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venerdì 11 dicembre 2020

Storie di ordinaria Covid

Spoiler: la morale non è gettare la croce addosso a chi, nel marasma del settore sanitario in particolare e di quello pubblico in generale, prova in qualche modo a fare il suo mestiere e anche più del suo mestiere. La morale è che forse è giunta l'ora di smettere di riempirsi la bocca con eccellenze che non esistono (più) e prendere serenamentre atto che il Covid non è, di per sé, un'emergenza, ma la situazione del SSN assolutamente sì.


È mercoledì 21 ottobre e, dopo una normale giornata di metà autunno, verso le nove di sera, una persona a me molto cara - che per comodità chiameremo Anna - è preda di un attacco di tosse stizzosa e insistente. La mattina successiva, giovedì 22 ottobre, dopo una notte in bianco anche per i dolori articolari sempre più forti, le entra pure un po' di febbre.

La diagnosi è bell'è fatta. Alle nove del mattino Anna, che ha settant'anni compiuti e dunque un po' di preoccupazione ce l'ha, entra al pronto soccorso di una ridente cittadina toscana. Visita, prelievo di sangue, RX torace e a mezzogiorno (sono passate solo tre ore, in una specie di tenda da campo di rara comodità) il tampone rinofaringeo. Risultato? Alle quattro del pomeriggio ancora ignoto, per cui Anna - che nel frattempo sta piuttosto male - firma per lasciare l'ospedale, riprende la propria auto e, con una certa difficoltà, se ne torna a casa. In mano ha solo il referto del pronto soccorso; rassicurazioni - ma che dico: spiegazioni - da parte di medici, infermieri, portantini, chi volete voi, zero. Un solo imperativo: barricarsi in casa e attendere gli eventi.

I risultati degli esami del sangue paiono incoraggianti, mentre il referto della RX al torace parla di una “accentuazione della trama interstiziale polmonare senza evidenza radiografica di lesioni addensanti a focolaio in atto a carico del parenchima polmonare esplorabile”. Diagnosi: bronchite. Si scoprirà poi che le cose non stanno proprio così. Dai e dai, si sono fatte quasi le sette e mezzo (siamo a dieci ore e mezzo dall'accesso al PS, per i precisini che vogliono tenere i conti): una telefona dall'ospedale informa Anna che il tampone è positivo (ma vedi un po') e che deve contattare subito il suo medico di base. Vista l'ora non proprio antelucana, Anna può giusto mandare un Whatsapp con la foto del referto del tampone. E preparasi a un'altra notte in bianco senza cure e da sola.

Il Covid è un po' come una sonata in cui agli alti e bassi della malattia si accompagnano solitudine e incertezza terapeutica, che ne rappresentano l'inquietante e perturbante basso continuo. Penso di non andare lontano dal vero, se dico che molti morti sono da mettere in conto all'abbandono, più che al virus in quanto tale.

Ad ogni modo, la mattina seguente il medico di base si fa vivo e ordina a Anna di assumere tachipirina (in anticipo sulle illuminanti linee guida del CTS), di acquistare subito saturimetro, termometro e macchinetta misura pressione, di fare tutte le misurazioni d'ordinanza tre volte al giorno e mandare i risultati per Whatsapp. Anna - che ha letto dei mirabolanti servizi della sanità e del volontariato toscani - telefona subito alla farmacia, che però risponde che - Covid o non Covid - non possono recapitare nulla a domicilio. Anna, allora, prova con la Croce Rossa, ma il centralinista non ne sa niente. Comunque, siccome è un tipo umile, le suggerisce di riprovare nel pomeriggio; chissà, magari nel frattempo è passato Babbo Natale. Anna non si dà per vinta, telefona alla badante di sua mamma novantasettenne e a metà mattinata finalmente ha tutto l'occorrente.

Ha anche la seconda lezione gratis della pandemia: quando sei malato, o sei in quarantena, se hai bisogno di qualcosa, hai sempre una persona su cui contare, cioè te stesso. Come dite?, anche quando non sei in quarantena? Sì, in effetti...

Nel frattempo anche la sullodata badante abbandona la truppa e si mette in auto-isolamento. Inizia così per la madre di Anna, che chiameremo per comodità Zita, una specie di malattia per procura, quasi peggiore della malattia della figlia. Per dieci giorni, infatti, si trova a gestire, da sola, una casa, a doversi lavare, farsi da mangiare, pulire spazzare dare lo straccio. Le due donne non riescono a trovare un'istituzione pubblica o un'associazione privata - una che sia una - che le possa aiutare. In oltre un mese di isolamento tombale, tipo i lebbrosi ai tempi di Ben Hur, l'unico contatto umano sarà, al di là del portoncino di casa, con gli uomini della netterzza urbana, che di tanto in tanto arrivano, vestiti tipo gli scienziati cattivi di ET, a prelevare i rifiuti.

Questo è il modo con cui il governo dei DPCM vuole salvare gli anziani, una vergogna che non sarà perdonata.

La giornata si chiude con la telefonata dell'USCA per le misure di isolamento domiciliare e il tracciamento delle persone incontrate da Anna nei tre giorni precedenti. Tutte messe in quarantena e tutte con tampone negativo. Il virus, come si sa, è infatti contagiosissimo. Anna, a dirla proprio tutta, avrebbe anche Immuni, che però riscuote presso le strutture sanitarie la stessa simpatia dell'aglio presso i vampiri. Il diktat è uno solo: mai caricare i codici, Dio ci scampi. 

Nei due giorni successivi, sabato e domenica, la tosse di Anna si fa sempre più insistente, le bruciano gli occhi, ha forti dolori a tutto il corpo, mal di testa, fatica a respirare per il naso completamente chiuso. L'USCA, contattata telefonicamente, insiste per la solita tachipirina. Fortunatamente interviene il medico di base, che richiede all'USCA almeno una visita domiciliare: siccome la dottoressa che si presenta sente "qualcosa" al torace, bontà sua prescrive tre (tre, eh) giorni di antibiotico. A sera, però, il medico di base rettifica la terapia: Zitromax fin quando ce ne sarà bisogno (ce ne sarà bisogno per un mese) e cortisone.

La situazione, frattanto, peggiora di giorno in giorno. Anna cerca di tenersi in contatto con l'USCA ma, a partire dal settimo giorno di malattia, non riesce più a parlare con nessuno. Il telefono squilla, squilla, ma all'altro capo nessuno risponde. Solo la settimana successiva - con la satuazione a 94 - riesce finalmente a farsi rispondere, salvo sentirsi dire che c'è chi satura anche a 90 e dunque non la faccia tanto lunga, che rischia di compromettere la salute di qualcuno. Sia chiaro, non è colpa degli operatori: i casi crescono di giorno in giorno, nell'ufficio sono pochi e l'educazione chi non ce l'ha non se la può dare. Quello che innervosisce sono più che altro le parate autocelebrative di Giani sui giornali, proprio durante quei drammatici giorni. 

Anna, che è sempre da sola a casa, cerca rifugio nelle telefonate agli amici, anche di vecchia data. Un ex compagno, medico, che fa parte della commissione tecnica Covid per il Piemonte, si interessa ovviamente al suo caso: quando scopre che in Toscana non c'è, in pratica, un protocollo regionale per le cure domiciliari cade dalle nuvole e allibisce quando capisce che ad Anna nessuno ha segnato l'eparina. Il medico di base, informato, pur controvoglia la segna, con grande senso di responsabilità.

Se Anna oggi è viva e, dopo oltre un mese di malattia si è finalmente negativizzata, probabilmente è perché si è imbattuta in un medico che ha derogato ai demenziali protocolli di cura domiciliare della Regione Toscana. Se la sua mamma è viva, è invece grazie a una straordinaria fibra e un ottimismo incrollabile di rivedere, prima o poi, la figlia. Nessuno, nessuno, le ha aiutate.

* * * * *

Lasciamo Anna alla sua lunga lotta col virus ed alla sua convalescenza e passiamo invece alla fase farsesca della vicenda.

Sono passate circa due settimane dall'iniizio della malattia. Il 5 novembre l'USCA telefona per fissare al giorno seguente il tampone di controllo, nonostante che Anna avesse ancora tutti i sintomi della malattia. Misteri della virologia e della burocrazia. La mattina di sabato 7 novembre si presentano, bardati come da ordinanza, due infermieri, che prendono il tampone e asseriscono che, in caso di nuovo positivo, si sarebbero fatti vivi entro le 24 ore successive. Domenica a pranzo Anna esulta: nonostante che non stia bene, evidentemente si è negativizzata! No. Semplicemente non ha, come al solito, telefonato nessuno: il referto appare su internet alle sei di sera e riporta ancora la positività.

In questa situazione (abbandono, saturazione bassa, malessere generale), martedì 10 novembre arriva a Anna una telefonata di SEI Toscana (la ditta che gestisce i rifiuti nella nostra meravigliosa Regione) per dirle che la USL ha comunicato il suo nominativo come nuovo caso! Anna, allibita anzichenò, prova sommessamente a far notare che è proprio SEI che da due settimane le si presenta alla porta di casa per ritirare la spazzatura. L'operatore prende atto, ma dura procedura sed procedura.

Il delirio burocratico-amministrativo tocca il suo apice fra giovedì 12 e venerdì 13. Prima giunge ad Anna una telefonata non identificata che le intima di recarsi, il giorno successivo, a fare il tampone presso il drive in cittadino. Anna fa presente di avere ancora tutti i sintomi e di avere qualche problema a guidare (oltre che a eventualmente spiegare alle forze dell'ordine perché si aggiri malata per le strade di una zona rossa), ma la voce anonima è categorica: "qui sta scritto così". Versione aggiornata del forse più noto vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare.

Anna, a cui mancano le forze ma non il tempo, prova a telefonare allora alla struttura sanitaria per far cancellare l'assurdo appuntamento e ci riesce così bene che il giorno successivo, dopo cena, le arriva una PEC da parte dell'USL, il cui oggetto è già tutto un programma: "ATTESTAZIONE TERMINE ISOLAMENTO SANITARIO DA COVID-19". Che sarà? Anna apre e legge, con costernazione, di una sua presunta "AVVENUTA  GUARIGIONE CLINICA PER RISOLUZIONE DELLA SINTOMATOLOGIA CLINICA DA ALMENO 7 GIORNI". Se non fosse davvero molto tragico, sarebbe comico.

Anna si infastidisce leggermente e prova a contattare l'USCA, dieci quindici venti volte, ma non c'è nulla da fare. Per parlarci si deve rivolgere addirittura ai carabinieri: grazie ai buoni uffici del maresciallo, riceve una telefonata dal 118, che le consiglia, molto gentilmente, di restare in casa fino a futuro tapone negativo. Finalmente il 18 novembre, con grandissima difficoltà, Anna si reca a fare il nuovo tampone, che dà il sospirato esito negativo. Lei è fisicamente a pezzi, ma può iniziare a ridurre le medicine e vede la luce in fondo al tunnel. Resta solo da spiegare a SEI Toscana - meglio: ai mille operatori diversi del call center di SEI Toscana - che sebbene lei si sia negativizzata, i rifuiti dei giorni precedenti continuano ad essere potenzialmente infetti e, quindi, devono essere ritirati con attenzione. Alle ennesima telefonata, il colpo di genio, cioè - al solito - la minaccia di buttar tutto nel cassonetto sotto casa. Basta questo per far materializzare, per l'ultima volta, i marziani spazzini.

* * * * *

Anna, che continua ad avere male agli occhi e una tosse stizzosa, si reca infine dal pneumologo, il quale le dimostra che la "bronchite" diagnosticata al Pronto Soccorso era in realtà una bella polmonite interstiziale e le consiglia di ringraziare il coraggio del medico di base, che l'ha curata - prendendosi qualche responsabilità - in modo corretto (Zitromax + cortisone + eparina).

Poi aggiunge: "meno male che non si è fatta ricoverare signora! Sa, siamo pochi e stiamo andando in confusione". Ditelo a Giani e a Conte.

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