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venerdì 14 aprile 2017

Le stangatine di primavera

Abbiamo una classe dirigente vergognosa.
Incrementare le difficoltà finanziarie delle imprese (soprattutto quelle piccole) al fine di reperire ulteriori fondi in ossequio agli zerovirgola di Bruxelles, dopo dieci anni di crisi, è irresponsabile, sia nei confronti degli imprenditori, sia del Paese nel suo complesso.
Farlo attraverso una modifica molto tecnica di un regime Iva, attraverso un emendamento al relativo T.U. inserito in un Decreto Legge la cui rubrica - nel Comunicato Stampa sul sito del Governo - è "Misure in favore degli Enti Locali e dei territori colpiti dal sisma", è addirittura indegno.
Come indegno, d'altronde, è rubricare in quel modo quella che, alla fin fine, è una manovrina di aggiustamento dei conti pubblici.

Per farla breve, il D.L. estende l’ambito di applicazione del c.d. split payment (art. 17-ter, D.P.R. n. 633 del 1972) anche alle operazioni effettuate non soltanto nei confronti dei soggetti pubblici puntualmente indicati al c. 1 della disposizione citata, ma anche nei confronti di altri soggetti, e precisamente "tutte le amministrazioni, gli enti ed i soggetti inclusi nel conto consolidato della Pubblica Amministrazione, le società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, di diritto o di fatto, le società controllate di diritto direttamente dagli enti pubblici territoriali, le società quotate inserite nell'indice FTSE MIB della Borsa italiana". All'ampliamento oggettivo delle prestazioni oggetto di split payment si aggiunte anche un ampliamento soggettivo, presumibilmente mediante abrogazione secca (a partire dal 1° luglio prossimo) del c. 2. del citato art. 17-ter: da quella data, il regime si applicherà anche a tutti quei fornitori che subiscono, sui propri compensi, "ritenute alla fonte a titolo di imposta sul reddito" (in sostanza, i liberi professionisti).
Qual è il punto? Lo split payment prevede, in sostanza, che quando una azienda fattura alla pubblica amministrazione (ma, da luglio, anche alle partecipate pubbliche ed alle quotate in borsa) non riscuota la relativa Iva, che è invece versata direttamente dal committente (finora pubblico, da luglio anche, a certe condizioni, privato). Il risultato pratico è che un'azienda che fattura 10 Euro più Iva a una ASL, prima riscuoteva (con i noti ritardi) più di 12 Euro, mentre ora si limita ai 10 di ricavo. Gli oltre 2 Euro di differenza, poi, erano abbattuti dall'Iva a credito del periodo (derivante dalle fatture passive ricevute), con un miglioramento netto della liquidità.
Esempio pratico (senza split): fatture attive di periodo per 1.000 Euro, oltre Iva per 220 Euro; fatture passive di periodo per 700 Euro, oltre Iva per 154 Euro; versamento Iva di 220 - 154 = 66 Euro; liquidità impresa pari a 1.220 - 854 - 66 = 300 Euro.
Stesso esempio (con split): fatture attive di periodo per 1.000 Euro, Iva non riscossa; fatture passive di periodo per 700 Euro, oltre Iva per 154 Euro; registrazione di un credito Iva di 154 Euro; liquidità impresa pari a 1.000 - 854 = 146 Euro.
Certo, nel secondo caso l'impresa può richiedere a rimborso dallo Stato il credito di 154 Euro, così da pareggiare la situazione. Ma il rimborso comporta di seguire procedure un po' farraginose e non di immediata liquidazione.
L'impresa ha però un modo di "salvarsi in corner", compensando mensilmente, nel modello F24, il credito Iva con debiti di imposta di varia natura, principalmente ritenute Irpef sui compensi pagati ai propri dipendenti.

E infatti il medesimo Decreto Legge si affretta se non a inibire comunque a rendere assai più complicato l'esercizio di questa facoltà. Ci vogliono morti.
Vengono infatti introdotte una serie di disposizioni per rendere più stringenti i vincoli all'utilizzo dei crediti di imposta: in particolare, sarà ridotto (non è chiaro da quando, ipotizzo gennaio 2018) il limite al di sopra del quale i crediti possono essere compensati in F24 soltanto previo invio della relativa dichiarazione annuale, con apposto visto di conformità da parte di un professionista (che non è né immediato, né tanto meno gratuito). Si scende da 15.000 Euro a 5.000 Euro: il Ministero dell'Economia - che andrebbe ribattezzato Ministero per l'Abrogazione della Vergogna (basti vedere l'ultimo DEF, ben commentato qui).
Non ci sarebbe bisogno di commenti.
Una considerazione, però, l'aggiungo. Scrive ItaliaOggi: "il valore... del dare/avere sull'Iva tra imprese e Stato è [in continua crescita ed è] arrivato, nel 2016, a 38,6 mld. di Euro.... La risposta della ripresa delle richieste di compensazione è da ricercare (e lo scrive anche il ministero dell'economia...) in due norme che hanno comportato una diversa contabilizzazione delle poste. Si tratta, in particolare, del D. Lgs. 175/2014... [e] della legge 190/2014, che ha introdotto lo split payment per le forniture dei privati verso la pubblica amministrazione. E l'abbassamento della soglia delle compensazioni automatiche è da leggersi in stretta connessione con l'ampliamento dello split payment anche alle fatture dei professionisti".
E invece, cosa ci dice il Ministero? Che la disposizione è "volta a contrastare gli indebiti utilizzi in compensazione dei crediti di imposta", cioè che si tratta di una norma antielusiva contro quei farabutti di italiani (in particolare, liberi professionisti) che fregano su tutto, anche sul sacro versamento dell'imposta alla madre Leuropa (sì, perché l'Iva è anche imposta europea).
Quando si aderisce a certe crociate interessate contro la corruzione e per la moralizzazione, soprattutto da parte dei liberi professionisti spesso pronti a scagliarsi contro dipendenti pubblici e artigiani, si dovrebbe riflettere anche su norme che queste.

Oppure la spiegazione è molto più semplice: al Mef non comanda Padoan, ma Carlina.

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