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sabato 14 maggio 2016

Perché no!

PREMESSA.

Dunque, proprio ora che i Testimoni di Geova hanno smesso di suonare a tutti i campanelli (almeno dalle mie parti, hanno iniziato a mettere nelle piazze innocui gazebo, come un Passera qualunque), pare che dovremo resistere agli indemoniati del "Sì" al referendum costituzionale di ottobre, sguinzagliati su e giù per lo Stivale dal nostro Matteo preferito.
Chi legge questo blog - gli happy few, se posso - probabilmente utilizzerà le scuse classiche ("non c'è nessuno!", "ho la diarrea fulminante!", "la signora non è in casa!"). Io, per esempio, ho deciso che apro solo se viene Lei in persona.

Tuttavia, un referendum non si vince in 50, né in 500 e neppure in 5.000. Tanto più che, al di là delle dichiarazioni di facciata, credo che - forse per motivi diametralmente opposti - gli establishment di Forza Italia e M5s aiuteranno Renzi per quanto potranno. E lo stesso, ma non c'è neppure di dirlo, faranno i media, giornaloni e TV generaliste in testa.
Dunque, da qui a ottobre, sarà necessario (se sarà anche sufficiente, lo dirà il tempo) rispondere colpo su colpo, argomento su argomento.
È un compito molto difficile, anche perché la riforma - o deforma - costituzionale è stata costruita come la maggior parte delle legge renziane: alcune norme di contorno rispondenti al sentire comune di quel determinato momento, per lo più volte a titillare sentimenti pre-razionali di antipolitica (un caso per tutti: l'abolizione del CNEL); operazioni di ingegneria istituzionale propagandate come taumaturgiche per le magnifiche sorti e progressive del popolo italico, grazie all'utilizzo - nella narrazione nazionalpopolare - delle due paroline magiche, sempre le stesse (riforma, semplificazione); un impianto, non immediatamente percepibile, ma ben ponderato, volto al contrario allo svuotamento di spazi di democrazia e autodeterminazione.
Potremmo fare esempi importanti (il Jobs Act, di cui si sbandierano gli effetti sulla stabilizzazione del lavoro, ma sotto la vigenza del quale vi è stata la più ampia esplosione dell strumento dei voucher) o meno importanti (la bozza di legge sul Terzo Settore, talmente sul Terzo Settore che mette in concorrenza le cooperative sociali e le società vere e proprie).
E questo modus operandi si riverbera, ovviamente, anche sugli stessi nomi affibbiati - ufficialmente o a livello giornalistico - alle proposte di legge (si pensi all'Italicum contrapposto al Porcellum), nonché da ultimo, e di conseguenza, sul tenore del prossimo quesito referendario (il cui scandaloso testo trovate qui). Cosa che, in alcuni, ha scatenato un qualche comprensibile fastidio.
Ad altri, reminiscenze di un tempo che si pensava passato.
A questo giro la cosa si fa ancora più complicata, visto che Renzi - non proprio tranquillissimo sul risultato finale - ha trasformato la consultazione in una specie di plebiscito sulla sua persona. Cosa preoccupante, come si legge nelle considerazioni critiche di ben 56 professori di diritti costituzionale: "siamo... preoccupati per il fatto che il testo della riforma – ascritto ad una iniziativa del Governo – si presenti ora come risultato raggiunto da una maggioranza (peraltro variabile e ondeggiante) prevalsa nel voto parlamentare... anziché come frutto di un consenso maturato fra le forze politiche; e che ora addirittura la sua approvazione referendaria sia presentata agli elettori come decisione determinante ai fini della permanenza o meno in carica di un Governo".
Così che, da questo punto di vista, credo di dover fare una cosa che mi capita assai di rado, cioè dare ragione a quello che dice - qui accanto - Salvatore Settis.
Infatti, il punto è proprio questo: scovare, pazientemente, "cosa va e cosa non va in questa riforma", comprenderlo e farlo comprendere, con chiarezza, senza gli slogan dementi del Ministro Boschi, ma neppure con aridi tecnicismi.
Ora, secondo me questo lavoro deve essere portato avanti su due piani: quello dell'analisi complessiva della riforma, dei suoi obiettivi a lungo termine per così dire, e quello della verifica minuziosa delle disposizioni.
L'analisi complessiva è infatti necessaria per veicolare, con chiarezza, i motivi profondi del "No!" a quello che, di fatto, è un tentativo di liquidazione dell'interno del sistema politico, sociale  e valoriale nato con la Costituzione del 1948, l'acribia interpretativa per rispondere, a tono, alla propaganda delle varie Maria Medici che incontreremo.

LIQUIDAZIONE DALL'INTERNO.
L'Appello di Indipendenza e Costituzione (cliccate, leggete, scrivete al Comitato, firmate!) spiega molto bene come sta la questione: "quello che rende inaccettabile questa riforma costituzionale è la legge elettorale che vi si affianca. È una legge  pensata per avere un parlamento i cui membri siano designati dalle oligarchie dei partiti, invece che dal voto dei cittadini. Una legge che contiene un premio di maggioranza al fine di consentire governi di minoranza".
Si tratta dello stesso punto di vista dei "56 professori" citati sopra: "si è configurato un Senato estremamente indebolito, privo delle funzioni essenziali per realizzare un vero regionalismo cooperativo... In esso non si esprimerebbero le Regioni in quanto tali, ma rappresentanze locali inevitabilmente articolate in base ad appartenenze politico-partitiche (alcuni consiglieri regionali eletti... anche come senatori, che sommerebbero i due ruoli, e in Senato voterebbero ciascuno secondo scelte individuali). Ciò peraltro senza nemmeno riequilibrare dal punto di vista numerico le componenti del Parlamento in seduta comune, che è chiamato ad eleggere organi di garanzia come il Presidente della Repubblica e una parte dell’organo di governo della magistratura: così che queste delicate scelte rischierebbero di ricadere anch'esse nella sfera di influenza dominante del Governo attraverso il controllo della propria maggioranza, specie se il sistema di elezione della Camera fosse improntato (come lo è secondo la legge da poco approvata) a un forte effetto maggioritario".

Tradotto per i non cattedratici: chi vince le elezioni (eventualmente al ballottaggio, un voto in più del secondo) prende tutto, parlamento, governo, Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale.
Per di più, in un contesto istituzionale in cui anche la periferia perde sensibilmente di potere rispetto al centro (le Regioni sono private di molte delle attuali competenze legislative, le province sono del tutto abolite).
Quelli fichi la chiamano stabilità. Gli altri usano termini più desueti. 

Questo è il punto vero.
Non è per risparmiare denaro (se ne risparmierà assai poco, e comunque "il costo maggiore della politica sono le decisioni sbagliate"), non è per velocizzare un sistema legislativo che, quando vuole essere rapido, lo sa essere anche più che in regimi monocamerali (leggete qui accanto, o qui per esteso, cosa ne pensa il prof. Pasquino), non è per nessuna delle motivazioni che saranno strombazzate nei prossimi mesi.

PERCHÉ NO!
Ciò detto, resta comunque un interrogativo che non può essere aggirato.
Perché?
Per quale ragione Matteo Renzi avrebbe addirittura messo a rischio la propria carriera politica per una riforma che, in primo luogo, dovrebbe esorbitare dalle attribuzioni del Governo per essere competenza specifica del Parlamento e che, inoltre, nel suo impianto autoritario rischia di rivoltarsi anche contro i suoi interessi, ove a vincere le successive politiche fosse una forza diversa dal PD (p.e. il M5s)?
La risposta è trieste ma univoca.
Perché questo governo non fa né gli interessi del Paese, né i propri, ma è subordinato alle volontà delle élites finanziarie mondiali, che ne dettano agenda e contenuti.

Riporto ancora dall'Appello di Indipendenza e Costituzione: "la nostra Costituzione ha... parecchi nemici aperti e nemici coperti che non vedono l’ora di celebrarle un frettoloso funerale... I nemici della Costituzione Italiana, vogliono anzitutto annullare nella pratica i primi 12 articoli della Costituzione, che il Parlamento non può modificare perché sanciscono solennemente gli orientamenti di fondo che devono informare tutta la vita sociale della Repubblica".
Per farlo hanno essenzialmente un grimaldello, che è quello di un sistema politico-istituzionale che si renda cinghia di trasmissione sempre più efficace del sistema iper-liberista insito nei Trattati Europei. Non a caso, è stato "un parlamento prono ai diktat della Banca Centrale Europea", nel periodo (pseudo)emergenziale del Governo Monti, ad introdurre in "Costituzione l’obbligo di pareggio di bilancio, smentendo nei fatti l’orientamento della Costituzione tutta, che si fonda sulla difesa e sulla promozione del lavoro".
Essenzialmente grazie all'Euro ed alle distorsioni economico-finanziarie che sono insite in tale progetto, "l’Unione Europea si è [infatti] arrogata [e vieppiù si arroga] il diritto di dettare i comportamenti dello Stato italiano come se fosse uno Stato a sovranità limitata,  trattandolo  come l’URSS di Breznev trattava i paesi satelliti: per chi non si allinea, c’è la 'correzione fraterna', con le manovre monetarie, le letterine della BCE, la minaccia di sanzioni".
Dopo la riforma (deforma) costituzionale, non ci sarà il problema di dover ricorrere, con le scuse più improbabili, a governi tecnici. Basterà il monocolore di volta in volta vincitore alle elezioni (cui, per inciso, parteciperà un elettorato sempre più ridotto, stante la progressiva omogeneizzazione della proposta partitica): infatti, è pensabile che chi è stato beneficiato dall'elezione in Parlamento grazie alle liste redatte dal Capo, poi gli si ribelli, perdendo il treno per un altro giro?

Non ci credete? No? Leggete questo, allora.
L'articolo - che rimanda a questa fantastica ricerca (tra gli autori della quale figura anche un italiano) - sottolinea soprattutto alcuni passaggi.
I sistemi politici della periferia meridionale sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature, e sono rimasti segnati da quell'esperienza. Le costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo. I sistemi politici e costituzionali del sud presentano tipicamente le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori; tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo; e la licenza di protestare se vengono proposte sgradite modifiche dello status quo. La crisi ha illustrato a quali conseguenze portino queste caratteristiche. I paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e abbiamo visto esecutivi limitati nella loro azione dalle costituzioni (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia).
Non commento, Commentate voi.

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