via.
In sostanza. Il nostro sistema bancario è al collasso (e i presumo minori requisiti SREP che saranno diffusi a fine mese non credo cambieranno la situazione).

Crisi politico-finanziaria
Premetto che, secondo me, la risalita dello spread non ha nulla a che vedere con le vicende politiche italiane, se non che - così come accaduto prima della Brexit e della elezione di Trump - agiscono sui mercati certe "manine" il cui interesse è essenzialmente quello di seminare il panico (senza capire che la maggior parte delle persone, ormai, di soldi da parte non ne hanno più, e comunque quando vota è così esasperata che se ne sbatte).
Il nuovo project fear è già partito.
(Questo collabora con IBL. Per dire).
Ma, diciamo, è nato morto.

Tuttavia, indipendentemente dal risultato del referendum (anche e forse soprattutto se - come inizio a temere - vincerà il sì), la situazione dei conti pubblici italiani andrà sicuramente a deteriorarsi nei prossimi mesi, indipendentemente dal fatto che - come pare - la Commissione Europea (chi ha voglia, si può leggere il documento) decida o meno di riporre l'austerità tra i ferri vecchi (almeno per un po').
Il perché lo spiega molto bene e in poche righe, sulla propria pagina Facebook, Paolo Cardenà, il cui blog (da cui è tratta anche l'immagine qui accanto) consiglio a tutti caldamente.


In questo scenario (cui si aggiunge la sempre maggiore ostilità dei Paesi del Nord a politiche di QE da parte della BCE, stante sia la sofferenza del sistema pensionistico tedesco in un ambiente di tassi prossimo allo zero, sia la incipiente inflazione nella parte core della UE: vedi qui), le alternative per il governo sono poche e comportano tutte l'utilizzo della leva fiscale.
Che, a sua volta, provocherà non soltanto ulteriore deflazione, ma anche un altro peggioramento della situazione del sistema bancario, messo non tanto bene (come detto sopra). La frase di Bagnai a inizio post dovrebbe ricordare che se oggi ci troviamo con le pezze in determinate zone dei calzoni è soprattutto perché Monti ci ha tanto liberato, come titolò un altro giornale che, ci auguriamo, sparirà presto e definitivamente dalle edicole.


La spirale, che appare inarrestabile, può essere fermata soltanto al di fuori delle regole europee. Oppure sarà la catastrofe. Per questo non sono del tutto sicuro che Renzi - nonostante tutta la propaganda che sta mettendo in piedi - auspichi davvero di vincere il referendum (cosa che pure, forse, succederà), né di restare in sella in caso di no. Come nei migliori casi di eterogenesi dei fini, la bocciatura della riforma potrebbe essere il suo modo per salvarsi dall'abisso.

Qualcuno l'uscita dall'Euro (o la dissoluzione dell'Euro) - che, ripeto, è ormai imminente, diciamo nel 2017 - la dovrà gestire e non sarà una passeggiata.

Non è detto che il nocchiero di questa traversata sia anche colui che se ne avvantaggerà politicamente, nel medio periodo.

2 commenti:

  1. Grazie, molto interessante...non saprei se auspicare quanto sopra e gioire...o piangere...
    Scusi, ma perchè è così convinto della vittoria dei "SI"? Quali informazioni dispone?

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    1. Non ho informazioni diverse da quelle che ha un normale cittadino.
      Non sono convinto che vinca il Sì, anzi spero con tutte le mie forze che vinca il no.
      Però le chance di Renzi mi sembrano sempre maggiori sulla base di tre considerazioni:
      (i) la differenza tra Sì e No - secondo gli ultimi sondaggi - è nell'ordine dei 4 punti, che a livello statistico quasi corrispondono alla parità;
      (ii) molti di coloro che dichiarano di voler votare No sono giovani ed è noto che i giovani spesso dichiarano un voto ma poi non si recano alle urne (a mio parere le figuracce dei sondaggisti su Brexit e Trump si spiegano in parte anche con questa considerazione);
      (iii) i voti degli Italiani all'estero peseranno non poco a favore del governo.
      Ovviamente, spero di sbagliarmi!

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