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mercoledì 2 gennaio 2019

Le scemenze degli atei semi-devoti - episodio I (Natale)

Non c'è cosa più gradita ai non cristiani che discettare di ciò che non conoscono o non comprendono (Piergiorgio Odifreddi è il sommo sacerdote di questo secondo gruppo), cioè del Vangelo; da sempre, ma soprattutto ultimamente, visto che anche il Pontefice - per non parlare di molti Vescovi a lui vicini e dei così detti "preti di frontiera" - pare incentivare questa pratica un po' umiliante. Ciò nonostante, soprattutto in considerazione della gravità delle ultime aberrazioni che mi sono giunte sotto gli occhi, qualche parola di verità mi sembra giusto spenderla.
Cominciamo con una considerazione preliminare, che - prima di certi articoli - si sarebbe potuta ritenere piuttosto ovvia. I Vangeli canonici non sono biografie di Gesù, almeno nel senso moderno della parola "biografia", ma sono testi con specifiche preoccupazioni teologiche (Gv 20,30-31: "molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome"). Non a caso nella Bibbia cristiana sono entrati i resoconti di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, non anche il Diatessaron di Taziano.

Ciò comporta che quando leggiamo una pericope, i possibili piani di lettura sono almeno tre: quello che Gesù intendeva dire in una determinata circostanza (astraendo, qui, dalla differenza - tipica di qualsiasi testo biografico o storico antico - fra i c.d. ipsissima verba Iesu e la c.d. ipsissima vox), quello che l'evangelista intendeva dire riportando quella determinata circostanza (senza entrare, in questa sede, nelle querelle sul processo di formazione dei quattro Vangeli canonici), quello che quei determinati fatti possono dire oggi a noi.
Paradossalmente, gli atei che discettano di cristianesimo (di cattolicesimo, in particolare) confondono tutti e tre i piani, in un pot-pourri così ingenuo da far sorridere anche la più conservatrice beghina, e nel far questo stilano una inesistente vita Iesu al cui confronto il già ricordato testo di Taziano appare un capolavoro di metodo storico-critico.
Leggiamo allora le profonde riflessioni di "Manginobrioches", il cui nom de plume dimostra tutto l'acume e il senso dell'umorismo riscontrabili nell'articolo. Che si qualifica come una specie di lettera aperta a "sovranisti, leghisti e fascisti" (termini che, a parere della redattrice di cotanto testo, sono evidentemente sinonimi) con l'aggravante di aver fatto un presepe con le normali statuine (magari addirittura di ceramica!) invece che con barconi, spazzatura e amenità simili.

L'incipit è illuminante. Caro scarto dell'umanità (parafraso per una migliore intelligenza del testo), "sappi che la Natività, così come essa è tramandata... è un racconto di povertà, accoglienza negata, rivalsa degli ultimi del mondo. E' [sic, N.d.R.] perfettamente inutile che tu sottolinei che la Sacra Famiglia... tecnicamente non era profuga o rifugiata (anche se lo sarebbe stata appena poco dopo, in Egitto): è una famiglia nullatenente con un bambino appena nato respinta da tutti, e riconosciuta solo da altri ultimi della Terra, esattamente come loro".
In qualità di "sovranista, leghista e fascista" mi sento di rispondere "a rime baciate" (giusto per citare un altro demente che ha fatto così tanto male a questo martoriato Paese).
La Natività tutto è meno che un racconto di povertà. Non vi sono indizi per definire la famiglia di Gesù povera (Meier 2001, pp. 286 ss.), e anzi si potrebbero leggere nei Vangeli - se la cosa avesse un senso - anche affermazioni di segno opposto (Giuseppe era un artigiano - cfr. Mt 13,55 - e non un contadino a giornata, o un mendicante, o un membro di altre categorie marginali; la tunica di Gesù - cfr. Gv 19,23 - il cui significato è ovviamente quello di introdurre la citazione scritturistica - è piuttosto lussuosa; ecc.). Ma, soprattutto, parlare di "povertà" o "ricchezza" nel mondo palestinese antico è scorretto, dovendosi piuttosto riferirsi alle categorie della "inclusione" o della "esclusione" sociale. E Gesù ha vissuto gli anni nascosti perfettamente integrato, per poi scegliere - col suo ministero tutto rivolto agli ‘anawîm (mendicanti, peccatori, vedove, bambini) - la marginalità.
Non è neanche un racconto di accoglienza negata, anzi è l'esatto opposto. Mi auguro che, nel XXI secolo, il racconto lucano non sia ancora letto a partire dalle strofe di "Tu scendi dalle stelle", ma che si comprenda che Luca - tutto teso a sottolineare la nascita di Gesù "nella mangiatoia" - dia forma al proprio racconto spiegando (o congetturando) che una partoriente certamente non avrebbe potuto alloggiare con altri pii ebrei, in quanto impura, e che il posto migliore per far nascere un bambino, nelle condizioni igienico-sanitarie dell'epoca, era certamente una stalla, ben riscaldata dagli animali. Ma l'intenzione dell'evangelista, invero, è un'altra (completamente opposta alla profondissima lettura della altrettanto colta giornalista: v. Brown 2002, p. 568): con la scena di Lc 2,1-20 si vuole evidenziare come la nascita del Salvatore abbia abrogato Is 1,3 (LXX: "il bue conosce il suo padrone; e l'asino conosce la mangiatoia del suo signore; ma Israele non mi ha conosciuto; il mio popolo non mi ha compreso"). Considerazione che - per inciso - fa strame anche della paccottiglia pseudo-colta che si legge sempre nelle imminenze del Natale.
Meno che mai ha a che fare con profughi o rifugiati. Di nuovo, qui si confondono storia, teologia e cronaca. Tuttavia è inutile sottolineare come l'Egitto (e per Egitto si intendeva anche l'attuale Striscia di Gaza, per dire) facesse parte dell'Impero Romano esattamente come la Palestina, o come la Sacra Famiglia sia tornata - appena possibile - nel proprio Paese; né mi pare il caso di notare la sottile differenza fra chi scappa da un pericolo mortale e chi invece migra per quelli che, con un certo sociologismo d'accatto, si definiscono "motivi economici". I punti fondamentali sono due: il primo, che Luca situa la casa di Giuseppe e Maria a Nazareth e spiega la nascita di Gesù a Betlemme attraverso il riferimento al censimento di Augusto, mentre Matteo situa la causa della Sacra Famiglia a Betlemme e inserisce lo spostamento a Nazareth nel quadro del racconto della fuga in Egitto; il secondo, logico corollario del primo, che il fondamento del racconto della fuga in Egitto non è (soltanto) storico, bensì teologico, volto a inquadrare la nascita del Messia all'interno della Storia Sacra di Israele attraverso il riecheggiare continuo di citazioni veterotestamentarie, come - tra le altre - l'oracolo di Balaam (Num 24,17), le profezie del Trito-Isaia (Is 60,6), soprattutto la storia di Mosè (Gnilka 1990, p. 103).
Anche l'idea che Gesù sia stato riconosciuto solo dagli ultimi è un peculiare caso di memoria selettiva (o di ignoranza, o di malafede). Certamente nel Vangelo di Luca l'epifania di Gesù è rivolta principalmente agli ultimi (i pastori), ma la pericope di significato parallelo nel Vangelo di Matteo è ben diversa: ad adorare Gesù sono i Magi, rappresentanti di tutti i popoli della Terra (che si prostrano davanti al Salvatore: dal generale al particolare, con movimento antitetico rispetto a quello della globalizzazione cui Manginobrioches si riferisce). I doni che portano sono fastosi: oro, incenso e mirra. Ovviamente hanno un significato simbolico - Gesù è sacerdote, re e profeta, che si è immolato una volta per sempre in remissione dei peccati -, ma anche alle menti semplici dovrebbero far comprendere che qui gli "ultimi" c'entrano assai poco. Anche perché, se solo questi atei semi-devoti si sforzassero di andare oltre pagina 2 dei Vangeli, scoprirebbero come tutto il ministero di Gesù sia rivolto proprio ai diseredati, ai peccatori, ai "malati", nel quadro di quell'urgenza escatologica che è riassunta dalla proclamazione della βασιλεία (regno di Dio).

Dalle idiozie del primo paragrafo discendono quelle del secondo: "quindi, mio caro vidimatore di passaporti di Giuseppe e Maria [dovete ridere, N.d.R.], mio caro controllore trionfante dell'anagrafe di Betlemme... [e qui ci sarebbe da piangere, considerando che in Luca la Sacra Famiglia va appunto a farsi censire, N.d.R.], sappi che la Natività, come la giri e come la volti, è esattamente la messa in scena di quello che tu, ferocemente, combatti ogni giorno: l'invasione dei Gesù Bambini...".
No, amica mia, la Natività è il supremo atto di amore di Dio, il Verbo increato che si fa carne, l'eternità (grazie a cui tutto sussiste) che si fa un unico puntino nel tempo. Il kairos. Le invasioni non c'entrano proprio nulla. Né il messaggio - il κήρυγμα, direbbe San Paolo - del Vangelo è quello di restare umani; no, il messaggio, all'opposto, è quello di diventare umani, cioè riconoscere nell'uomo la scintilla del Divino grazie al sacrificio di Gesù sulla croce (Fil 2,6 ss.). La croce, vanto di ogni cristiano (Gal 6,14), grande scandalo degli atei semi-devoti, a cui i racconti dell'infanzia rimandano in ogni loro riga, senza la quale si rischia di trasformare l'Incarnazione nella fiera dei buoni sentimenti progressisti un tanto al chilo.

Tutte le persone - di qualsiasi razza, religione, colore, credo politico - hanno uguale dignità di figli di Dio in Cristo. Conscio di questo, il Cristiano deve agire, per quanto nelle sue possibilità, onde garantire a tutti le migliori condizioni di vita possibili. Nell'Ultimo Giorno, ciascuno di noi sarà giudicato sulla base di ciò che ha fatto per "questi piccoli" (Mt 25,40). Ma questo non significa né che i lontani debbano essere preferiti ai prossimi, né che i fenomeni debbano essere governati per garantire la prosperità e la sicurezza, né che il rispetto possa diventare prevaricazione, né che il pericolo dell'assimilazione possa permettere di evitare qualsiasi forma di integrazione, né - soprattutto - che non si possa (anzi: si debba) rispondere con durezza nei confronti di chi specula sulla vita di innocenti per lucro, brama di potere, o inconfessabili interessi geopolitici.
Ed anche nei confronti di chi, con sprezzo della sensibilità religiosa di milioni di persone, si permette di piegare il Natale ai propri interessi di bottega (ed a una scarsa vena argomentativa).


Per chi fosse interessato (certamente non Manginobrioches), i testi citati sono i seguenti:
Brown (2002), La nascita del Messia, 2a ed., Assisi, 2002.
Gnilka (1990), Commentario teologico al Vangelo di Matteo, vol. I, Brescia, 1990.
Meier (2001), Un ebreo marginale, vol. I, Brescia, 2001.


6 commenti:

  1. Prezioso approfondimento. Un abbraccio da Lazar!

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    1. Un abbraccio a te! Se il tuo aiuto questo post non sarebbe mai nato!

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  2. Grazie Luca a nome di tutti i cattolici che si sentono umiliati dalle parole di Francesco e di tanti altri "falsi" credenti. Il tuo post è un buon inizio del nuovo anno

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  3. Piegare perfino la nascita di Gesù ad esigenze politico-ideologiche, distorcendo fatti e testimonianze vecchi di secoli, per attaccare i cattivi populisti, è purtroppo prassi ormai consolidata per costoro. Il pensiero unico globalista e immigrazionista rappresenta oggi il collante della sinistra, che sa di essere minoranza, ma può contare sul controllo quasi totale del sistema mediatico, e su potenti alleati nelle istituzioni. E si permette quindi di esprimere il proprio disprezzo classista e (auto)razzista verso quei cittadini, sempre più numerosi, che vogliono riprendersi la sovranità politica ed economica e difendere la propria storia e identità.

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  4. Si respira aria fresca e libera anche qui. E su argomenti più interessanti che l' euro.
    La mia vuole essere apertamente una manifestazione di lieve disappunto nei confronti di molti seguagi (agguerriti di scolapasta,bsorridenti da divano), non è ovviamente rivolto a chi ha incarnato il dibattito, posandolo sulla non prevaricazione, soprattutto della letteratura scientifica, quindi della natura umana e del sentimento morale cristiano che dovrebbe scaldarla ed unire in ogni azione e pensiero quotidiano. Buon Natale Luca e a tutti i lettori.

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