Cerca

Pagine

domenica 29 dicembre 2019

Quando si prescriverà Bonafede?

Dunque il primo gennaio dovrebbe entrare veramente in vigore la riforma Bonafede della prescrizione in materia penale.
Quello che nessuno pensava possibile, sta invece per succedere, complice un governo che - pur di galleggiare - accetta tutti i diktat del proteiforme ma sempreverde partito delle manette (ve la ricordare La Rete di Orlando e Dalla Chiesa? E poi l'Italia dei Valori di Di Pietro? I 5 stelle sono gli eredi naturali di questi movimenti). Di un partito che, sia detto per incidens, nella sua diuturna lotta contro la verità e l'onestà intellettuale ha il coraggio di attaccare chi si oppone alla riforma definendolo un mariuolo che non vuol farsi processare, che si attacca a cavilli e eccezioni, come se le eccezioni processuali non fossero proprio la principale garanzia del diritto di difesa e trovino spesso spazio grazie alla sciatteria di chi dovrebbe amministrare con competenza e puntualità la giustizia.
In Grecia i Colonnelli, appena giunti al potere, eliminarono gli ordini degli avvocati.

Di cosa si tratta?

La L. n. 3 del 2019 ha modificato gli artt. 158, 159 e 160, c.p., peraltro già toccati dalla riforma Cirielli prima (correva l'anno 2005) e dalla riforma Orlando poi (L. n. 103 del 2017). Se l'impianto generale delle disposizioni è rimasto lo stesso, una novità rivoluzionaria riguarda il profilo (centrale) del decorso del termine di prescrizione del reato, oggetto di modifiche sia sul lato del dies a quo sia, soprattutto, su quello del dies ad quem.
Quanto alla determinazione del dies a quo, la novella reintroduce la disciplina - abrogata dalla Legge Cirielli - che fa decorrere la prescrizione del reato continuato dal momento in cui è cessata la continuazione, col bel risultato di rendere un istituto, che dovrebbe ispirarsi al principio del favor rei, uno strumento del giudice - per di più discrezionale - per allungare i termini prescrizionali.
Ma è in merito al dies ad quem che la riforma mostra il suo lato più repressivo: il termine è infatti anticipato (tra l'altro surrettiziamente, attraverso l'introduzione di una ipotesi di sospensione del corso dela prescrizione nell'art. 159, c.p., anziché mediante una modifica dell'art. 158, c.p.) dalla pronuncia della sentenza definitiva di condanna (dopo la quale, già adesso, la prescrizione non corre più) alla pronuncia della sentenza di primo grado.
In sostanza, siccome un processo su quattro in Appello si prescrive, Bonafede ha semplicemente pensato di eliminare la prescrizione dal secondo grado di giudizio. Con una riforma abborracciata, confusionaria, sbagliata e incostituzionale. In perfetto stile grillino.

Perché la disciplina è tecnicamente sbagliata?

In effetti, la nuova prescrizione - che entrerà in vigore senza alcuna norma transitoria, secondo un costume particolarmente apprezzato dagli operatori del diritto inaugurato su larga scala, guarda tu i caso, da Renzi con il Jobs Act e con l'anticipazione del Bail-in poi - non solo con ongi probabilità on funzionerà ma, se applicata, rischierà di creare enormi problemi di applicazione intertemporale.
In Italia la prescrizione è un istituto di diritto sostanziale e non processuale, pertanto la nuova disciplina - sfavorevole all'imputato - non sarà applicabile per i reati compiuti (non: per i processi iniziati) prima del 1° gennaio 2020, giusta l'ordinanza della Corte costituzionale n. 24 del 2017 (caso Taricco: vedi cosa ne abbiamo scritto qui); per quanto diremo in seguito, dunque, ci sono altissime probabilità che questo pastrocchio non entri mai effettivamente in vigore.
Ma se anche, tra tre o quattro anni, nessuno avesse ancora fatto giustizia di questo obbrobrio, si porrà immediatamente la questione della disciplina applicabile ai reati compiuti nel 2019: se infatti, da un lato, la riforma non era ancora in vigore nell'anno appena trascorso, purtuttavia era ben conoscibile dopo l'approvazione della L. n. 3 del 2019, sicché l'imputato non potrà invocare l’esigenza - costituzionalmente garantita - di vedersi assicurata la prevedibilità della legge penale più sfavorevole.
Mi avete seguito? No? Non vi preoccupate. Non mi ha seguito neppure il Guardasigilli.

Perché la disciplina è incostituzionale?

Ma la norma non solo è scritta con i piedi, o con altre parti del corpo comunque diverse sia dalle mani che dalla testa; è anche clamorosamente incostituzionale (nonostante i tentativi acribatici di difesa da parte di penalisti anche di chiara fama, come Gian Luigi Gatta).
Facilmente si può ricordare l'art. 111, c. 2, Cost., ai sensi del quale "la legge assicura la ragionevole durata" del processo, o l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, secondo cui "ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale".
Ma non ci vuole troppo sforzo neanche perc vedere il contrasto col principio di presunzione di innocenza (la prescrizione si blocca dopo la pronuncia di primo grado anche in caso di assoluzione dell'imputato), col diritto di difesa (che verrrebbe vanificato in caso di processo tenuto artatamente in vita, senza addivenire ad alcuna conclusione) e alla finalità rieducativa della pena (che richiede logicamente un collegamento temporale fra reato e punizione).
Per dirla con l'avv. Valerio Donato, "punire dopo un lasso di tempo notevole, come vorrebbe l’abolizione della prescrizione, non solo non è utile ma è addirittura dannoso. Il colpevole infatti sarà una persona completamente diversa da quella che ha commesso l’illecito (vanificando quindi la funzione rieducativa della pena) e/o avrà potuto continuare a delinquere (vanificando quindi la funzione special preventiva della pena) e nelle persone offese il ricordo del torto subito sarà stato dimenticato (riaprendo quindi ferite ormai curate). Il reo inoltre avrà enormi difficoltà a difendersi avendo perso ogni possibilità di dimostrare la propria innocenza".
Tuttavia, la Corte Costituzionale e la Corte EDU ci hanno abituato alle più straordinarie trasformazioni a seconda della convenienza contingente di coloro da cui dovrebbero essere indipendenti; dunque magari riusciranno, con la stessa penna, a ritenere inumano il "fine pena mai" per i mafiosi accertati, ma assolutamente accettabile il "fine processo mai" per i comuni cittadini.
Anche in questo caso, dunque, come per tante altre controverse materie (l'obbligo vaccinale, le norme sul fine vita, ecc.), non dev'essere cercato un giudice a Berlino, ma un legislatore in Parlamento.
Le norme sbagliate non si impugnano, si aboliscono.

Perché la disciplina è politicamente aberrante?

In effetti, anche volendo astrarre dalla lacerazione che la nuova prescrizione porterebbe al sistema giuridico nel suo complesso, resta un'enorme questione politica che non può essere ignorata. Sono infatti almeno 25 anni che la lotta politica passa per la via giudiziaria: se mettiamo insieme l'obbligatorietà dell'azione penale (che, in un sistema con risorse fate e pubblici ministeri che non hanno doti soprannaturali, è sinonimo di arbitrarietà dell'azione penale: si veda qui a proposito della c.d. "Circolare Pignatone"), la sostanziale irresponsabilità dei singoli magistrati (che ai sensi dell'art. 101, c. 2, Cost., sono soggetti soltanto alla legge, la quale - come noto - spesso non ha molta voce in capitolo), il nodo gordiano che ancora avviluppa magistratura requirente e giudicante, derive ideologiche alla Patronaggio, si capisce che il pericolo derivante dalla riforma Bonafede non è solo per il singolo cittadino (che sarebbe già troppo), ma per la stessa democrazia.
Il tutto, poi, è reso ancora più drammatico dal fatto che, nell'immaginario collettivo, essere iscritti nel registro degli indagati o - peggio - ricevere un avviso di garanzia corrisponde a una sentenza definitiva di condanna. Con la consguenza che la cancellazione della prescrizione (soprattutto in caso di sentenza di condanna in primo grado) può aprire le porte a una specie di ergatsolo a piede libero in attesa dei successivi gradi di giudizio (che, eventualmente, potrebbero non esserci mai).
Un collega di chi scrive si trova, per esempio, a vivere la seguente edificante vicenda.
A seguito di alcuni fatti avvenuti nel 2007, con grande celerità, nel maggio 2012, ha saputo di una richiesta di rinvio a giudizio avanzata da un solerte PM senese. Siccome i fatti in questione erano ancora troppo freschi, il GIP ha pensato di far passare un altro po' di tempo: la decisione di andare a processo infatti è di aprile 2013. Inizia il dibattimento, anzi: tenta di iniziare. Tra gli imputati ci sono anche cittadini stranieri, per cui ci vogliono un paio d'anni a capire come fare in modo che le notifiche non siano radicalmente nulle (o sbagliate, o tardive, o chessò io). Prima udienza dibattimentale: 26 marzo 2015 (anzi: no; siccome è cambiato il presidente del collegio, a ottobre si ricomincia da capo). Il 26 settembre 2017, finalmente, dopo dieci anni, di cui cinque di processo, il PM chiede la condanna di sette indagati per il reato di “falso”. Nel frattempo, gli imputati sono stati sottoposti per anni alla gogna di media, blog e discorsi da bar.
Il 17 ottobre 2017 il collegio giudicate ha dichiarato l’assoluzione di tutti gli imputati con formula piena. In questi giorni, la Procura ha ricorso in Appello. Le imputazioni si prescriveranno, gli imputati usciranno da un incubo, i solerti magistrati senesi potranno dire di aver, quantomeno, pareggiato. I discorsi dei ben informati continueranno, imperterriti.

Perché anche la proposta del PD non risolve il problema.

Il piccolo fatto di cronaca sopra riportato aiuta a capire perché anche le recenti proposte di "mediazione" del PD non risolvano il problema. Tralasciando la proposta di questi giorni, per lo più dettata da disperazione, di sospendere la prescrizione "ma solo per un pochino", bisogna concentrarsi sull'altra - più concreta - secondo cui alla riforma Bonafede andrebbe accompagnata una più ampia riforma della giustizia che imponga tempi certi ai processi, una volta iniziati.
"Secondo i dati del Ministero della Giustizia, nel 2017 la durata media del processo penale è stata nel giudizio di appello pari a 901 giorni (due anni e mezzo!) mentre, nel giudizio di primo grado, ha oscillato tra i 707 giorni in caso di rito collegiale e i 534 giorni in caso di rito monocratico. Che il nostro sistema della giustizia penale debba fronteggiare un serio problema di lentezza del processo è confermato dall’ultimo report della Commissione Europea per l’Efficienza della Giustizia (CEPJ), costituita nell’ambito del Consiglio d’Europa. Il giudizio penale di primo grado dura in Italia più che in ogni altro paese (la media europea è di 138 giorni). Il giudizio penale d’appello solo a Malta dura di più, a fronte di una media europea di 143 giorni" (così Gatta, citato sopra).
Ora, come si è visto, la durata del processo è solo una parte del problema, essendo non meno grave la durata abnorme delle indagini preliminari (che possono arrivare a due anni dall'iscrizione nel registro degli indagati). Inoltre rendere più celere il processo a parità di pianta organica (visto che i vincoli dell'Unione Europea, madre di parto e di voler matrigna, non ci impongono di assumere altri giudici, né di costruire nuovi tribunali) potrebbe significare, alla fin fine, una riduzione dei concreti spazi di difesa, facendo rientrare dalla finestra ciò che si vorrebbe far uscire dalla porta.
E poi, far riformare la giustizia penale al PD è come chiedere a Mastro Titta una legge per l'abolizione della pena di morte.

Nessun commento:

Posta un commento