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venerdì 6 novembre 2015

Verso il precariato e oltre: Buzz Lightyear spiega i "voucher"

Parliamoci chiaro: i "voucher" (già fa incazzare solo il nome) sono il più grande successo del Jobs Act. Sì, sì, proprio loro, quei buoni che si comprano dal tabacchino (mi correggo, "rivendite autorizzate") e, insomma, fanno davvero tanto lavoro stabile e di qualità.
Siccome si tratta, come ognun capisce, di un argomento particolarmente raffinato a livello giuridico, e io non Enea, non Paulo sono; me degno a ciò, né io né altri 'l crede, ho deciso di farmi aiutare da un insegnate di eccezione. Niente po' po' di meno che da Buzz Lightyear, cioè dall'archetipo di colui che sa di sapere (e invece non sa una fava), ma più simpatico (e che comunque ben presto, già nel primo film, si ravvede).
Intanto, il buon Buzz, come prima cosa, mi ha spiegato che con i "voucher" Renzi non c'entra nulla, e che è colpa del Berlusca. (Prima regola di Buzz: dare la colpa al Berlusca, o - in assenza di tale possibilità - buttarla in vacca. Di solito funziona.)
Ovviamente Buzz ha, come sempre, ragione: i "voucher" erano già stati inseriti dagli artt. 70 e ss. del D. Lgs. n. 276 del 2003 (Legge Biagi), per remunerare le "prestazioni occasionali di tipo accessorio (cioè - in parole povere - il lavoro, spesso temporaneo, di colf, badanti, giardinieri, insegnanti privati, per compensi annui non superiori a 5.000 Euro) svolti da "soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne" (disoccupati, casalinghe, studenti, pensionati, disabili, extracomunitari: art. 71).
All'epoca, però, l'idea fu un flop. Ed era giusto così, nel senso che - facendo riferimento a prestazioni accessorio - anche il ricorso ai voucher non poteva che essere accessorio. Però, siccome l'uomo è per sua natura filantropo, vi fu chi non mancò di notare alcune caratteristiche assai appetibili di questi fantastici "buoni": principalmente, quella di non costituire un vero e proprio rapporto di lavoro (per cui in Italia abbiamo i subordinati, i parasubordinati, gli autonomi e... i voucheristi: non lo dico io, ma l'INPS in due - due - circolari: la n. 88/2009 e la n. 17/2010) e quella di comportare una contribuzione previdenziale molto inferiore a quella di un dipendente (25% contro 38%: d'altronde ai "voucheristi" non spetta tutela per malattia, maternità e disoccupazione).
Dunque, siccome già vi era chi fiutava l'affare, tutti ad accorrere al capezzale del malato per vedere come curarlo. Risultato: solo l'art. 70 è stato modificato nel 2004, due volte nel 2005, nel 2008, due volte nel 2009, nel 2010, due volte nel 2011, fino a che, stremato, è stato integralmente sostituito nel 2012 da Nostra Signora delle Lacrime ed infine ha cessato di soffrire con Matteo, che riscritto il tutto nel D. Lgs. n. 81 del 2015.
Un passo per volta, chiaramente. Verso l'infinito e oltre, ma con juicio Pedro (frase, peraltro, ripresa da uno che al nostro Buzz assomiglia molto, ma coniata molto prima da un altro, assai più riflessivo). Dunque, prima si è permesso di utilizzare i voucher in agricoltura (per vendemmie, raccolta di pomodori e olive, ecc.), poi si è allargata la platea degli utilizzatori a "qualsiasi settore produttivo il sabato e la domenica e durante i periodi di vacanza da parte di giovani con meno di venticinque anni di età", infine si è data la possibilità di utilizzare i voucher anche agli enti locali. Nel 2010, si sono aggiunti fra i possibili fruitori cassaintegrati, iscritti a liste di mobilità, lavoratori a part-time ed è stato eliminato il massimale di giornate lavorabili presso un solo committente.
Infatti, la Fornero la riscrive da capo e la snatura. (Quindi in questo caso, la colpa, più che di Matteo è effettivamente di Elsa nostra. Ma per me, questo governo in sostanza è il Monti-ter, dunque in concreto fa poca differenza.)
Dunque, dal 2012 è "lavoro accessorio" quello "di natura meramente occasionale" che "non dà luogo... a compensi superiori a 5.000 Euro" annui (di cui non più di 2.000 da uno stesso committente). Se i voucheristi sono cassintegrati o in liste di mobilità o ricevono l'assegno di disoccupazione, il limite massimo percepibile nell'anno è di 3.000 Euro.
Punto.
Dunque, i voucher possono essere utilizzati da chiunque, imprenditore o meno, con limitazioni risibili (sono vietati in caso di appalto e limitati in agricoltura). Detto in professorese: "il lavoro accessorio non è più relegato ad ipotesi marginali, ma - del tutto affrancato dalla vocazione sociale e di politica attiva che lo animava - costituisce modalità ordinaria per la regolazione di tutti i rapporti di lavoro" (Bollani, La nuova disciplina del lavoro occasionale di tipo accessorio, in AA.VV. (a cura di), Previdenza, mercato, lavoro, competitività, Torino, 2008, 404); pertanto "la natura occasionale ed accessoria della prestazione - e dunque la legittimità del ricorso al lavoro accessorio - deve essere valutata... in base all'unico criterio quantitativo di 5.000 Euro nel corso dell'anno solare" (Putrignano, in Argomenti Dir. Lav., 2014, 3, 811).
D'altronde, tutti ci siamo imbattuti in commesse a voucher nei negozi di abbigliamento, in banconiste a voucher in pizzeria, in qualche caso, in autotrasportatori a voucher in autostrada (la loro esatta localizzazione sarà a cura di Onda Verde, al fine di minimizzare incidenti e relative code).
Il meccanismo, come si vede, tende leggermente a spingere i lavoratori verso il precariato sottopagato e sotto-contribuito, i datori di lavoro verso il vero e proprio lavoro nero (ma solo perché siamo italiani, negli altri Paesi non succederebbe mai). Tanto per dare un'idea:

Oh, ora puoi parlare del Jobs Act!, mi intima Buzz. Che ha fatto Matteo, in questo campo?, chiedo. Buzz mi guarda malissimo. Come, non lo sai? Lo sanno tutti: ha aumentato il tetto massimo percepibile da 5.000 Euro a 7.000 (che poi, lordi, sono 9.333) ed ha confermato che i voucher non danno diritto a forme di sostegno al reddito in caso di disoccupazione, malattia e maternità. (Potete controllare gli artt. 48 e ss. de D. Lgs. n. 81 del 2015, se volete. Ma questo è il succo).
Che lo sappiano tutti è proprio vero. I "buoni di lavoro" acquistati nel 2008 non superano il mezzo milione, nel 2009 siamo già a 2 milioni e 700 mila, poi si registra il boom: 9 milioni e 700 mila nel 2010, 15 milioni e 300 mila nel 2011. Fra il 2012 e il 2014 l'incremento è inarrestabile: 24 milioni nel 2012, addirittura 69 milioni del 2014. Nei primi otto mesi del 2015 sono stati venduti più di 71 milioni di "voucher".
Questo, d'altronde, mi sembra faccia capire abbastanza bene l'andazzo.
Marta Fana, che non è Buzz Lightyear (vedi), in un suo articolo ha notato due dati interessati: il primo, che in media, il numero di voucher per lavoratore aumenta da 19 buoni riscossi nel 2008 ai 62 del 2014, per un reddito annuale medio che cresce da 143 Euro a 465 Euro nel 2014; il secondo, che l’età media dei lavoratori interessati dai "voucher" decresce nel tempo, stabilizzandosi intorno ai 37 anni di età. Tradotto: esiste ormai una generazione che, mai entrata o espulsa dal mondo del lavoro, ormai vive proprio di questo estremo precariato.
Per dirla con le di lei parole:
Quando si riflette su una situazione del genere, non si riesce più a scherzare.

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