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mercoledì 4 dicembre 2019

Qualche nota sulla libertà di avere opinioni idiote

Senza entrare nel caso concreto, che non conosco in tutti i suoi termini, ricordo che la Costituzione italiana - proprio perché nata dal tragico fallimento di una terribile dittatura - ha una spiccata connotazione personalista e pluralista (Paladin, Diritto costituzionale, II ed., Padova, 1995, 558 ss.), di cui l'art. 21, Cost., sulla libertà di espressione, è una delle maggiori attuazioni. Stando così le cose, la Corte Costituzionale si è sempre trovata di fronte al dilemma della compatibilità tra tale connotazione e le fattispecie, oggetto di sanzione penale, dell'apologia o dell'istigazione. In effetti, nell'un caso o nell'altro, il soggetto si limita ad esprimere un pensiero (ancorché aberrante), ma non agisce, in latente contrasto col principio di offenisività (fra i tantissimi: Mantovani, Il principio di offensività del reato nella Costituzione, in Aspetti e tendenze del diritto costituzionale. Scritti in onore di Costantino Mortati, Giuffré, Milano, 1977, 445 ss.; Vassalli, Considerazioni sul principio di offensività, in Studi Pioletti, Giuffrè, Milano, 1982, 629 ss.; Merli, Democrazia e diritto penale, Napoli, 2006, 8 ss.), costituzionalizzato all'art. 25, c. 2, della Carta ("nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso").
La Consulta, sulla questione, è stata da sempre molto limpida. Nella sentenza n. 65 del 4 maggio 1970 (ma v. anche Corte cost., 6 luglio 1966, n. 87), si legge: "l'art. 414, u.c., c.p. [istigazione a delinquere], vietando la pubblica apologia di ogni delitto, non può costituire impedimento alla libertà di manifestare il proprio pensiero, garantito dall'art. 21, c. 1, della Costituzione, ove della norma incriminatrice si dia corretta interpretazione. La mera critica della legislazione e della giurisprudenza, l'attività propagandistica diretta alla «deletio legis», l'affermazione che fatti previsti come delitti possono avere positivo contenuto morale e sociale non costituiscono il reato d'apologia di delitto. Contrasta invece contro le basi di ogni immaginabile ordinamento giuridico apologizzare il delitto come mezzo lodevole per ottenere l'abrogazione della legge che lo prevede come tale: l'apologia punibile non è dunque la pura manifestazione di pensiero ma quella che sia concretamente idonea a provocare la commissione di delitti".
Né diversamente ha concluso proprio in relazione all'apologia di fascismo: decidendo sulla compatibilità con la Costituzione dell'art. 4 della Legge Scelba (che, pure, è diretta applicazione di una norma costituzionale: la XII disposizione transitoria), la sent. 26 gennaio 1957, n. 1 ha chiarito che la norma "non prevede come reato qualsiasi difesa elogiativa del fascismo, ma solo l'esaltazione idonea e specificamente rivolta alla riorganizzazione del disciolto partito fascista...". In altri termini, l'apologia si qualifica come forma di "istigazione indiretta" (Contieri, I delitti contro l'ordine pubblico, Milano, 1961, 13; Bognetti, Apologia di delitto e principi costituzionali di libertà di espressione, in RIDPP, 1960, 271; Oliviero, Apologia e istigazione, in ED, II, Milano, 1958, 618). Anche in relazione al delitto di cui all'art. 270-bis, c.p. ("associazione con finalità di terorrismo internazionale"), si è chiaroto che è punibile la condotta di chi fa uso del web e dei social media per pubblicare video relativi a gravi attentati terroristici in quanto volti a "divulgare la chiamata al jihad" (Cass., 21 maggio 2019, n. 22163).
Sulla stessa linea si è mossa anche la Corte Europea dei diritti dell'uomo, "che ha accolto un significato particolarmente garantista della libertà riconosciuta dall'art. 10 CEDU. Le medesima, centrale in ogni società democratica e pluralista, esprimerebbe le sue potenzialità soprattutto per le «informazioni o idee che offendono, indignano o turbano». Ebbene, rispetto alle numerose ipotesi di istigazione e apologia di cui ancora oggi sono dotati la maggioranza degli ordinamenti continentali, i giudici di Strasburgo hanno individuato la soglia di punibilità non valicabile a livello del pericolo concreto. Perciò, analogamente a quanto accaduto nell'ordinamento interno, si ritiene che ai fini dell'incriminazione le condotte debbano presentare un carattere di pericolosità per interessi pubblici significativi, tali da renderle direttamente o indirettamente funzionali alla realizzazione di attività criminali. Altrimenti, qualsiasi interferenza nella libertà di espressione dei cittadini non potrebbe essere consentita..." (Cirillo, Istigazione e apologia nei recenti (dis)orientamenti giurisprudenziali, in Dir. Pen. e Processo, 2019, 9, 1292).
Queste linee intepretative devono essere mantenute anche nell'esegesi dell'art. 604-bis, c.p., ai sensi del quale "è punito: (a) ... chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; (b) ... chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi". La pena è più severa "se la propaganda ovvero l'istigazione e l'incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull'apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli artt. 6, 7 e 8 dello Statuto della Corte penale internazionale".
Qui, è inutile negarlo, ci si avvicina fortemente al reato di opinione, ove si fa riferimento a un "pericolo concreto" che è individuato - in modo tautologico - nella diffusione in quanto tale di messaggi apologetici di determinati crimini.
È probabilmente per questo che il legislatore introdusse a suo tempo la novella (cfr. art. 1, c. 1, L. n. 115 del 2016 e art. 5, c. 1, L. 20 n. 167 del 2017, di adeguamento alla Decisione Quadro del Consiglio UE del 28 novembre 2008) non come fattispecie autonoma, ma come mera aggravante, in modo che "le condotte tipiche debbano innestarsi su quelle «principali» di propaganda, istigazione e incitamento" (Caroli, Aggravante di negazionismo e nuove condotte tipiche, in Dir. Pen. e Processo, 2018, 5, 605, che critica assai perspicuamente l'aggravante).
Tuttavia, poiché un "sistema, così delineato, si presta ad esegesi incerte e fortemente eterogenee, condizionabili dai tipi di situazione portati a giudizio e dal contesto politico-ideologico di contorno" (Cirillo, cit.), il confine invalicabile - sia per la valutazione della sussistenza del reato, sia per l'apprezzamento dell'aggravante - è il rispetto del principio di determinatezza (CEDU, 23 febbraio 2017, de Tommaso c. Italia, che ha sancito l'illegittimità dell'applicazione di misure di sicurezza basate sulla L. n. 1423/1956, in quanto essa non era formulata in termini sufficientemente chiari e precisi; Cass., SS.UU., 27 aprile 2017, n. 40076; C. Cost., nn. 24 e 25 del 2019; rimando invece a questo per il caso Taricco) e del già ricordato principio di offensività (vera "pietra d'angolo" della democrazia).
Si situa perfettamente in questo contesto la pronuncia del GIP del Tribunale di Siena, dott.sa Malavasi, secondo cui nei tweet del prof . Castrucci non ci sarebbero stati gli elementi utili a evidenziare odio razziale, ma soltanto "una rilettura storica e apologetica della figura del dittatore".
Induce invece al pessimismo Cass., 23 marzo 2019, n. 21409, relativa al c.d. delitto di "esibizionismo fascista" di cui all'art. 2, c. 1, D.L. n. 122 del 1993 (che punisce "chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654", ora art. 604-bis, c.p.). Nella pronuncia, infatti, la censura alla sentenza di appello della difesa - incentrata sulla inidoneità di un "saluto fascista" (compiuto dall’imputato) a ledere il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, individuato nell’ordine pubblico in senso materiale (cioè nella "condizione di pacifica convivenza immune da disordine e violenza") - è rigettata sulla base della qualificazione del reato quale "reato di pericolo astratto".
Senonché da una parte il reato in questione è per unanime considerazione un reato di "pericolo concreto" (Zavatti-Trenti, Legislazione italiana in tema di discriminazione razziale, etnica e religiosa, Rass. it. crim., 1995, 579), dall'altra una diversa qualificazione dello stesso non permetterebbe alla fattispecie di reggere alla necessaria valutazione di legittimità costituzionale, nel solco di quanto indicato da C. Cost., 20 giugno 2008, n. 225 ("l'ampia discrezionalità che va riconosciuta al legislatore nella configurazione delle fattispecie criminose si estende alle modalità di protezione dei singoli beni o interessi: rientrano in tale discrezionalità anche l'opzione per forme di tutela avanzata, che colpiscano l'aggressione ai valori protetti nello stadio della semplice esposizione a pericolo, e l'individuazione della soglia di pericolosità cui connettere la risposta punitiva, nel rispetto del principio di necessaria offensività del reato. In tale ambito, spetta alla Corte procedere alla verifica della offensività "in astratto", acclarando se la fattispecie delineata dal legislatore esprima un reale contenuto offensivo, esigenza che, nell'ipotesi di reato di pericolo, presuppone che la valutazione legislativa di pericolosità del fatto risponda all'id quod plerumque accidit. Se tale condizione è soddisfatta, il compito di uniformare la figura criminosa al principio di offensività nella concretezza applicativa resta affidato al giudice ordinario").
Altrimenti piano piano scivoliamo nel contrasto alle c.d. fake news e, di lì, alla Stanza 101.

2 commenti:

  1. Buongiorno Signor Fantuzzi,

    mi permetto un utilizzo improprio di questo canale per un ringraziamento. In seguito a una sua segnalazione su Twitter, ho acquistato l'articolo "La fin de la domination masculine". La lettura si e' rivelata molto impegnativa, ma ne e' valsa la pena, e la ringrazio per la sua segnalazione.

    IPB

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    1. Leggo soltanto ora, mi dispiace. Grazie mille dell'apprezzamento!

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