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lunedì 23 novembre 2015

L'art. 18, il contratto a tutele crescenti e... i primi licenziati

(Come al solito il post è troppo lungo. Per cui faccio anche la "versione breve", come il Vangelo della domenica. In sostanza, le parti in corsivo si possono saltare).

Quando ho iniziato a tenere questo blog, mi ero ripromesso di parlare a trecentosessanta gradi del Jobs Act, lasciando da parte soltanto il "contratto a tutele crescenti" (D. Lgs. 4 marzo 2015, n. 23). Sì, perché la polemica sul superamento dell'art. 18 - soprattutto dopo la devastazione del 2012 - mi sembrava sinceramente pretestuosa e forviante, un modo come un altro per evitare che si parlasse delle altre disposizioni dei Decreti.
Dunque, sulle prime, ho lasciato correre anche la notizia relativa ai primi tre licenziati con contratto a tutele crescenti. Nella mia ottica, sono semplicemente tre in più, dopo i milioni degli anni scorsi. Lo smarrimento, lo lascio a chi pensava che ridurre le tutele aiutasse ad assumere (quando, invece, aiuta ovviamente a licenziare).
Per i più distratti, comunque, si tratta della seguente notiziola:
Però, poi, ho letto questo, scritto nientepopodimeno che da Francesco Rotondi, un vero e proprio principio del foro (il che dimostra che il tipo umano del prof. Cottard non solo non è confinato in un romanzo, ancorché immortale, ma vive sempre, in ogni luogo in ogni epoca). Ne riporto qualche simpatico stralcio.
"Qualcuno davvero pensava che con il contratto a tutele crescenti non ci sarebbero stati licenziamenti?... La notizia... del primo licenziato con il contratto a tutele crescenti... in realtà non è una notizia... Le ragioni che hanno portato al licenziamento dell’ex operaio... dopo esser stato assunto 8 mesi prima con un contratto a tutele crescenti, bonus incluso, sono di natura economica. Ebbene, questo tipo di licenziamento era previsto anche con le vecchie regole, articolo 18 incluso... La questione vera non è la possibilità o meno di licenziare più o meno facilmente e nemmeno la tipologia della sanzione in caso di licenziamento illegittimo. La riforma del mercato del lavoro si muove attorno ad un principio ed un sistema diverso: il cuore della riforma riguarda ciò che accade o deve accadere nel momento in cui il lavoratore perde il posto di lavoro. A fronte di ciò il problema non è la sanzione..., bensì il recupero dell’occupazione e della professionalità. Per assurdo, seguendo il pervicace tema della reintegra si arriva a negare il vero ed unico diritto che deve essere assicurato e perseguito: il diritto al lavoro! ... Invece sembra che per una certa area il tema sia solo reintegrazione nel posto di lavoro o nulla! Come si poteva supporre, il reale cambiamento fatica ad entrare nel DNA soprattutto del sindacato... Si licenziava prima e si continuerà a licenziare oggi, ciò che si vuole tentare di cambiare è la sorte del lavoratore licenziato... Solo propaganda ed ignoranza: nel merito della questione, quello che è avvenuto con il contratto a tutele crescenti sarebbe avvenuto anche con le vecchie regole. Il problema, semmai, può essere in un utilizzo improprio, e in alcuni casi anche fraudolento del bonus di 8 mila euro l’anno... Ma qui non si tratta di fallimento del Jobs Act, semmai di fallimento del senso civico che difficilmente una 'legge' può far resuscitare nella nostra società attuale...".
Secondo il Nostro, dunque, il superamento dell'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori da parte del Decreto 23 non ha nulla a che fare con assunzioni o licenziamenti. Cosa riguardi, a dire il vero, non ce lo spiega, ma tant'è: se lo può permettere. Magari, però, questo originale punto di vista lo potrebbe comunicare almeno al nostro Presidente del Consiglio ed al suo Ministro del Lavoro, che mostrano idee un po' confuse in materia. Parlando addirittura, evidentemente a vanvera, di incremento di occupazione.
Probabilmente, sarò io che non capisco, per carità. D'altronde, in materia di rapporti di lavoro, è quasi sempre solo questione di terminologia:



Dice: un operaio, se era di troppo, si licenziava anche con l'art. 18, che prevedeva - appunto - anche il licenziamento economico. Vero, in parte (cioè: falso, per lo più).

Breve ripasso per mi' cuggino. L'art. 18, nella sua versione originaria, prevedeva il reintegro del lavoratore, occupato in una azienda con oltre 15 dipendenti, in tutti i casi di licenziamento illegittimo. Il licenziamento era "illegittimo" quando si riscontrava la mancanza di:
  1. una giusta causa (integrata da un comportamento talmente grave da non permettere la continuazione del rapporto di lavoro neanche in via provvisoria: art. 2119, c.c.; su detta "clausola generale", cfr. Cass., 24 marzo 2015, n. 5878) o un giustificato motivo soggettivo (comportamenti che costituiscono inadempimento degli obblighi contrattuali, come l’abbandono ingiustificato del posto di lavoro, minacce e/o percosse, reiterate violazioni del codice disciplinare, ma anche lo "scarso rendimento": v. L. n. 604 del 1966, nonché Trib. Firenze, sez. lavoro, 6 novembre 2014, in Lavoro nella Giur., 2015, 4, 420). Si parla, in questo caso, di "licenziamento disciplinare". Il licenziamento disciplinare, in quanto tale, era peraltro illegittimo anche laddove non fosse assicurato un effettivo diritto di difesa al dipendente: per la sua validità, pertanto, doveva verificarsi l'affissione in bacheca del codice disciplinare, la tempestiva e circostanza contestazione del comportamento sanzionando (per un caso di "contestazione generica": v. Cass., 23 febbraio 2015, n. 3535; per l'obbligo di tempestività, p.e. Trib. Firenze, sez. lavoro, 9 gennaio 2015, in Lavoro nella Giur., 2015, 6, 644 e Trib. Bologna, sez. lavoro, 11 novembre 2014, inedita), il rispetto - in generale - dell'art. 7 del medesimo Statuto dei lavoratori.
  2. un giustificato motivo oggettivo (cioè ragioni attinenti ad una eventuale crisi aziendale, oppure motivi di natura economica e/o tecnica, quali una riorganizzazione del lavoro, ecc.: v. Trib. Firenze, 11 novembre 2011, in Lavoro nella Giur., 2015, 5, 529). Ovviamente, il giustificato motivo oggettivo imponeva prima l'espletamento di un tentativo di "repêchage". In merito all'onere della prova, infine, scrive Trib. Firenze, sez. lavoro, 7 novembre 2014 (in Lavoro nella Giur., 2015, 4, 421): "in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, compete al giudice il controllo in ordine all'effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha l'onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l'effettività delle ragioni che giustificano l'operazione di riassetto".
Non è chiaro se l'avv. Rotondi si riferisca all'art. 18 "prima maniera" oppure a quello di oggi. Sì, perché la norma - prima di essere superata dal Jobs Act - era già stata completamente snaturata dalla L. 92 del 2012, concepita dalla nostra Madonnina Laica di Civitavecchia.

La novella, in effetti, prevede quattro livelli di protezione: a) quello della tutela reale piena, per i casi di licenziamento discriminatorio o per i licenziamenti “orali” (la disposizione, peraltro, si applica ora indipendentemente dal limite dei 15 dipendenti e si estende ai dirigenti); b) quello della tutela reale attenuata (nel caso di licenziamento disciplinare: ove sia provata l’insussistenza del fatto contestato, ovvero quando la legge o i CCNL prevedono, per quel fatto, una sanzione meno grave rispetto al licenziamento. La disposizione non chiarisce se il fatto debba esser interpretato come fatto materiale o come fatto giuridico: la giurisprudenza va nel senso del fatto giuridico, cioè del fatto considerato alla luce di tutte le sue componenti, quali dolo, colpa, attenuanti, ecc.: per una interpretazione più restrittiva cfr. però Cass., 6 novembre 2014, n. 23669, in Foro It., 2014, 12, 1, 3418); c) quello della tutela indennitaria forte (tra 12 e 24 mensilità, in caso di mancanza di un giustificato motivo oggettivo: laddove detto "motivo" sia "manifestamente insussistente", eccezionalmente è previsto il reintegro); d) quello della tutela indennitaria debole (da 6 e 12 mensilità, in caso di licenziamenti disciplinari con mancato rispetto del requisito formale di motivazione, perché mancante o troppo generica: Trib. Roma, sez. lavoro, 17 novembre 2014, in Lavoro nella Giur., 2015, 4, 382 nota di Giorgi). Come al solito, l'indennizzo è legato alla retribuzione: come sempre, chi guadagna meno è in pole position per il cetriolo più grosso. D'altronde gli ultimi saranno i primi, ecc. ecc..
Apro anche una parentesi per chiarire cosa è il licenziamento discriminatorio. Per l'art. 18 post Fornero, è quello che viola l'art. 3, L. 108 del 1990 (che richiama gli artt. 4, L. n. 604 del 1966 e 15, Statuto dei Lavoratori), quello intimato in concomitanza di matrimonio, quello che non rispetta le norme a tutela della maternità, quello contrario alle disposizioni in materia di tutela dei disabili, ma anche - in generale - quello con motivo illecito determinate ai sensi dell'art. 1345, c.c. (caso tipico: il licenziamo ritorsivo, p.e. perché il lavoratore - spesso la lavoratrice - non ha accettato il part-time). Matteo, invece, all'art. 2, D. Lgs. n. 23 del 2015, si limita a fare riferimento all'art. 15, L. n. 300/1970 (discriminazioni per attività sindacale, o partecipazione ad uno sciopero, o motivi politici, religiosi, razziali, di lingua, di sesso, di handicap, o di età, orientamento sessuale e convinzioni personali del lavoratore, ecc.), al D. Lgs. n. 68 del 1999, e a non meglio precisati "altri casi previsti dalla legge". Ma tant'è. Lui è così. Un tweet e via.
Non entro invece nella delirante procedura contenziosa prevista dalla Fornero. Spero che a nessuno tocchi esperirla.

Dunque, un operaio si sgombrava per motivi economici anche prima del 2012 (sia pure con qualche difficoltà, connessa alla necessità di una riorganizzazione e all'espletamento di un tentativo di repêchage), anche tra il 2012 e il 2015 (rischiando comunque di pagare il fio, sia pure solo a livello economico), ma certo - dopo giugno 2015 - è tutta un'altra vita. Sì, perché qual è il personale apporto di Matteo in questo campo (quello, cioè, della distruzione delle tutele dei lavoratori)? Sono due: la totale sparizione della tutela reale in caso di licenziamento economico e, soprattutto, la commisurazione dell'indennità risarcitoria all'anzianità di servizio (1 o 2 mensilità per anno di lavoro, con i massimi uguali a quelli della Fornero: art. 3, c. 1, e art. 4, D. Lgs. n. 23 del 2015). Niente più rischi di sanzioni giudiziarie elevate, semplicemente si applica il sistema LIFO al magazzino-lavoratori. Genio assoluto.

In realtà Matteo apporta anche qualche altra piccola modifica qua e là. Alla cattiva riscrittura della disposizione sul licenziamento discriminatorio ho accennato sopra. Tra le altre, mi piace ricordare il voluto riferimento - si veda quanto detto sopra - alla necessità, per la reintegra a seguito di licenziamento disciplinare, al "fatto materiale" (art. 3, c. 2). La giurisprudenza, però, non ha capitolato, e stavolta il colpo è andato a vuoto.
Per chi fosse interessato a tutta la questione, v. più approfonditamente Buconi, Tutele crescenti: il sistema sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi, in Lavoro nella Giur., 2015, 11, 993.

Certo che il fatto che esistano licenziamenti è indipendente dal Jobs Act; certo che nel Jobs Act ci sono anche norme sul mercato del lavoro, sugli ammortizzatori sociali, sulla riqualificazione professionale. Questo è indubbio. Ma anche inconferente. Quello che l'avv. Rotondi nota solo di sfuggita è che, molto semplicemente, il D. Lgs. n. 23 del 2015 oggettivamente aiuta chi vuole licenziare, non serve a nulla a chi vuol assumere.
A chi assume, invece, hanno fatto molto comodo gli sgravi fiscali del governo. Francesco Rotondi questo, bontà sua, lo nota, ma solo per buttarla in vacca auto-razzista. Non si tratta di un fallimento del Jobs Act, no, fosse mai!, si tratta di un fallimento del senso civico di noi italiani mandolinisti, ladri, pizzaioli che non fanno fare la fattura all'idraulico. In Germania, per esempio, questi strumenti non li hanno mai usati, la Siemens - per citare un'azienda particolarmente integerrima - avrebbe orrore di certi mezzucci.
Francesco Rotondi, invece, non si chiede (visto che lo sa) perché le risorse pubbliche in questione siano state utilizzate, come al solito, in politiche supply-side e non di rilancio della domanda. Il perché, come al solito, deriva dal fatto che, nell'Unione Europea, siamo liberi di fare solo quello che ci dicono. Perché poi ci dicano proprio questo (tradotto: perché le élites europee perseguano pervicacemente un sistema economico volto alla continua compressione salariale, alla distruzione del mercato interno... Monti docet, al mercantilismo aggressivo nei confronti degli altri Paesi, perché in una parola si adattino al credo economico tedesco), non ve lo spiego io, perché non sono un economista. Lo potete comodamente leggere qui, però.

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