Sempre protesi in avanti, senza mai guardare indietro. Senza sforzarci troppo di capire il passato, figurarsi il presente. Per fretta e superficialità, certo, molto anche per quel po' di conformismo che alberga in ognuno di noi e per cui "le riforme sono strutturali e le olive sono greche", troppo per un'ossessiva campagna di disinformazione a tutti i livelli, sulla carta stampata, alla televisione, addirittura su internet. Questo, per esempio, è un grafico a caso preso dal sito dell'OECD (cioè l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, non uno di passaggio):
Poi però succede che la realtà ti si impone e il frame, anche se ossessivo, non raggiunge più i suoi scopi.Vuoi capire. Per farlo, ovviamente, c'è bisogno di aiuto. I siti e i blog indicati a destra di questo post, per esempio, sono - come recita la nota barzelletta - un ottimo inizio.
Poi ci sono i libri: di Bagnai, di Barra Caracciolo, di Giacchè.
E allora perché scrivere ancora, soprattutto se non si hanno né i titoli accademici, né la verve dialettica, né le conoscenze degli autori in questione?
Perché mi piacerebbe trasformare questo blog in un - diciamo così - case study. Mi spiego meglio. Il concetto di "riforma strutturale", se applicato al mercato del lavoro, significa "volto a comprimere salari e diritti" (© Alberto Bagnai): lo dimostrano grafici, dati, studi a bizzeffe. Se ne sono accorti addirittura i sindacati (che, come il noto marito, le dinamiche relative al lavoro sono sempre gli ultimi a conoscerle):
#Contratti: #Cgil, obiettivo Confindustria taglio salari
— Tg La7 (@TgLa7) 17 Settembre 2015
Io vorrei più minutamente verificare questa intuizione su singoli provvedimenti di legge di volta in volta approvati dal Parlamento (quando non sono decreti delegati, cioè quasi sempre). Ovviamente - per aspera ad astra - si comincia con il "Jobs Act".Venite con me.
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