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domenica 14 maggio 2017

Un phastidioso antecedente: la SGA

L'altro giorno mi sono imbattuto in un post assai phastidioso, il quale - ricapitolando la situazione di Montepaschi - innalza sin dal titolo ("Dicono sia colpa della UE. Ma è colpa della realtà") un peana alla nuova dea dei liberisti de' noartri, cioè la signora TINA (i cui sacerdoti, detto per inciso, sarebbero i frodatori di Uber o i monopolisti di Google o gli sfruttatori di lavoro minorile cinese di Apple, ma lasciamo perdere).
A dire il vero, in mezzo a tante fanfaluche, un pregio l'articolo ce l'ha: spazza via dal campo della discussione il terrorismo mediatico (e, a dire il vero, interessato) sugli esuberi più o meno inventati, i soldi del contribuente più o meno sprecati, e si concentra - ripercorrendo il folle piano messo su dal tandem Renzi-JP Morgan, poi miseramente affondato - sulla questione reale dell'affaire Monte dei Paschi, cioè il deconsolidamento dei crediti problematici.
Per chi vive in una comunità che ha sentito nella propria carne viva questa vicenda, si tratta della sensazionale riscoperta della ruota, o dell'acqua calda...
...ma è possibile che, nel resto dello Stivale, la precisazione - in un mare magnum di disinformazione - possa avere una sua importanza. D'altronde, anche sui giornali inizia a fare capolino la percezione che il problema serio, per Montepaschi, sia rappresentato proprio dalle modalità di cessione degli NPL. La banca, infatti, si trova a fronteggiare quello che potremmo definire il "Dilemma di Etruria": la ricapitalizzazione statale senza bail-in (ma comunque con il sacrificio di azionisti e obbligazionisti subordinati: il c.d. burden sharing) è possibile solo se l'Istituto è solvente, ma l'Istituto è o non è solvente a seconda del prezzo di valutazione delle sofferenze che incorpora.
Non ci vuole un genio per capire che, se l'UE ti impone di vendere le sofferenze, e se nel mercato mondiale delle sofferenze agiscono pochissimi player, il prezzo di vendita non può che essere di grande saldo (Semiserio cita Unicredit ed il fratello ottimista di TINA, FINO, come un grande successo. Beato lui). Con perdite enormi per i bilanci bancari. Il giochino ricorda un po' il circolo degli avvoltoi sugli animali moribondi nella savana africana, ma giustamente dobbiamo ritornare al contatto diretto con la durezza del vivere, e questo è un buon modo per farlo.

Dov'è che, diciamo, sbaglia il sagace autore del post che si commenta? Nel confondere norma e natura, cioè nel cadere proprio nell'errore che imputa agli altri. La crisi delle nostre banche non è colpa del destino cinico e baro, né di una presunta congenita incapacità italiana. Semiserio se lo metta bene in testa. La principale responsabilità è dell'attuale sistema giuridico (lato sensu inteso), per lo più di matrice non interna, spesso latentemente anticostituzionale, sicuramente sbagliato. Sba-glia-to.

Ne abbiamo parlato mille volte.
Molte banche italiane hanno gravissimi problemi in buona misura a causa degli squilibri economici e finanziari indotti dall'UEM. Le banche italiane sono oberate di sofferenze principalmente come conseguenza delle politiche di austerità che hanno aggravato, in termini di durata e di intensità, la grave crisi mondiale nata nel 2008 negli Stati Uniti. L'enorme quantità di Titoli di Stato acquistati subito prima della crisi dello spread (e che ora sono una bomba a orologeria in tanti bilanci) furono la risposta alle c.d. politiche monetarie non convenzionali (v. per esempio qui), che mettevano sotto pressione i margini operativi degli Istituti.
Questi gravissimi problemi, d'altronde, non possono essere risolti quasi esclusivamente a causa delle demenziali disposizioni di matrice leuropea. Quando un Istituto è in crisi, la Direttiva BRRD - imponendo il coinvolgimento nell'eventuale salvataggio non solo gli azionisti, ma anche gli obbligazionisti senior e al limite i correntisti - comporta l'immediata fuga dei depositi e l'impossibilità di vendere al pubblico ulteriori strumenti della banca, che precipita in una spirale difficilmente arrestabile. Queste dinamiche - unitamente a requisiti di patrimonializzazione sempre più elevati - impongono aumenti di capitale o che il mercato rifiuta (Mps) o che vedono, come principali acquirenti, fondi d'investimento (cioè soggetti esteri più interessanti a dividendi immediati, che a solidità nel medio periodo).
Una soluzione sensata esisterebbe e sarebbe tutto sommato banale: un intervento dello Stato da un lato volto a garantire la solvibilità degli Istituti senza coinvolgimento dei risparmiatori, dall'altro teso a risolvere, con un'operazione di sistema, questioni strutturali come il peso attuale degli NPL nei bilanci degli Istituti.

Ma non si può. Si tratterebbe di un Aiuto di Stato e, dunque, di una violazione della concorrenza, questa specie di vergine dal candido manto idolatrata dalla Commissione UE.
In passato abbiamo scherzato sulla pervasività di queste disposizioni antitrust, una specie di passe-partout utilizzata dai tecnocrati di Bruxelles per ingerirsi in qualsiasi decisione discrezionale dei Parlamenti e degli Esecutivi di Stati (un tempo) sovrani. Ad esempio:

Oppure, ampliando il discorso (siamo un anno prima del referendum del 4 dicembre, tanto per dire quanto sono ovvi e prevedibili certi leader politici):


Fino alla geniale generalizzazione, come al solito, del Pedante.

Unica eccezione (anche in questo caso, fino al 4 dicembre 2016):
Ma ora, sinceramente, di scherzare non mi va più. La situazione è troppo grave per non essere anche seria, soprattutto ove si consideri la verità economica sotto il manto semantico: divieto di Aiuto di Stato significa divieto di autonoma politica industriale.

Segue esempio edificante (forse).

Il 17 febbraio 1992 Mario Chiesa, amministratore del Pio Albergo Trivulzio, è arrestato per un caso di corruzione. Il 12 gennaio 1993 Bettino Craxi si dimette da segretario del Partito Socialista. In mezzo, Tangentopoli. Il 28 giugno 1992 entra in carica il primo governo Amato, il 28 aprile 1993 il governo Ciampi. È l'inizio dei governi tecnici, Cioè la fine della politica.
Con la solita scusa della corruzione, delle difficoltà economiche dell'Italia (il governo Amato è quello della patrimoniale e della prima riforma delle pensioni, poi bissata da Dini nel 1995 e definitivamente perfezionata dalla sempre amata Fornero), di una certa spending review ante litteram (questi giusto per dire come il frame sia sempre lo stesso, e lo sia da svariati lustri), viene emanato il D.L. n. 96 del 1993 (notare anche lo strumento giuridico d'urgenza), che impone la cessazione - dalla sera alla mattina - dell’intervento straordinario del Mezzogiorno, cioè di incentivi annuali per quasi 14.000 miliardi di Lire del tempo. Austerità!
O quale sarà stato il risultato di questa bella pensata? Crisi sistemica del tessuto imprenditoriale meridionale, fallimenti a catena, incremento esponenziale delle sofferenze del Banco di Napoli, principale Istituto del Sud Italia già di per sé non proprio in tranquillissime acque.
In questa situazione così rosea, ecco intervenire la Banca d'Italia che, in modo molto solerte, vuole - come si usa dire oggi - "vederci chiaro", e dunque piazza un'ispezione severissima (per molti, semplicemente errata) che azzera il capitale della Banca.
Vi ricorda qualcosa? No...? Ah, ecco...
Per rendere il parallelo ancora più credibile, non può mancare la (più o meno) interessata cassa mediatica. Dice Mariarosa Marchesano, giornalista economica che ha lavorato per il Mondo: "all'epoca i media contribuirono a diffondere e amplificare l’immagine di un Sud assistito dallo Stato e di un Banco di Napoli simbolo di uno dei sistemi clientelari più ramificati della prima Repubblica. Il crac del Banco fu dunque vissuto come inevitabile. Poca rilevanza, per esempio, ebbe sulla stampa quella che fu la principale causa della crescita delle sofferenze e cioè la cancellazione improvvisa e non programmata e graduale dell’intervento straordinario che mandò sul lastrico migliaia di imprese. Ma quei crediti sono stati quasi tutti recuperati".
Comunque, secondo il noto principio della rana bollita, all'epoca lo Stato qualche cosina contava ancora, per cui, già a novembre, fu messa su una società per la gestione degli attivi deteriorati del Banco (oggi scriveremmo bad bank per la gestione degli NPL: anche da questo si misura la progressiva decadenza di un popolo), presto regalata, insieme alla parte "sana" dell'Istituto (da cui è estromessa la fondazione, previa ricapitalizzazione da 2.000 miliardi di Lire) alla BNL, in sostanza per risanarla (il prezzo fu di 61 miliardi di Lire: solo qualche mese prima il Banco aveva venduto 50 sportelli a 290 miliardi, mentre BNL ne acquisiva 757, cui si aggiungeva il credito verso SGA, garantito dallo Stato, per la cessione delle sofferenze, una partecipazione importante in Banca d'Italia ed enormi crediti fiscali). Non a caso, dopo un paio d'anni, BNL rivende il Banco - e SGA - al Sanpaolo per 6.000 miliardi di Lire. Cento volte il prezzo d'acquisto...
Comunque, con Legge n. 588 del 1996 nasce la “SGA” (Società Gestione Attivi S.p.A), società sì privata ma con due peculiarità molto importanti: sui suoi proventi è sancito un diritto a favore della fondazione, i suoi titoli sono girati in pegno al Tesoro.
Anche sui risultati della SGA ha indagato di recente la Marchesano, che ha scritto anche un libro di discreto successo. In breve: nei primi cinque anni, la società accusa perdite per quasi 4 miliardi di Euro (di cui, però, circa la metà a causa degli interessi passivi incassati dal Banco di Napoli, cioè da BNL prima e da Sanpaolo dopo, in relazione al finanziamento al 9,6% concesso a SGA per la cessione degli NPL al 70% del loro valore), ripianate peraltro da Banca d’Italia grazie alla c.d. "Legge Sindona" (prestito all'1% di Banca d'Italia garantito da Titoli di Stato: anche questo, ricorda qualcosa?). Ma dal 2003 cambia tutto: SGA recupera quasi il 95% del valore dei crediti inizialmente trasferiti (quasi 6 miliardi e mezzo di Euro) ed accumula - dati a fine 2015 - oltre 450 milioni di Euro di liquidità.
La vicenda sarebbe già esemplare, ma non finisce qui.
Il 3 maggio 2016, il Mef acquisisce da Intesa - per soli 600.000 Euro - il 100% delle azioni della SGA, esercitando il vecchio pegno del 1996 e - dicono le indiscrezioni di stampa - ne utilizza le risorse per alimentare il fondo Atlante 2, quello con cui il governo ha cercato di mettere una pezza alla situazione fallimentare delle 4 banche salvate (?) a dicembre 2015 e, soprattutto, delle 2 venete (Popolare di Vicenza e Veneto banca). In sostanza, risorse scippate al Mezzogiorno (e, in particolare, alla fondazione, il cui diritto agli utili di SGA è stato elegantemente omesso) che vanno a ripianare situazioni finanziarie imbarazzanti in Centro e Nord Italia. Ci rifletta, chi è un po' Fava non solo di nome, ma anche di fatto.

Quante verità.
Privatizzazioni sbagliate a svantaggio delle comunità locali. Politiche di spending review che distruggono sistemi economici già fragili. Valutazioni degli NPL fatte a capocchia, certo molto interessate e mediaticamente coperte. Vendite fatte in fretta e furia dallo Stato a privati a prezzi di saldo.
Ma anche la creazione di una bad bank efficace, la realizzazione di un "piccolo QE" ante litteram gestito dalla Banca d'Italia, la stabilizzazione di Istituti importanti per il Paese. E senza coinvolgere i risparmiatori.

E poi la verità più antica e importante di tutte. E cioè che "la storia insegna, ma non ha scolari".

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